I centri in Albania diventano un “impianto polivalente”, Piantedosi: “Nessun onere aggiuntivo”. E rilancia il solito “interesse Ue”

  • Postato il 12 febbraio 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Finché c’è interesse, c’è speranza. Nel question time alla Camera, il titolare dell’Interno Matteo Piantedosi ha confermato l’intenzione di modificare il format dei centri in Albania, bocciati tre volte dalla magistratura per l’incompatibilità tra la lista dei Paesi sicuri stilata dal governo e le norme Ue, ora al vaglio della Corte di giustizia europea. L’idea è quella di trasformare le strutture pensate per le procedure d’asilo accelerate di richiedenti raccolti nel Mediterraneo in Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di irregolari già in Italia e già raggiunti da un provvedimento di espulsione. “E’ vero? Quali i numeri previsti?”, è stato chiesto nell’interrogazione presentata da Davide Faraone di Italia Viva insieme ad altri. Il ministro ha spiegato che una parte delle strutture è già adibita a Cpr, quindi non ci saranno “onerei aggiuntivi” per quello che ha definito “impianto polivalente“.

Poche parole, nessun dettaglio, e l’opposizione a gridare al fallimento totale. Così, al poco che aveva da dire Piantedosi ha pensato di anteporre il solito “forte interesse di 15 Paesi europei e della stessa presidente della Commissione Ue: è bene prenderne atto”, ha detto, certo che le prossime iniziative normative di Ursula Von der Leyen consentiranno di “sviluppare le potenzialità del progetto, superando gli ostacoli”. Altro che scusarsi con gli italiani e dire “abbiamo cestinato i vostri soldi”, come gli ha suggerito Faraone nella replica. Eppure, la giravolta del governo per trasformare le strutture di Shenjin e Gjader nell’ennesimo Cpr d’Italia ha molte incognite sul piano normativo e un’unica certezza: rispetto agli altri Cpr costerà di più e funzionerà peggio.

La normativa Ue non prevede che un provvedimento di espulsione passi da Paesi terzi, ed eventuali modifiche all’accordo, al netto del consenso albanese, imporrebbero un altro passaggio parlamentare. Nulla che impensierisca il governo, ovviamente. Ma il gioco vale la candela? A guardare cpr operativi in Italia, si direbbe di no. Nel 2023 abbiamo emesso 28mila ordini di allontanamento di cui 4.267 eseguiti, ma solo 2.979 riguardano chi è passato da un cpr, dove meno della metà dei trattenuti viene rimpatriato. Dipende dagli accordi coi Paesi d’origine, pochi e inefficaci. Tanto che due terzi dei rimpatriati è tunisino perché con la Tunisia c’è un accordo che supera il problema dell’identificazione: all’aeroporto di Palermo una delegazione consolare tunisina fa un breve colloquio col rimpatriando e la cosa è fatta. I numeri sono contenuti, ma si procede e infatti nessun tunisino è mai stato portato in Albania, a differenza di egiziani e bangladesi che nei primi nove mesi del 2024 contano appena 240 espulsioni (dati Eurostat).

Non c’è modo di credere che le cose andranno meglio in Albania, anzi. I trattenimenti amministrativi nei cpr devono essere convalidati e poi ciclicamente prorogati su richiesta della questura da un giudice di pace e, a fronte di lungaggini per identificare lo straniero, un decreto del governo ha stabilito che si possa rimanere in un Cpr fino a 18 mesi. Insomma, con i 1.000 posti delle strutture albanesi i numeri inizialmente annunciati dal governo restano un miraggio. Se invece, come accade in patria, non c’è modo di convalidare o prorogare il trattenimento, la persona va liberata, che in Albania significa rispedita in Italia a carico del contribuente. Nel 2023, a fronte di 2.979 stranieri rimpatriati, 1.507 persone sono uscite dai cpr per mancate convalide o mancate proroghe. Altre 500 sono uscite per decorrenza dei termini e 123 sono fuggite. Quanto ai rimpatriati, il passaggio nel cpr albanese servirebbe solo a rendere l’operazione Albania ancora meno sostenibile di quanto non lo sia stata fino ad ora.

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