“Hamas verso il sì alla tregua proposta da Usa”. Trump: “Vedremo cosa accadrà nelle prossime 24 ore”

  • Postato il 4 luglio 2025
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“Vedremo cosa accadrà, lo sapremo nelle prossime 24 ore”. Secondo Donald Trump è questo il termine entro il quale Hamas scioglierà la riserva sulla proposta di tregua a Gaza e di accordo per la consegna degli ostaggi avanzata dagli Stati Uniti e che Israele ha accettato. Indiscrezioni dei media hanno riferito che il gruppo islamista sta discutendo il testo con altri gruppi palestinesi e che presenterà la sua risposta ai mediatori una volta conclusi i colloqui ma, riporta Reuters, la reazione sarebbe positiva. Secondo il giornale saudita Asharq Al-Awsat, il gruppo ha mostrato “flessibilità” sulla questione del disarmo, che Israele ha richiesto come condizione per un cessate il fuoco permanente nella Striscia. E secondo la testata, Hamas potrebbe impegnarsi, attraverso i mediatori Qatar ed Egitto, a porre fine al contrabbando di armi, a chiudere le operazioni di produzione di armi nella Striscia di Gaza e a consegnare le scorte di armi esistenti affinché siano conservate in un luogo senza alcuna presenza di Hamas. Le fonti citate da Asharq News aggiungono che il gruppo palestinese potrebbe anche accettare di mandare temporaneamente in esilio un numero simbolico dei suoi funzionari che attualmente risiedono a Gaza, come compromesso alla richiesta di Israele di espellere i leader di Hamas dalla Striscia. Intanto, la popolazione civile continua a morire: Al Jazeera riferisce che almeno 15 palestinesi sono stati uccisi in una serie di raid che le forze israeliane hanno condotto su Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. L’emittente precisa che gli attacchi hanno preso di mira alcune tende e rifugi di fortuna nell’area al-Mawasi, classificata come zona umanitaria da Israele. Secondo l’emittente del Qatar, i raid – condotti con aerei da combattimento ed elicotteri – e l’intensa copertura di fuoco sarebbero collegati a un’imboscata che fazioni armate palestinesi sarebbero riuscite a tendere a un gruppo di soldati nella zona di Khan Yunis.

Il via libera di Israele ad una nuova proposta americana di cessate il fuoco ha smosso le acque dopo settimane di stallo. Anche Hamas ha mostrato una cauta apertura, perché Washington avrebbe garantito l’impegno a far rispettare la tregua a Israele anche dopo i primi 60 giorni, a condizione che i negoziati tra le parti proseguano in modo credibile. La fazione che governa la Striscia ha fatto filtrare la sua “soddisfazione”, ringraziando i mediatori e secondo i media sauditi dovrebbe presentare la sua risposta ufficiale entro domani sera. Nel merito del piano Usa, non sembrano esserci ostacoli allo scambio di prigionieri in diverse fasi che prevede il rilascio di dieci ostaggi vivi insieme a 18 corpi per un gruppo di detenuti palestinesi. I dubbi di Hamas riguardano l’ingresso degli aiuti e il ritiro dell’Idf, che sono menzionati nella proposta senza indicare date specifiche o allegare mappe. Inoltre la fazione insiste sulla fine della guerra.

In Israele filtra moderato ottimismo e si attende l’incontro tra Benyamin Netanyahu e Donald Trump alla Casa Bianca lunedì prossimo. Il ministro dell’Energia Eli Cohen, membro del gabinetto di sicurezza, ha dichiarato che c’è “sicuramente la disponibilità a raggiungere un accordo”. A spingere per l’intesa sono sempre i familiari degli ostaggi, che consentendo alla pubblicazione di un video di due ragazzi rapiti ha invocato il rilascio di tutti, vivi e morti, e subito. Lo stesso Netanyahu ha incontrato la madre dell’ostaggio Matan Zangauker nella sua prima visita al kibbutz Nir Oz dall’eccidio del 7 ottobre, ma è stato accolto da una dura contestazione. A ostacolare l’accordo con Hamas è ancora l’ultradestra di governo di Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. Sul terreno non ci sono segnali di un rallentamento delle ostilità, ma fonti mediche di Gaza riferiscono che viene colpito anche chi è in fila per ricevere aiuti. Proprio riguardo a questa emergenza, l’Associated Press ha rivelato che i contractor americani che sorvegliano i centri di smistamento gestiti dalla Gaza Foundation (il controverso ente sostenuto da Usa e Israele ma non dall’Onu) utilizzano munizioni vere e granate stordenti. L’agenzia americana ha raccolto le testimonianze di due contractor, secondo cui parte dei loro colleghi non sono qualificati, né controllati. E ci sono nuove ombre anche sull’Idf: nel raid dei giorni scorsi sull’internet café sarebbe stato usato un ordigno Mk-82 da 230 chili, secondo quanto ha rivelato l’esame dei frammenti. Per gli esperti dei diritti umani è un’arma “illegale”.

La situazione della popolazione della Striscia è stata oggetto anche di un rapporto presentato a Ginevra dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. Nel documento si accusano numerose imprese, a cominciare da produttori di armi e giganti tech – “dalla Lockheed a Leonardo, da Alphabet a Microsoft” – di contribuire al “progetto” di Israele di “sfollamento e sostituzione dei palestinesi nei territori occupati” e si chiede agli Stati membri di imporre un embargo totale sulle armi allo Stato ebraico e di sospendere tutti gli accordi commerciali.

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Il Fatto Quotidiano

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