I misteri dell’arsenale di Acquappesa
- Postato il 10 luglio 2025
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Il Quotidiano del Sud
I misteri dell’arsenale di Acquappesa
La GdF, su richiesta del procuratore di Paola Fiordalisi, perquisisce uno studio balistico, trovata un arsenale di 35 armi: Fucili, pistole e un borsone con alcuni mitra pronti all’uso. È l’armeria delle cosche di Cetraro?
Gli uomini del Gico della Guardia di Finanza quasi non credevano ai loro occhi. In un borsone verde vicino alla porta d’ingresso dello studio di periti balistici dei fratelli Mancino, in via Marina ad Acquappesa, c’erano alcuni fucili mitragliatori perfettamente oliati e funzionanti. E dal prosieguo della perquisizione ordinata dalla Procura di Paola, guidata da Domenico Fiordalisi, è emerso molto di più.
Sono saltate fuori ben trentacinque armi: fucili, pistole, anche una ventina di caricatori per kalashnikov e persino un ordigno bellico ad alto potenziale che porta, stampigliata su una specie di etichetta gialla, un’aquila del Terzo Reich. Come se non bastasse, oltre alle armi, gli agenti del Gico hanno trovato una serie di plichi di cartone, accuratamente sigillati con scotch da pacchi, con dentro cassette per registrazioni che contengono intercettazioni telefoniche risalenti a inchieste dei primi anni ‘90 del secolo scorso.
Tutto è successo la settimana scorsa. La perquisizione (e i successivi atti necessari) è tecnicamente ancora in corso. La Procura sta cercando di capire di cosa si tratta: di certo tutte quelle armi sono illegali (oltre che pericolosissime). Le matrici identificative sono abrase o punzonate. Ma, soprattutto, mitra, fucili e pistole non risultano essere stati oggetto delle perizie che, per anni si sono svolte in quello studio e che venivano affidate ai fratelli Mancino dagli inquirenti impegnati nelle più delicate inchieste (diversi omicidi) che hanno riguardato la zona di Acquappesa e Cetraro.
Il pensiero corre a un’ipotesi da far tremare i polsi.
Possibile che, proprio nel luogo dove si svolgevano complicate indagini balistiche, qualcuno avesse raccolto una vera e propria armeria clandestina e illegale? E possibile che quel borsone verde pieno di armi da guerra, evidentemente pronto per essere portato via contenesse l’arsenale delle cosche che, per anni, hanno dettato legge a Cetraro e dintorni? Si sa che a Cetraro comandano il boss Franco Muto e il figlio Luigi e si sa che, in tempi recenti e recentissimi, le armi delle cosche hanno cantato. L’ultimo omicidio, accompagnato da incendi dolosi e intimidazioni, è quello dell’ex spacciatore Pino Corallo che, in carcere aveva tentato la strada della redenzione ed è stato ucciso con cinque colpi di pistola da due sicari in moto il 27 maggio scorso. E l’omicidio (ma questa potrebbe essere solo una coincidenza) è avvenuto sulla Ss 18 a circa un chilometro dall’arsenale di via Marina.
La vicenda delle armi ha un prologo che affonda nel tempo. Dal decreto di perquisizione che ha portato gli uomini del Gico nel loro studio, emerge che Vincenzo Mancino (defunto nel 2022), stando a un rapporto dei carabinieri del marzo 1989, faceva da staffetta con la sua auto al boss Franco Muto, allora ai domiciliari, quando doveva recarsi dal medico.
Ma c’è anche un antefatto molto più recente. Alla morte di Vincenzo, la vedova, Anna Maria Tramontana, sostiene che mancherebbero all’appello dieci armi di proprietà del marito e chiede di poter verificare.
Dopo un po’ di tempo (la verifica non è stata avviata) viene chiesto l’intervento dei carabinieri per fare un inventario e vedere dove sono finite quelle armi. I carabinieri si accorgono che ci sono armi e reperti di precedenti perizie che non dovrebbero essere lì perché andavano restituiti al tribunale di Paola. L’inventario (con l’aiuto di un maresciallo dell’Arma in pensione) si protrae per oltre un anno ma le armi rivendicate dalla vedova Mancino, non saltano fuori.
Nelle ultime settimane, in un garage adiacente allo studio (sempre di proprietà dei Mancino) vengono trovati 800 grammi di tritolo e dinamite.
Il procuratore capo di Paola, Domenico Fiordalisi, insediato da pochi mesi, decide di vederci più chiaro e affida al Gico della Guardia di Finanza il compito di perquisire i locali per verificare come stanno le cose.
La prima visita dei finanzieri avviene sabato 28 giugno. Ed è lì che compare il borsone verde con dentro i mitragliatori. Gli uomini del Gico ne chiedono conto a Fernando Mancino che cade dalle nuvole e afferma di non aver mai visto il borsone prima. La sua testimonianza appare poco credibile perché la sacca non è nascosta e non potrebbe essere sfuggita durante un inventario.
Non solo, come già detto, la Gdf trova anche altre armi, lo strano proiettile nazista e i nastri magnetici con le registrazioni di vecchie intercettazioni.
Ma quello che è più strano emerge dalle verifiche successive alla perquisizione: non si tratta di armi che erano state periziate nel tempo dai fratelli Mancino e che (anche se illegittimamente) erano state trattenute nello studio come reperti “storici”. Qui siamo di fronte a mitra, fucili e pistole privi di elementi identificativi che non avevano alcun titolo a stare lì. Potrebbero aver sparato? E quando?
Gli inquirenti non escludono di trovarsi di fronte ad armi che hanno sparato e forse ucciso a Cetraro o in altre zone della Calabria.
Il Quotidiano del Sud.
I misteri dell’arsenale di Acquappesa