Greta Thunberg coi portuali di Genova sostiene lo sciopero Usb: “Europa sulla strada sbagliata, ha scelto il riarmo”
- Postato il 29 novembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
- 3 Visualizzazioni
A Genova, la sera prima del corteo per lo sciopero dell’Unione sindacale di base (Usb), l’attivista svedese incontra i lavoratori che bloccano il transito di armi nei porti.
“Ho pianto guardando quel video, quando mentre eravamo in rotta verso Gaza i portuali di Genova dicevano che avrebbero potuto bloccare l’Europa. È questo che significa solidarietà”. Con José Nivoi, del Collettivo autonomo lavoratori portuali e sindacalista Usb Mare e Porti, con il quale si è conosciuta nell’azione politica e umanitaria nonviolenta della Global Sumud Flotilla di settembre, Greta Thunberg spiega a ilfattoquotidiano.it le ragioni della sua presenza a fianco dei portuali, da anni in lotta contro il transito di armi verso paesi in guerra.
“Essere qui – dice – è uno dei modi più chiari per tradurre in azione ciò che diciamo. Lottiamo contro lo stesso sistema: quello che crea ecocidi e genocidi, che distrugge il pianeta e opprime i palestinesi da decenni, ma che colpisce anche i lavoratori in Europa. Per questo siamo più forti insieme”.
La mobilitazione genovese è parte dello sciopero generale contro la finanziaria del governo Meloni, indetto venerdì dall’Usb. Per Greta, che nelle ore precedenti aveva incontrato i lavoratori del Collettivo di fabbrica della Gkn e gli operai del Sì Cobas di Firenze e Prato, e che sabato parteciperà al corteo organizzato a Roma dall’Usb, Genova rappresentava una tappa essenziale: è uno dei porti in cui il carico di materiali bellici è stato più volte ostacolato da picchetti e scioperi, recentemente in particolare quello verso Israele.
Lo sguardo va anche verso questa Unione europea, che dall’annunciato impegno per il clima sembra ora dare priorità al riarmo: “Nel 2019 ci raccontavano il Green Deal – ricorda Thunberg –. Sapevamo che era debole, ma oggi è evidente che non c’è mai stata una vera volontà. I governi europei hanno scelto il riarmo. Siamo esattamente sulla strada sbagliata: intensificano l’oppressione, permettono ai ricchi di diventare ancora più ricchi a spese della maggioranza, alimentano conflitti”.
Per José Nivoi, il collegamento tra la crisi climatica, la militarizzazione e la Palestina è tutt’altro che retorico: “Nella logica guerrafondaia dei governi si vendono armi a paesi aggressori, come Israele. E così si alimentano i massacri. Per questo parliamo di finanziaria di guerra: l’Italia stanzia quasi 100 miliardi per il comparto militare, con un aumento previsto di 70 miliardi”.
Bruxelles chiede agli Stati membri oltre 830 miliardi per potenziare l’industria bellica dei paesi europei, come concordato con la Nato entro il 2030. “Ma senza l’Unione europea – dice Thunberg – Israele non potrebbe portare avanti questo genocidio. L’apartheid, l’oppressione e l’ecocidio in Palestina sono il risultato diretto del sostegno politico, militare e culturale europeo. Dobbiamo chiamare l’Europa alle sue responsabilità”.
I portuali italiani sono tra i pochi ad aver tradotto in scioperi concreti questo dissenso. Ma non mancano critiche sulle divisioni tra sindacati, come se questo impegno per la Palestina fosse strumentale o riducibile a logiche di visibilità. “Non credo sia così – commenta Nivoi –. La partecipazione di massa allo sciopero del 22 settembre lo dimostra. Certo che vorremmo maggiore unità sindacale e nell’opposizione sociale a queste politiche: come tutti i nostri scioperi, chi vuole unirsi è benvenuto. Come per quello del 22 settembre, anche gli altri sindacati erano stati invitati a convergere. Così non è stato, e non per nostra scelta”.
Certo, l’attenzione mediatica e la partecipazione internazionale di massa che c’erano state con Fridays for Future, prima, e con la Flotilla, più recentemente, crescono velocemente e altrettanto rapidamente sembrano evaporare. È difficile andare avanti quando si raggiungono picchi così alti di partecipazione. “Sappiamo come funziona il panorama dei movimenti, con temi che vanno in tendenza e poi sembrano scomparire dai radar – spiega Thunberg –. È anche normale che cambino i nomi delle organizzazioni, ma a me sinceramente non importa sotto quale nome si presenti un movimento, finché portiamo avanti il lavoro presentandoci in massa. Ma la dura realtà è che servono molte più persone attive. Quando i governi non agiscono, tocca a noi, ma dobbiamo essere tanti. Dire ‘non nel nostro nome’ è importante, ma ancora più importante è fermare davvero ciò che accade. E niente è più efficace dei lavoratori che fermano un paese”.Gret
L'articolo Greta Thunberg coi portuali di Genova sostiene lo sciopero Usb: “Europa sulla strada sbagliata, ha scelto il riarmo” proviene da Il Fatto Quotidiano.