Hamas accetta la tregua, ma Israele rilancia: l’offensiva su Gaza City

  • Postato il 19 agosto 2025
  • Di Panorama
  • 2 Visualizzazioni

Lunedì Hamas ha annunciato di aver accettato la proposta di cessate il fuoco presentata dai mediatori egiziani e qatarioti, che prevede una tregua di 60 giorni, il rilascio di dieci ostaggi israeliani vivi e la consegna dei corpi di altri prigionieri uccisi, in cambio della liberazione di 150 detenuti palestinesi. Un annuncio che arriva in un momento cruciale, con Israele ormai a un passo dall’avviare la sua offensiva più delicata: la conquista di Gaza City, considerata la roccaforte politica, militare e simbolica di Hamas. La notizia è stata accolta con scetticismo a Gerusalemme. Il premier Benjamin Netanyahu ha fatto sapere che Israele non accetterà accordi parziali e che l’unico obiettivo resta un’intesa globale che comprenda la liberazione simultanea di tutti gli ostaggi e la smilitarizzazione della Striscia. «Possiamo vedere chiaramente che Hamas è sottoposta a un’enorme pressione», ha dichiarato il premier, segnalando però che l’operazione terrestre su Gaza City andrà avanti. A Il ministro della Difesa Israel Katz ha rincarato la dose, sostenendo che Hamas è tornato al tavolo «solo per paura che intendiamo seriamente conquistare Gaza City». Secondo Katz, la battaglia per la metropoli costituirà il vero punto di svolta: «È lì che risiedono la leadership e le infrastrutture militari centrali. Una volta presa Gaza City, Hamas sarà sconfitto».

Pronta l’offensiva su Gaza City

Sul piano operativo, l’IDF (Forze di difesa israeliane) ha già messo a punto i piani per un assalto progressivo alla città, con l’obiettivo di circondarla e trasferire la popolazione civile verso sud. Il capo di Stato maggiore, generale Eyal Zamir, ha parlato di «fase successiva» dell’operazione Carri di Gedeone, che prevede una pressione militare crescente fino alla caduta del cuore urbano della Striscia. Per Israele, Gaza City rappresenta il fulcro strategico: è il centro di comando politico e militare di Hamas, il nodo delle sue comunicazioni sotterranee e il luogo da cui l’ala militare continua a organizzare la resistenza. Una sua conquista equivarrebbe a infliggere un colpo mortale all’organizzazione. Nonostante la disponibilità manifestata da Hamas ad accettare la tregua, Netanyahu sembra intenzionato a proseguire con i preparativi militari, convinto che soltanto la minaccia di un’offensiva su larga scala possa spingere il movimento islamista a concessioni concrete.

Il doppio volto del Qatar

Il contesto diplomatico, tuttavia, mette in evidenza un paradosso: il Qatar, che siede al tavolo delle trattative come mediatore insieme a Egitto, Stati Uniti e Turchia, è da anni anche il principale sponsor politico ed economico di Hamas.A Doha risiedono stabilmente i leader dell’organizzazione, tra cui Khalil al-Hayya, e da lì vengono gestiti i rapporti con i mediatori internazionali. L’emirato ha erogato negli ultimi anni centinaia di milioni di dollari destinati ufficialmente ad aiuti umanitari e stipendi per i dipendenti pubblici di Gaza. Tuttavia, secondo fonti israeliane e occidentali, parte di quei fondi ha rafforzato le capacità militari del gruppo, contribuendo al mantenimento della sua macchina bellica.Questa duplice veste di Doha – partner di negoziato e protettore politico di Hamas – alimenta sospetti e tensioni. Da un lato, nessun attore internazionale ha la stessa influenza diretta sull’organizzazione, e per questo Stati Uniti e Israele si trovano spesso costretti a legittimare il ruolo del Qatar come facilitatore. Dall’altro, l’emirato viene accusato a giusta ragione di condurre un doppio gioco, sfruttando la crisi per accrescere il proprio peso geopolitico senza rinunciare al sostegno a un gruppo responsabile di attacchi terroristici. Per gli analisti, la mossa di Hamas di presentare la proposta aggiornata proprio al premier qatariota Mohammed bin Abdulrahman al-Thani dimostra ancora una volta il legame privilegiato tra Doha e l’organizzazione. Se da un lato l’emirato capitalizza la sua posizione come unico attore in grado di convincere Hamas a negoziare, dall’altro continua a offrire protezione ai suoi leader e a garantirne la sopravvivenza politica. Israele e Stati Uniti non possono ignorare questa realtà: senza il Qatar, nessun dialogo con Hamas sarebbe possibile. Ma allo stesso tempo, proprio questa dipendenza rende Doha un arbitro non neutrale, sospettata di piegare la mediazione ai propri interessi strategici.

Mentre i mediatori arabi ed egiziani si affannano per strappare un cessate il fuoco temporaneo, Israele avanza i piani per l’operazione più delicata dall’inizio della guerra: la presa di Gaza City. Sullo sfondo, il Qatar continua a giocare il ruolo ambiguo di sponsor e mediatore, protettore di Hamas e interlocutore indispensabile dell’Occidente. L’attuale proposta di tregua, secondo fonti arabe, è molto simile – per il 98% – a quella elaborata mesi fa dallo statunitense Steve Witkoff e respinta allora da Hamas. La differenza sta nella pressione militare sul terreno: i combattimenti hanno logorato l’organizzazione, spingendola a ridurre le richieste iniziali, in particolare sul numero di prigionieri palestinesi da liberare e sulla larghezza della fascia cuscinetto che Israele intende mantenere lungo il confine. Il punto centrale resta il rilascio degli ostaggi. Israele insiste per la liberazione completa dei circa 50 prigionieri ancora detenuti contemporaneamente, mentre Hamas preferisce una liberazione graduale, così da mantenere un margine di pressione politica e mediatica su Israele.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti