I piatti di colore diverso per riconoscere il filetto avvelenato, l’essiccatore per i funghi mortali e la finta ‘diarrea esplosiva’: le prove che incastrano Erin Patterson

  • Postato il 7 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un verdetto che mette fine a dieci, intense settimane di processo e a quasi due anni di misteri e bugie. Erin Patterson, 50 anni, è stata giudicata colpevole di aver avvelenato e ucciso tre dei suoi parenti acquisiti e di aver tentato di ucciderne un quarto, durante un pranzo di famiglia apparentemente innocuo, servendo loro un Beef Wellington farcito con funghi velenosi mortali (Amanita phalloides). Lunedì, un’aula di tribunale gremita, che includeva i membri della famiglia Patterson, ha accolto con un “sussulto udibile” la decisione della giuria della Corte Suprema dello Stato di Victoria. L’imputata, che si era sempre dichiarata non colpevole, rischia ora una condanna all’ergastolo.

Subito dopo il verdetto, la Corte ha rilasciato una serie di prove video e fotografiche che hanno costituito la spina dorsale dell’accusa e che dipingono un quadro agghiacciante di premeditazione e depistaggio. Tra queste:

  • Le foto del pasto fatale: le immagini del filetto alla Wellington servito agli ospiti e della tavola apparecchiata nella casa di Leongatha (a sud-est di Melbourne) il 29 luglio 2023.
  • L’essiccatore e i funghi: un video delle telecamere di sorveglianza di una discarica mostra la Patterson, alla guida del suo fuoristrada rosso, mentre getta un grosso dispositivo nero in un cassonetto per i rifiuti elettronici. Si trattava dell’essiccatore che aveva usato per seccare i funghi mortali. La polizia ha recuperato dal suo cellulare anche delle foto, scattate da lei stessa, che mostrano i funghi affettati sui vassoi dell’apparecchio. Un micologo dei Royal Botanic Gardens di Victoria ha dichiarato in aula di non poter “escludere la possibilità che si tratti di funghi della specie Amanita phalloides”.
  • La finta malattia: nonostante sostenesse di aver avuto una “diarrea esplosiva” dopo aver mangiato lo stesso pasto, un video di una stazione di servizio BP, girato il giorno dopo, la mostra calma, vestita di bianco, mentre entra in bagno per soli nove secondi prima di acquistare tranquillamente snack e panini. Un altro video la riprende all’ospedale di Leongatha il 31 luglio: arrivata lamentando nausea e diarrea, si dimette contro il parere dei medici dopo soli cinque minuti, tanto da spingere un dottore, preoccupato, a chiamare la polizia per farla tornare.

Le vittime furono i suoi suoceri, Don e Gail Patterson, e la sorella di Gail, Heather Wilkinson. L’unico sopravvissuto, il marito di Heather, il pastore Ian Wilkinson, fu salvato dalle cure mediche. Il marito della Patterson, Simon, con cui era da tempo separata e in lite per il mantenimento dei figli, era stato invitato a quel pranzo, ma aveva rifiutato all’ultimo minuto perché si sentiva “a disagio”.

Secondo l’accusa, Erin Patterson aveva architettato un piano diabolico. Invece di servire un unico grande filetto in crosta, come da ricetta del libro di cucina “Recipetin Eats Dinner” ritrovato in casa sua, aveva preparato delle monoporzioni, servendo a sé stessa una porzione “sicura” su un piatto di colore diverso. Un dettaglio notato dagli ospiti che sono vissuti abbastanza a lungo da poterlo raccontare prima di soccombere a una morte lenta e atroce. Durante il processo, la Patterson è salita sul banco dei testimoni in un ultimo, disperato tentativo di salvarsi, ma le sue “bugie“, secondo la giuria, l’hanno tradita più volte. Anche il suo cellulare non è mai stato ritrovato, probabilmente gettato via nei giorni successivi al delitto.

Al termine del verdetto, una sua amica ha lasciato il tribunale sopraffatta dall’emozione: “Sono rattristata. Ma è quel che è”, ha detto ai giornalisti. I familiari delle vittime, tramite una nota della polizia, hanno chiesto il rispetto della loro privacy. Erin Patterson ora attende un’udienza preliminare prima della sentenza definitiva, che dovrebbe essere l’ergastolo. I suoi due figli, che fino all’ultimo non volevano credere alla sua colpevolezza, avevano continuato a farle visita in carcere durante il processo.

Credit foto: Victoria Supreme Court

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