Hamas e Hezbollah resistono al disarmo: la tregua resta fragile

  • Postato il 27 ottobre 2025
  • Di Panorama
  • 2 Visualizzazioni

Per la prima volta dall’attacco del 7 ottobre 2023, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha annunciato la revoca della «situazione speciale» nel sud di Israele, lo stato d’emergenza che per oltre due anni aveva consentito al Comando del Fronte Interno di limitare gli assembramenti e chiudere aree sensibili. Un gesto che vuole segnalare un ritorno alla normalità, ma che si inserisce in un contesto tutt’altro che stabile: né HamasHezbollah mostrano intenzioni di deporre le armi, mentre sul fronte diplomatico Israele si scontra nuovamente con la Turchia.

L’organizzazione jihadista palestinese ha annunciato ai mediatori di essere ora in grado di recuperare i corpi di «7-9» ostaggi deceduti, sepolti sotto le macerie a Gaza. La notizia, diffusa da Asharq Al-Awsat, conferma quanto già indicato da fonti di intelligence israeliane, secondo cui Hamas conosce la posizione di almeno otto ostaggi morti e sarebbe in grado di recuperarli. È un cambio di linea significativo: per mesi, il movimento aveva sostenuto di non sapere dove si trovassero i resti, accusando i bombardamenti israeliani di aver «modificato il paesaggio» della Striscia e cancellato i luoghi di sepoltura. L’evoluzione arriva poche ore dopo l’ultimatum del presidente Donald Trump, che ha concesso ad Hamas 48 ore per mostrare progressi concreti. «Hamas dovrà iniziare a restituire rapidamente i corpi degli ostaggi, compresi due americani», ha dichiarato, «altrimenti gli altri Paesi coinvolti in questa GRANDE PACE prenderanno provvedimenti». Trump ha poi aggiunto: «Alcuni corpi sono difficili da raggiungere, ma altri potrebbero tornare indietro subito. Per qualche ragione, non lo sono». Le sue parole lasciano intendere che la questione umanitaria si intreccia con quella militare. «Forse ha a che fare con il loro disarmo», ha osservato, legando la mancata restituzione dei cadaveri alla riluttanza di Hamas a rinunciare alle armi e alle proprie posizioni strategiche.

Dal Qatar il dirigente Khalil al-Hayya ha risposto affermando che «gli americani conoscono bene il problema», spiegando che «in alcuni casi non si sa più dove siano stati sepolti i corpi, ma i nostri uomini stanno scavando a più di venti metri sottoterra con attrezzature obsolete». Al-Hayya ha inoltre accusato Israele di «usare la questione dei cadaveri come pretesto per rinnegare la tregua» e di ostacolare, con operazioni militari mirate, le ricerche in corso. Giovedì mattina, il ministro Katz, il capo di Stato maggiore Eyal Zamir e alti ufficiali dell’intelligence israeliana hanno fornito un briefing aggiornato al vicepresidente statunitense J.D. Vance. Secondo la televisione israeliana Kan 11, i funzionari hanno informato Washington che Hamas sarebbe in grado di recuperare almeno dieci dei tredici corpi attualmente trattenuti a Gaza, anche senza assistenza esterna. Una rivelazione che conferma le valutazioni americane e apre la strada a un nuovo braccio di ferro diplomatico.

Ma mentre la pressione internazionale aumenta, Hamas e Hezbollah ribadiscono la loro intransigenza. In Libano, il leader del movimento sciita Naim Qasem ha dichiarato ad Al Manar che il suo partito «non intende lanciare battaglie contro Israele», ma che «se una guerra ci verrà imposta, combatteremo fino all’ultimo respiro». Soprattutto, ha ribadito che Hezbollah non smantellerà il proprio arsenale, rifiutando le richieste di Israele, degli Stati Uniti e persino del governo di Beirut. «La resistenza è un diritto legittimo – ha detto – e finché ci saranno aggressioni e minacce, il nostro ruolo rimarrà attuale». Qasem ha sottolineato che il movimento ha «ceduto il potere allo Stato libanese» dopo l’accordo di cessate il fuoco, ma che «data l’incapacità dell’esercito di far fronte a tutte le aggressioni, la cooperazione tra resistenza e forze armate è indispensabile». Un messaggio che di fatto congela ogni ipotesi di disarmo.

In questo quadro già teso, si inserisce anche la nuova frattura tra Israele e Turchia. Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, in conferenza stampa a Budapest accanto al collega ungherese Peter Szijjarto, ha dichiarato che «Israele non accetterà la presenza di forze armate turche nella Striscia di Gaza». Sa’ar ha motivato il rifiuto ricordando che «la Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha assunto un atteggiamento ostile, non solo con dichiarazioni, ma anche con misure diplomatiche ed economiche». Il ministro ha aggiunto che «non è ragionevole permettere a un Paese che ci accusa di genocidio di inviare truppe a Gaza» e che la decisione è stata comunicata anche «agli amici americani».Le parole di Sa’ar rispondono alle recenti iniziative di Ankara, che ha più volte proposto una missione internazionale sotto guida turca per garantire la sicurezza nella Striscia. Ma per Israele, dopo mesi di accuse durissime da parte di Erdogan – che ha paragonato le operazioni militari israeliane ai crimini nazisti – ogni coinvolgimento turco è inaccettabile. Così, mentre il sud di Israele torna formalmente alla normalità, il mosaico regionale rimane intriso di contraddizioni: Hamas sa dove sono i corpi ma non rinuncia al controllo armato di Gaza, Hezbollah proclama la tregua ma si rifiuta di disarmare, e Israele chiude le porte a un qualsiasi ruolo militare turco. La tregua esiste solo sulla carta, fragile e condizionata da diffidenze reciproche. E mentre si parla di pace, le armi – sopra e sotto terra – restano ancora tutte al loro posto.

Negli ultimi due anni, l’IDF e lo Shin Bet hanno eliminato decine di alti comandanti di Hamas e della Jihad Islamica a Gaza.

Hamas e Hezbollah resistono al disarmo: la tregua resta fragile

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti