Guerra, la sicurezza passa per il Mediterraneo: così mine galleggianti e petrolio minacciano la pace futura
- Postato il 18 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La pace è in alto mare e non è solo una metafora: anche il mare Mediterraneo è bagnato dalla guerra. Si sono appena tenuti in Turchia, al quartier generale della Marina turca di Ankara, i colloqui tra vertici militari per garantire – mentre continua a infuriare la guerra russo-ucraina – la sicurezza di navigazione sul Mar Nero, lungo il corridoio liquido del grano, cruciale per la sicurezza strategica, logistica, alimentare di tutta la regione mediterranea. Che la futura sicurezza geopolitica sarà soprattutto liquida e dipenderà principalmente dal controllo degli abissi – dove transitano idrocarburi nei gasdotti e dati nei cavi delle connessioni internet – lo dimostrano i numerosi colloqui organizzati dal 2022 ad oggi per placare le tensioni sulla scacchiera liquida, dove il conflitto per il controllo delle onde contese dalle maggiori potenze mondiali è però più silenzioso e segreto di quello che si combatte sopra la terra.
La contesa strategica russa si estende ben oltre le quattro regioni dell’est ucraino – soprattutto dopo la caduta di Assad e la crisi siriana che ha fatto spostare la bussola del Cremlino verso la Libia. Mosca considera l’accesso al Mediterraneo un’esigenza strategica, ma la guerra nel Mediterraneo rischia di non terminare anche quando quella a terra, alla frontiera ucraina, sarà finita.
Di certo, più del conflitto scoppiato tre anni fa, dureranno le sue conseguenze. Nel maggio del 2022 l’Organizzazione marittima internazionale ha già allarmato sulla “grave e immediata minaccia alla sicurezza” delle navi che operano nelle acque di guerra a causa delle mine galleggianti. Nel Nar Nero, dove non si possono scavare trincee o alzare barricate, dove non ci sono confini e dogane, nessuno può stabilire con precisione quante mine siano state piazzate dall’esercito russo e quello ucraino. Si sa però quanti ordigni hanno cominciato a viaggiare verso altre sponde a causa delle correnti, creando un grave rischio al traffico umano e agli scambi commerciali: un centinaio di mine sono state individuate nel Mar Nero e cinque navi civili sono rimaste colpite. L’ultimo vascello è un cargo panamense, sul quale nel dicembre 2023 sono rimasti feriti due membri dell’equipaggio. Nell’agosto dello stesso anno una mina è stata disinnescata dalle forze armate rumene: era finita nelle acque del Danubio; dal 2022 ad oggi molti più esplosivi galleggianti sono spuntati al largo delle coste turche e bulgare. Sulla scia della Convenzione di Bucarest adottata negli anni Novanta per la protezione del Mar Nero, nel gennaio 2024 le Difese di Turchia, Romania e Bulgaria, con un piano congiunto, hanno messo in piedi una task force per bonificare i mari e per tutelare transito costiero e biodiversità mediterranea, il cui degrado è stato accelerato dal conflitto. Ma non è stato abbastanza; per la guerra in corso, da ambiziosa, la sfida è diventata ciclopica.
Il conflitto non mette a repentaglio solo la sopravvivenza di traffici, ma anche quella dell’ecosistema sommerso. In “Mare Nero: l’ombra delle mine”, l’ultimo report di Greenpeace sullo stato di salute delle rotte blu, viene documentato come le onde d’urto delle mine feriscano, talvolta a morte, i mammiferi che popolano i fondali (la detonazione di un singolo ordigno può danneggiare o del tutto distruggere sonar e organi uditivi degli animali che finiscono alla deriva). La guerra russo-ucraina è stata per l’universo liquido una matrioska di catastrofi: anche la rottura della diga di Kakhovka sul Dnirpo nel giugno 2023 è stata, secondo la rivista Science, “un colpo mortale a innumerevoli organismi” marini per le sostanze tossiche che dal fiume sono arrivate al mare. Poi, nel dicembre 2024 due petroliere russe – la Volgoneft 212 e 239 – sono state travolte da una tempesta nello stretto di Kerch – che collega il Mar Nero con il Mar d’Azov – e migliaia di tonnellate di petrolio sono finite in mare, intossicando flora e fauna tra le onde.
Da quelle ucraine, fino alle coste israelo-palestinesi e yemenite, le strade blu del Mediterraneo rischiano di diventare rosso sangue o nero pece per lo scontro tra potenze. La riconciliazione tra imperi in futuro dovrà essere soprattutto liquida: la pace che verrà trovata tra le onde deciderà anche quella delle terre che bagnano.
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