Guerra della soia, asset strategico tra potenze. La Cina la importa dal Brasile e Trump teme l’ira degli agricoltori Usa

  • Postato il 29 ottobre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Le pressioni e l’attenzione riservate all’accordo tra Stati Uniti e Cina sulla soia (oltre che sulle terre rare) con Pechino pronta a riprendere gli acquisti, ritardando di un anno la stretta sulle terre rare (https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/10/26/accordo-usa-cina-tiktok-terre-rare-notizie/8173645/), mostra quanto questo legume sia diventato un asset strategico a livello globale. Al centro di una triangolazione tra Cina, Stati Uniti e Sud America (Brasile, in particolare, ma anche Argentina), delle guerre commerciali e pure del malcontento degli agricoltori statunitensi. Ennesimo grattacapo per Trump. Oggi quasi onnipresente nei prodotti che consumiamo tutti i giorni (non solo ad uso alimentare), i fagioli di soia selvatici si utilizzavano già 9mila anni fa in Cina, considerata la patria di questo legume. Ma oggi il Paese detiene anche il record delle importazioni, dovuto anche all’aumento dei consumi di carne (e quindi alla necessità di procurarsi il mangime per gli allevamenti intensivi). Solo che tra il 2017 e il 2024, stando ai dati del Center for Strategic and International Studies, se le esportazioni di soglia dagli Usa alla Cina sono diminuite del 14%, a compensare questo calo ci hanno pensato i Paesi del Sud America. In particolare, il Brasile che ha aumentato le sue esportazioni del 35%. Tutto questo a svantaggio degli agricoltori statunitensi, per i quali il mercato cinese è di vitale importanza. E che sono sul piede di guerra, perché Pechino ha già risposto alla guerra commerciale lanciata dal presidente Usa, quasi azzerando le importazioni di soia statunitense. L’altra faccia della medaglia, sono gli effetti che l’aumento di produzione ed export di soia da Brasile e Argentina hanno sugli equilibri di ecosistemi delicati e strategici per tutto il pianeta. In primis, quello della Foresta Amazzonica, dove le piantagioni di soia continuano a sostituire gli alberi.

La guerra tra Usa e Pechino passa attraverso la soia sudamericana – Tutto è iniziato negli anni Settanta, con un cattivo raccolto di soia negli Stati Uniti. La Cina capì che doveva diversificare, Brasile e Argentina che si stava aprendo un varco nel muro Usa. Il resto lo hanno fatto lo sviluppo e il drastico cambiamento delle abitudini alimentare della Cina che ha creato una domanda sempre maggiore. Così, a fasi alterne, quando la tensione tra Washington e Pechino si è alzata, non è stato impossibile sostituire la soia che arrivava dagli Stati Uniti. Basti pensare a quanto avvenuto nel 2019, durante il primo mandato di Donald Trump, quando il tycoon impose tariffe sui prodotti cinesi e Pechino ridusse le importazioni di soia dagli Stati Uniti, spostando gli acquisti in Brasile. Anche nei mesi scorsi, funzionari cinesi hanno confermato che la Cina potrebbe rinunciare alle importazioni agricole statunitensi, senza eccessivi scossoni, anche rispetto agli obiettivi di crescita.

Trump si gioca il consenso degli agricoltori (nei feudi repubblicani) – E questo preoccupa gli agricoltori, memori proprio di ciò che avvenne del 2019 quando, a causa della riduzione delle importazioni di soia della Cina, Washington fu costretta a varare un piano di salvataggio dal 23 miliardi di dollari per gli agricoltori. Non è un caso se, anticipando degli accordi con Pechino nel corso del programma ‘Face the Nation with Margaret Brennan’ della Cbs News, il segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent ha citato proprio gli agricoltori. “I coltivatori di soia saranno estremamente soddisfatti di questo accordo per quest’anno e per gli anni a venire” ha detto Bessent, consapevole di quanto sia importante per Trump il consenso dell’industria agroalimentare e dei coltivatori di soia. Di Illinois, Indiana, Iowa, questi ultimi due feudi repubblicani.

