I redditi da miseria di partite Iva e collaboratori con redditi. Lo studio: “Vanno da 8.500 a 18mila euro all’anno”

  • Postato il 4 dicembre 2025
  • Lavoro
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Più che un’emergenza, è un problema ormai endemico del nostro mercato del lavoro: i redditi bassissimi di partite Iva e collaboratori. Gli addetti “autonomi” stanno crescendo in questi anni, contribuendo a gonfiare i dati sull’occupazione, ma uno studio appena pubblicato della Nidil Cgil mostra che molti di loro hanno guadagni del tutto inadeguati a una vita dignitosa, e anche insufficienti per raggiungere una pensione decente. Si tratta di 436 mila partite Iva, con redditi medi di poco superiori a 18 mila euro annui, e 208 mila collaboratori che dichiarano in media appena 8.566 euro.

Essendo questi “esclusivi”, è probabile che tra di loro si nascondano molti dipendenti mascherati, inquadrati come autonomi dalle aziende per risparmiare a loro discapito. Finte partite Iva e co.co.co vengono utilizzate per non applicare i contratti collettivi, quindi stabilire i salari con trattative individuali, pagare meno contributi, niente tredicesime, niente trattamento di fine rapporto. Situazioni difficili da fare emergere perché richiederebbero spesso lunghe e incerte trafile giudiziarie. Ecco perché restano ampiamente tollerate.

I più deboli sembrano proprio i collaboratori. Specialmente se isoliamo il dato sui redditi medi delle donne, pari a soli 6.839 euro annui, e degli under 35 che si attestano sui 5.130 euro. Come visto, questi guadagni così irrisori si traducono in una scarsa prospettiva pensionistica. Solo l’8% dei collaboratori riesce infatti a versare dodici mesi di contributi annui, quindi a raggiungere una contribuzione “piena” che corrisponde a 18.415 euro annui. Con questo reddito, la pensione a 64 anni, ammesso di avere almeno 30 anni di anzianità, si fermerebbe a 853 euro. I dati sui professionisti con partita Iva sono solo un po’ migliori: il 35% raggiunge la contribuzione piena. Tuttavia per loro le aliquote sono più basse, pertanto per loro l’assegno che si può maturare a 67 anni, con 30 di contributi, è pari a 646 euro mensili.

Le norme approvate in legge di Bilancio dal governo Meloni non portano alcun vantaggio a collaboratori e partite Iva. Ai collaboratori non viene applicato il taglio del cuneo fiscale approvato nella manovra dello scorso anno. Le uniche norme approvate in questi anni dal centrodestra hanno introdotto vantaggi fiscali ai più benestanti tra i lavoratori autonomi, con il passaggio della flat tax al 15% fino a 85 mila euro di reddito. Tuttavia, considerando che le partite iva hanno già un fisco vantaggioso, sono altre le norme che servirebbero a tutelare i loro redditi. Nell’ultimo report Istat, emerge infatti che la povertà assoluta tra i lavoratori autonomi senza dipendenti, le partite iva indivduali, è in aumento.

La prima sarebbe l’equo compenso: “Posto che c’è un tema di qualificazione dei rapporti di lavoro quando mascherano lavoro dipendente, le scelte da fare nell’immediato vanno in direzione opposta a quanto fa il governo – commenta Andrea Borghesi, segretario generale Nidil Cgil – per i redditi da lavoro bisognerebbe far pagare il giusto compenso alle imprese attraverso la definizione di un salario minimo/ equo compenso non inferiore a quanto previsto per le medesime figure professionali dalla contrattazione collettiva”. Borghesi ricorda anche che i collaboratori hanno a loro carico una quota maggiore di contributi, rispetto ai dipendenti, e non sono coperti da ammortizzatori sociali universali.

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