Hamas e gli ostaggi come pedina di scambio: la storia di Sayed e Mengistu, il beduino e l’etiope tenuti nei tunnel per 10 anni
- Postato il 28 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Uno si chiama Hisham al-Sayed, beduino, e quest’anno ha compiuto 36 anni; l’altro è Avera Mengistu, 39 anni, etiope. Entrambi sono civili, non hanno mai prestato servizio come soldati o come informatori dell’Idf. Non lo dice lo Stato ebraico ma Human Right Watch, che in un suo dossier del 2017 ha stabilito che entrambi soffrivano di disagio mentale. Eppure, Hamas li ha catturati, e li ha tenuti prigionieri per dieci anni, in quanto rappresentavano comunque, agli occhi degli islamisti, una “moneta di scambio”. La storia di Hisham e Avera è utile per capire cosa accade in questi giorni, con la tregua appesa ad un filo e alla condizione che Hamas restituisca i corpi di coloro che ha portato via con la forza durante il massacro del 7 ottobre 2023.
Se quello commesso ieri, con la consegna allo Stato ebraico di resti umani appartenenti ad un ostaggio le cui spoglie erano già in Israele sia stato una mossa deliberata o un errore madornale, è difficile stabilirlo con certezza. Quello che si può verificare, dati e storie alla mano, è come Hamas abbia sempre considerato gli ostaggi un vantaggio da sfruttare: per uno di loro, chiede cento-duecento-anche mille palestinesi.
Mengistu era nato in Etiopia. Poi si era trasferito nello Stato ebraico, ad Ashkelon. Nel settembre 2014, a piedi, ha attraversato una rete di filo spinato entrando a Gaza dalla parte della spiaggia. Sayed, beduino con cittadinanza israeliana, l’anno successivo fece altrettanto, entrando a piedi a Gaza nell’aprile 2015. I miliziani palestinesi li hanno chiusi in gabbia, sostenendo che fossero soldati dell’Idf. A smentirli è stata Human Right Watch che in un dossier del 2017 scrive come nessuno dei due avesse legami con agenzie di intelligence israeliane o con l’esercito. Secondo la Ong, entrambi erano abituati a percorrere lunghe distanze a piedi e soffrivano di patologie mentali.
Per anni di loro non si è saputo più nulla. Le famiglie erano distrutte dal dolore. Poi, nel giugno 2022, Hamas ha diffuso un video di Sayed a letto, con una maschera per l’ossigeno; a gennaio 2023, viene mostrato il video di Mengistu. La strage del 7 ottobre 2023 è ancora lontana. I video hanno l’intento di fare pressione su Israele e avviare le trattative per uno scambio con detenuti palestinesi. In questo contesto entravano anche i resti umani di due soldati israeliani, che erano stati uccisi nella guerra del 2014; le loro spoglie non erano mai state restituite.
La svolta per Sayed e Mengistu arriva nel febbraio di quest’anno: entrambi vengono liberati dai miliziani nella prima tregua con Israele – con tanto di show nelle strade di Gaza – ottenendo in cambio decine di detenuti. Per quanto riguarda i soldati, le spoglie di uno di loro, Oron Shaul, vengono recuperate a Gaza durante una operazione guidata da forze speciali dell’Idf e dallo Shin Bet. Alla radio pubblica israeliana, il padre di Sayed, pur felice per il ritorno del figlio, ha detto: “Perché hanno trattenuto una persona così, che non ha fatto nulla di male? È un uomo di pace, un uomo che voleva raggiungere Gaza, ama Gaza, non è andato lì da aggressore”. Non era un soldato, Sayed, ma era diventato ugualmente un ostaggio, ed è stato tenuto nei tunnel fino a quando il suo rilascio non ha potuto portare un vantaggio. Del resto in Israele già prima del 7 ottobre, per suscitare apprensione bastava ricordare la storia di Gilad Shalit: un soldato catturato il 25 giugno 2006 da Hamas durante un raid e rilasciato nell’ottobre 2011, dopo più di cinque anni, ricevendo 1.027 palestinesi.
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