Gran folla all’ombra dei “giganti buoni”
- Postato il 26 ottobre 2024
- Viaggi In Italia
- Di Panorama
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Gran folla all’ombra dei “giganti buoni”
Per Simona Lo Bianco, responsabile per il Fai della Riserva Giganti della Sila, studi in economia e marketing della cultura allo Iulm di Milano e in turismo all’Università della Calabria (con un percorso professionale all’incontrario, dal nord verso sud) si tratta di «un successo senza precedenti per il nostro museo a cielo aperto, composto da una sessantina di alberi monumentali che per importanza naturalistica e storica affascinano e alimentano racconti e leggende».
I grandi alberi della Calabria, definiti saggiamente “le colonne del cielo”, rappresentano una realtà assolutamente unica nel vasto e diversificato paesaggio nazionale: se il pino loricato è, per antonomasia, l’albero tipico del Parco nazionale del Pollino, la Sila e il suo Parco nazionale sono degnamente rappresentate da almeno due simboli arborei, l’abete bianco e, soprattutto, il pino larìcio che costella l’intero altopiano posto nel cuore della penisola calabrese. “E’ un albero imponente, per taglia e portamento, che raggiunge facilmente i 35-40 metri di altezza con chioma ampia e folta là dove la densità dei popolamenti non risulti eccessiva e la sua presenza, più di ogni altra, impronta il paesaggio delle montagne silane. Un tempo considerato semplice varietà del pino nero, specie che in Europa ha dato origine a molte entità locali con areale circoscritto, oggi è ritenuto una specie a sè stante, esclusiva della Calabria e di alcune zone montane della Sicilia nord occidentale e della Corsica”. Così lo descriveva, qualche anno addietro, Franco Zavagno sulle pagine della rivista Oasis. Lo si incontra lungo tutto l’altopiano, ma in particolare c’è una zona in cui è riuscito ad esprimersi in maniera quasi irreale, non solo per le proporzioni: partendo da Camigliatello Silano, capitale turistica dell’altopiano, e dirigendosi verso sud, seguiamo l’agevole Statale 107, quella che collega il Tirreno e lo Jonio, sino al crinale di Croce di Magàra. Qui raggiunto il piccolo omonimo villaggio si svolta a destra e si imbocca il lungo stradone che conduce direttamente nel cuore della Riserva naturale biogenetica istituita nel 1987 con un Decreto ministeriale che ne sottolineava il particolare pregio scientifico. Sugli oltre 5 ettari, ad una quota media di 1420 m s.l.m., incontriamo i 56 esemplari di pino larìcio (qualcuno, purtroppo, ha dovuto cedere a cause naturali…) che tra un diametro di quasi due metri ed un’altezza anche di 40,
incantano per quell’aria di giganti buoni: se ne stanno lì almeno dal 1620, quando l’allora proprietario del fondo volle gettare le basi per un ricovero di pini da associare alla filanda e alla casa di famiglia: oggi quelle piante hanno raggiunto proporzioni inusitate tanto da meritarsi l’appellativo di “Giganti del Fallìstro”.
«Non è chiara l’etimologia del toponimo “Fallìstro” che sicuramente va attribuito a tutta la valle sul cui fondo scorre il fiume Neto», sottolinea Francesco Bevilacqua, che non può fare a meno di ricordare come il bosco scampò al taglio verso la metà degli anni Settanta: «l’allora Ente di sviluppo agricolo della Calabria che ne era proprietario intendeva assegnare il piccolo appezzamento di terreno ad un contadino affinchè vi piantasse patate: la denuncia della famiglia dei Baroni Mollo di Cosenza, proprietaria di una della due case e l’azione congiunta di Wwf e di Italia Nostra, scongiurarono il compiersi di quello che sarebbe stato un vero e proprio scempio ambientale».
