“Ho fatto 13 ruote di fila in spiaggia, quando mi sono rialzata avevo perso la vista. Non vedevo più la faccia della mia amica”: la storia di Deborah Cobb
- Postato il 2 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Era un fresco pomeriggio di maggio del 2002. Deborah Cobb aveva 19 anni e si trovava con alcuni amici sulla spiaggia di Westport, nello stato di Washington, per godersi una giornata in riva all’oceano. Da bambina era stata una ginnasta appassionata, sempre pronta a fare salti mortali ed evoluzioni. Anche crescendo, l’abitudine di fare qualche ruota negli spazi aperti le era rimasta. Quel giorno, sulla sabbia piatta e soffice della spiaggia, “non ho potuto resistere”. Ne fece 13 di fila, crollando poi a terra tra le risate. Un’amica corse ad aiutarla ad alzarsi, ridendo anche lei. Ma in quel momento, sopraffatta dalle vertigini, la ragazza notò qualcosa di strano: “Non riuscivo a vedere la faccia della mia amica. Era una sfocatura arancione”. La visione periferica sembrava normale, ma al centro, dove metteva a fuoco, i dettagli svanivano in quella macchia colorata. Scosse la testa, ma la sensazione non se ne andava.
Inizialmente, sdrammatizzarono: “Abbiamo scherzato sul fatto che forse avrei dovuto fare 13 capriole nella direzione opposta per riordinare il mio cervello“. Rimase sdraiata sulla spiaggia per un’altra ora, ma la vista non migliorava. “Ero un po’ preoccupata, ma cercai di mantenere la calma. Non provavo dolore e dissi ai miei amici di non preoccuparsi”. Il panico iniziò a serpeggiare più tardi, passeggiando lungo una via dello shopping: “Trovai difficile leggere anche semplici insegne. Ogni volta che cercavo di concentrarmi su testo o dettagli, la stessa sfocatura arancione oscurava la mia visione”. Tornata a casa la sera, raccontò tutto alla madre, preoccupata. Decisero di aspettare il mattino seguente: “Ma la mattina dopo, sembrava ancora peggio”. Il patrigno, notando le sue difficoltà, la portò al pronto soccorso.
La diagnosi iniziale fu di danno solare alle retine, con una prognosi di guarigione di un paio di settimane. Una notizia angosciante, tanto più visti gli esami scolastici alle porte: “Si rivelò essere ancora peggio di quanto temessi”, racconta. Dopo aver consultato un oftalmologo, arrivò la diagnosi reale: “Rottura dei vasi sanguigni nella mia macula, la parte centrale della retina responsabile della visione dettagliata”. La quantità di sangue era minima – “come una minuscola macchia d’inchiostro” – ma sufficiente a bloccarle la visione centrale. I tempi di guarigione? Incerti. Se fosse stata fortunata, forse tre mesi. Nel frattempo, era legalmente cieca: niente guida, niente studio, niente tv. “Ero devastata”.
Seguì un periodo difficile, di dipendenza dagli altri per compiti semplici (“fare il pranzo, mandare un messaggio”), di isolamento in casa, nonostante il supporto degli amici. Ma dopo tre lunghi mesi, il sangue si riassorbì gradualmente e la vista centrale tornò. L’esperienza, però, le ha lasciato un segno indelebile: “Ho sviluppato una degenerazione maculare precoce – una condizione che, a 42 anni, mi lascia con gli occhi di un’ottantenne“. Negli anni successivi, ha sperimentato episodi più lievi di perdita della vista, scatenati da sforzi apparentemente banali: una cantata energica in auto, l’estirpazione di rovi di more. Durante la gravidanza, i medici la avvisarono che lo sforzo del parto avrebbe potuto scatenare un’altra emorragia. Scelse un cesareo programmato: “Non potevo sopportare l’idea di non poter vedere mio figlio per i primi mesi della sua vita”.
Non ha mai provato rabbia, ma ha cercato risposte. La nonna le parlò di un problema simile in un lontano parente, suggerendo una possibile componente genetica. Oggi, la sua condizione è attentamente monitorata, ma il rischio di complicazioni rimane. “Non posso sopportare il pensiero di cosa perderei se perdessi la vista per sempre”. Per questo, ora è molto più cauta: “Evito qualsiasi cosa che possa causare un afflusso di sangue alla testa”. E le ruote? “Sono passati più di due decenni da quando ho tentato una capriola. A volte, mi manca. Ma alcune cose semplicemente non valgono il rischio, non importa quanto gioiose sembrassero una volta”. Una testimonianza toccante, pubblicata dal Guardian, su come un attimo di spensieratezza possa cambiare irrevocabilmente una vita.
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