I dolci nemici dei neuroni

  • Postato il 14 novembre 2025
  • Di Focus.it
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Anche il cervello può "infiammarsi". E quando accade non è un bene, perché proprio la neuroinfiammazione è corresponsabile di molte malattie che fanno paura, dalla sclerosi multipla all'Alzheimer. I ricercatori dello Spoke 7, coordinati da Gabriela Constantin che dirige il Laboratorio di Neuroimmunologia e Neuroinfiammazione dell'Università di Verona, studiano proprio il dialogo fra neuroni e cellule immunitarie. Normalmente, queste ultime circolano nel sangue e interagiscono poco con il cervello. In presenza di una malattia, però, possono entrare nel tessuto cerebrale, e allora il dialogo diventa un conflitto. Le cellule immunitarie rilasciano molecole che danneggiano i neuroni e questi muoiono, favorendo la neuroinfiammazione e la neurodegenerazione: accade nell'Alzheimer e nella sclerosi multipla. È proprio in queste patologie che i ricercatori Mnesys hanno scoperto che pure quello che mangiamo può interferire, nel bene e nel male, nelle "comunicazioni" fra cervello e sistema immunitario. «Da tempo sappiamo che lo stato metabolico e nutrizionale ha un effetto sull'immunità», spiega Giuseppe Matarese, coordinatore delle ricerche sulla regolazione metabolica della risposta immune nella sclerosi multipla e docente di patologia generale e immunologia dell'Università Federico II di Napoli. «Quando mangiamo, il tessuto adiposo produce un ormone, la leptina, che inibisce il centro cerebrale della fame, segnalando che abbiamo energia a sufficienza accumulata sotto forma di grasso e riducendo quindi l'ulteriore assunzione di cibo. La leptina tuttavia ha effetti pro-infiammatori: più ce n'è, più quindi si "accende" la risposta immunitaria e viceversa. In caso di denutrizione, per esempio, la leptina scarseggia segnalando che l'organismo ha poche energie, il sistema immune funziona di meno e ci si ammala più facilmente di infezioni». L'esatto contrario accade quando mangiamo troppo: la leptina abbonda, le cellule del sistema immunitario sono iper-attive e così aumenta sia l'infiammazione generale, sia quella nel sistema nervoso centrale, sia il rischio che qualche cellula immunitaria "impazzisca" e finisca per attaccare l'organismo, scatenando una malattia autoimmune. «Non a caso molte malattie neurologiche come l'Alzheimer, il Parkinson e la sclerosi multipla sono più probabili nelle persone con obesità», fa notare Matarese. un aiuto per i farmaci Uno studio del gruppo di Matarese ha mostrato chiaramente quanto sia decisiva l'alimentazione nella sclerosi multipla. Il sovraccarico di cibo ha infatti alterato le risposte immunitarie degli animali, favorendo l'infiammazione e boicottando i meccanismi che prevengono l'autoimmunità. Al contrario, riducendo l'apporto calorico, la malattia migliorava. Alla luce di questi risultati, si è provato a replicare l'approccio nei pazienti, sperimentando in un trial clinico una leggera restrizione calorica associata alla terapia. «Stiamo ancora analizzando i dati, ma le valutazioni preliminari indicano che diminuire del 15-20% le calorie quotidiane migliora la risposta ai farmaci e può essere perciò una valida terapia di supporto. Sappiamo che le persone in sovrappeso oltre ad avere un maggior rischio di sclerosi multipla hanno anche una malattia più severa, con più ricadute, più disabilità. Ridurre il carico metabolico diminuendo le calorie può aiutare a controllare l'immunità e migliorare l'efficacia dei farmaci come il dimetilfumarato, ma è bene sottolineare che la dieta non può mai sostituirli». I ricercatori hanno anche provato a capire se specifici nutrienti siano da preferire o evitare rispetto ad altri: nei topolini per esempio si sono testate diete arricchite di volta in volta di carboidrati, grassi o proteine per valutarne l'effetto sull'infiammazione. Come racconta Matarese, «anche la qualità dei nutrienti conta: i carboidrati sono più "infiammatori" dei grassi, che lo sono più delle proteine. Anche per questo la dieta chetogenica, che elimina i carboidrati, ha un potente effetto anti-infiammatorio: comporta infatti la formazione di corpi chetonici che tolgono la fame e hanno forte azione anti-infiammatorie. Tuttavia, la dieta chetogenica stretta non può essere seguita più di tre, quattro settimane al massimo. E anche una restrizione calorica forte non è percorribile, soprattutto in pazienti già provati da una malattia difficile come la sclerosi multipla. La strada più realistica per potenziare l'effetto dei farmaci e controllare l'infiammazione potrebbe essere quella di una restrizione calorica lieve che riduca principalmente i carboidrati»..
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Focus.it

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