Quanto crescono le importazioni dal Brasile – Questo il contesto nel quale sono cresciuti i flussi commerciali tra Cina e Paesi dell’America Latina. In modo particolare, dell’export dal Brasile. I dati: nel 2024 la Cina è stata il maggior importatore mondiale di soia, con acquisti dall’estero per circa 105 milioni di tonnellate, ma ne ha acquistata circa il 20% dagli Stati Uniti, mentre nel 2016 ne importava dagli States il 41%. Da gennaio a luglio 2025, inoltre, la Cina ha importato 42,26 milioni di tonnellate di soia dal Brasile, mentre le spedizioni dagli Stati Uniti sono state pari ad appena 16,57 milioni di tonnellate. Su questo fronte, a poco è servito il Liberation Day di aprile e anche l’estensione di 90 giorni della tregua tariffaria con Pechino con la richiesta di quadruplicare l’import dagli Stati Uniti: la Cina ha praticamente azzerato le importazioni di soia Usa e i coltivatori, che non hanno ricevuto prenotazioni per il raccolto di ottobre (si stima un calo dell’export di circa 14-16 milioni di tonnellate), perderanno miliardi di dollari. Parallelamente Pechino ha aumentato le prenotazioni della soia argentina approfittando dell’abbattimento delle tasse all’export di soia deciso dal presidente, Javier Milei (tra l’altro, sostenuto proprio da Trump). Ad oggi, di fatto, il 70% della soia importata da Pechino arriva dal Brasile e, di questa quota, il 30% passa dal porto di Santos, sulla costa atlantica. Certo, la rete di trasporti e le infrastrutture, per esempio, le capacità portuali, creano diversi problemi che negli Usa non ci sono. E c’è un altro problema: se il clima consente anche tre raccolti l’anno, il terreno argilloso ha bisogno di ingenti quantità di fertilizzanti e il Brasile ne ha sempre importato enormi quantità dalla Russia. Problemi che, però, non hanno fermato finora il trend.

L’effetto sugli ecosistemi – E questo ha conseguenze impattanti per il Brasile. D’altronde, se nel 2024 le esportazioni dell’agroalimentare brasiliano hanno raggiunto i 164,4 miliardi di dollari e, a guidare l’export verso 63 Paesi sono state soia (53,9 miliardi di dollari), carne (26,2 miliardi), zucchero e alcol (19,7 miliardi), prodotti forestali (17,3 miliardi) e caffè (12,3 miliardi) si capisce quali possano essere gli effetti sulle foreste. Ad agosto scorso, le autorità brasiliane hanno sospeso la moratoria che imponeva alle aziende di non acquistare soia da terreni deforestati in Amazzonia. Una sospensione che, dal 2006, aveva contribuito alla protezione della Foresta Amazzonica, evitando la deforestazione di circa 17mila chilometri quadrati (anche se hanno continuato a registrarsi fenomeni di conversione indiretta del suolo, soprattutto nelle savane del Cerrado e nelle aree di pascolo dismesse). Un recente studio pubblicato su Nature Food da Camilla Govoni e Maria Cristina Rulli del Dipartimento di ingegneria civile e ambientale del Politecnico di Milano, in collaborazione con La Zhuo dell’Accademia cinese delle scienze e Dirce Lobo Marchioni dell’Università di San Paolo, in Brasile, spiega come la crescente domanda di carne e proteine animali in Cina dipende sempre più dalle risorse agricole del Brasile, con effetti diretti sull’utilizzo del suolo, sulle risorse idriche e sulla deforestazione del Paese sudamericano. Tra il 2004 e il 2020 le importazioni cinesi di soia sono passate da 6 a 60 milioni di tonnellate: un aumento di oltre dieci volte, che nel 2020 ha richiesto 17,8 milioni di ettari di terreno brasiliano (un’area grande quanto l’Uruguay) e oltre 86 chilometri cubi di acqua piovana, più 0,29 chilometri cubi di acqua di irrigazione. Questa soia (destinata in gran parte all’alimentazione di suini, pollame e pesci d’allevamento) sostiene quasi un terzo delle proteine animali consumate in Cina.

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