Gravina e i 140mila euro per i diritti tv, il Riesame dice no al sequestro ma scrive: “Il presidente Figc orchestrò tutta l’operazione”

  • Postato il 21 novembre 2024
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Adesso c’è un giudice convinto che il presidente della FederCalcio abbia “evidentemente orchestrato” una “articolata operazione” per distrarre delle somme dal sistema e appropriarsene, “ostacolando concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. È tutto nero su bianco nelle motivazioni con cui il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di sequestro di 140mila euro nei confronti di Gabriele Gravina. Solo in apparenza una buona notizia per il n.1 del pallone.

La vicenda ormai è nota. Gravina, presidente della Figc, è indagato per appropriazione indebita e autoriciclaggio: avrebbe incassato – secondo l’accusa – una provvigione su una consulenza alla società ISG sui diritti tv della Serie C, quando ne era a capo nel 2018, attraverso un intricato schema di opzioni fittizie su una collezione di libri antichi di sua proprietà. In particolare, la società inglese Ginkgo, dopo aver stipulato a sua volta un accordo con ISG, ha versato (tramite l’intermediario Wallector e il curatore Mizar) un acconto di 200 mila euro; saltato l’acquisto, Gravina ha trattenuto la caparra (cedendo solo una parte dei tomi a Mizar), e l’avrebbe utilizzata per estinguere un mutuo servito a restituire il prestito che gli aveva fatto in precedenza Marco Bogarelli, l’ex re dei diritti tv deceduto nel 2021, per comprare un appartamento a Milano per la figlia della compagna. Al quadro ricostruito dagli inquirenti, un’inchiesta del Fatto ha aggiunto un tassello importante : Gianni Prandi, l’imprenditore a cui è riconducibile Ginkgo – la società che di fatto ha sborsato circa 200mila euro per non comprare i volumi di Gravina – è poi diventata negli ultimi tempi prezioso fornitore della FederCalcio sotto la gestione Gravina (ma i due sostengono di essersi conosciuti soltanto dopo la compravendita).

Il quadro accusatorio è molto grave ma nelle scorse settimane la difesa aveva fatto segnare un punto importante a suo favore: il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di un sequestro preventivo di 140mila euro, smontando la tesi dei pm, ritenendo non provato il delitto presupposto rispetto all’autoriclaggio, soprattutto perché ha considerato inattendibile la testimonianza di Emanuele Floridi, esperto di marketing ed ex collaboratore di Gravina, che con le sue informazioni ha innescato l’indagine (che si è avvalsa degli accessi abusivi da parte del colonnello Striano). Decisione confermata anche dal Tribunale del Riesame, che però, tra le righe, al contempo ribalta la situazione.

Il presupposto fondamentale del giudizio, infatti, è che il Riesame respinge il sequestro non perché Gravina è credibile ma soltanto perché è… ricco. Trattandosi di una misura cautelare, e non di un giudizio di merito, non sussiste il “periculum in mora” della dispersione dei fondi perché la situazione patrimoniale del n. 1 della Figc è “florida ed economicamente solida”. E questo anche grazie al pallone: Il Fatto ha già raccontato in passato come Gravina è riuscito da qualche anno a farsi attribuire un lauto stipendio dal consiglio federale, come responsabile del Club Italia, la struttura che si occupa della nazionale (che intanto ha rimediato solo figuracce: ma questa è un’altra storia). Emolumento a cui si somma quello percepito a livello internazionale in Uefa. Nel 2024, Gravina ha dichiarato redditi per oltre 854mila euro. Dunque, non avrebbe difficoltà a far fronte ad una eventuale restituzione.

Nelle motivazioni, però, il Collegio si spinge molto oltre nelle sue valutazioni, fornendo dei giudizi che sembrano confermare l’accusa. A partire già dalla figura del Floridi, che non può essere considerato “completamente inattendibile” soltanto per il suo “pacifico malanimo” verso Gravina. Anche perché, come sottolineano i pm, i riscontri documentali sono stati trovati. Secondo il Collegio, è “palese l’evanescenza del contratto fra ISG e Ginkgo”, quello con cui il consulente sui diritti tv della Lega Pro paga la società che poi si interesserà ai libri di Gravina, versando una caparra mai restituita. Inoltre, “il totale abbandono da parte di Gingko del corrispettivo dell’opzione di cui non tentava alcun recupero rende palese la fittizietà dell’operazione, con cui il cerchio si chiudeva ed il denaro rientrava in possesso dell’indagato”. Mentre il Gip “erra” nel ritenere i 68 volumi ceduti da Gravina come “controprestazione” della somma trattenuta.

Insomma, secondo il Tribunale del Riesame, l’intera operazione – su cui viene contestato il reato di autoriclaggio – era “evidentemente orchestrata da Gravina e da Bogarelli (ormai scomparso, nda)”. Questo è quanto scrive il Collegio. I legali di Gravina, Leo Mercurio e Fabio Viglione, la leggono in maniera diversa: “La valutazione attiene a una mera compatibilità astratta con le ipotesi dell’accusa che non può in nessun modo rappresentare un’anticipazione di giudizio, non essendo il carattere della pronuncia volto a provare l’innocenza o la colpevolezza, ma la mera giustificazione di una misura patrimoniale”. La domanda però resta: quei soldi per i diritti tv furono davvero fatti uscire dalle casse della Serie C (a proposito, la Lega non ha mai presentato querela: come mai?) per finire nelle tasche di chi oggi governa il calcio italiano ed è pronto a ricandidarsi per l’ennesima volta? Oltre che alle autorità giudiziarie, che presto dovranno decidere su un rinvio a giudizio, Gravina deve una risposta innanzitutto al suo mondo.

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Il Fatto Quotidiano

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