Firma competente di reportages su Airone, Bell’Italia, Natura Oggi, Oasis, Ulisse, Panorama, Alp, Panda, Rivista del Trekking, Rivista del Cai, Calabria, Gazzetta del Sud e produttore di servizi radio-televisivi per conto della Rai, Bevilacqua ha la rara capacità di accompagnare il camminatore in natura e il lettore attraverso tutti e sei i gruppi montuosi che fanno della Calabria una regione paradossalmente montuosa e collinare. Avvocato civilista ed amministrativista di professione, camminatore, scrittore, giornalista e fotografo naturalista per passione, il nostro interlocutore è sicuramente il massimo divulgatore del paesaggio calabrese grazie non solo ai migliaia di chilometri percorsi lungo questa penisola strategicamente collocata nel cuore del Mediterraneo, quanto -soprattutto- al singolare approccio filosofico alla natura, che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “scopritore dei luoghi perduti”. E in un certo senso, i Giganti del Fallìstro hanno realmente colonizzato un luogo che si è conservato intatto per secoli: un luogo incantevole, in ogni caso, perchè rimanere all’ombra di questi colossi permette al visitatore di farsi completamente assorbire da una natura che ha fatto dell’imponenza e della maestosità delle forme la sua carta vincente. Certo, qui non siamo sugli sulle cime di dolomitica memoria del Gruppo dell’Orsomarso o tra gli strapiombi aerei del Pollino, dove a 2000 e più metri di quota il Pino Loricato resiste ad ogni sorta di potenza atmosferica della natura. Qui, nell’ampia conca di Magàra l’ambiente è del tutto rassicurante: la dolcezza della Sila, in questo, conforta anche il più distaccato visitatore, che può starsene tranquillamente sdraiato quaranta metri più in basso, ed ammirare le grandi chiome che solleticano il cielo dell’altopiano calabrese.
“Al centro della Calabria si trovano i principali complessi forestali di questa regione e forse dell’Italia meridionale, gelosamente protetti ed ampliati dall’Amministrazione forestale dell’Azienda di Stato per le foreste demaniali: si tratta di vaste compagini boschive dominate dal pino larìcio sulle quote superiori. Particolarmente interessante la presenza di quest’ultimo, una varietà di pino nero, dal portamento colonnare e dal legno di ottima qualità, tanto da essere utilizzato nel passato per le necessità della Regia Marina italiana”. Ancora la rivista Oasis, nelle parole di Francesco Petretti, presentava ai cultori dell’ambiente montano italiano questo giardino incantato, dove entrare in una dimensione da favola non è certo difficile: quando il vento sibila tra questi tronchi alti e rettilinei, quando le chiome oppongono resistenza agli agenti atmosferici, che sia una bufera invernale o una pioggia primaverile, lì, ai piedi di questi giganti, non è difficile trovare riparo, sentirsi potetti da una natura che ha assunto sembianze al limite del poetico. È questa la sensazione evidente, ma al tempo stesso più intima, che si coglie nel rimanere, anche solo per qualche minuto, ad osservare i larìci del Fallistro: si entra in contatto, in simbiosi, quasi si è costretti a parlare con queste creature, come accadeva «ad un anziana nobildonna veneta trapiantata in Calabria» -ricorda ancora Bevilacqua «che i locali guardavano con sospetto perché non di rado l’avevano sorpresa a discorrere con gli alberi: mi disse che quei patriarchi arborei erano spiriti vecchi di cinquecento anni e che con essi chiunque poteva tessere un intimo sorprendente dialogo, se lo desiderava. Da convinta credente la signora Paola sosteneva anche che le preghiere salmodiate in quel tempio naturale avevano un valore più profondo di quelle recitate in una chiesa: perché, diceva, era uno dei luoghi di culto prediletti dal buon Dio che l’aveva creato così bello e sontuoso».
Intanto la Riserva si gode il proprio momento di gloria e di ribalta nazionale, circondata dai colori autunnali che regalano un’atmosfera se possibile ancora più affascinante.
Bella soddisfazione, dottoressa Lo Bianco!
«E’ stimolante accompagnare centinaia di visitatori lungo il sentiero attrezzato all’ombra di questi colossi arborei che rimangono, ad oggi, i pini larìci più alti e antichi d’Europa: sono rimasti in vita nonostante negli ultimi 400 anni la Sila abbia subito massicci disboscamenti; si tratta dell’ultima testimonianza vivente dell’antica foresta silana, la “hyle” dei greci e la “silva” dei romani, per intenderci. Quando si entra nel perimetro si compie, praticamente, un tuffo nel passato, visto che il resto dell’immensa superficie boscata della Sila è rappresentata da esemplari giovani, ripiantati nel corso del tempo».
Patrimonio da record…
«Abbiamo iniziato a registrare il trend positivo fin quando il Fai è entrato nella gestione della Riserva, aiutandoci a trasmettere e raccontare questa storia incredibile, che coniuga elementi della natura e serio impegno dell’uomo. Dall’apertura stagionale di aprile ben 37 mila persone (solo ad agosto 18 mila) hanno passeggiato quaranta metri sotto le chiome estreme dei nostri pini larìci, un numero importante se pensiamo che la Riserva non è sempre aperta alle visite, come nei mesi invernali o quando le condizioni meteo-climatiche non lo permettono assolutamente».
Numeri che confermano la Riserva come il bene-Fai più visitato in Italia nel mese di agosto…
«Che è il mese degli spostamenti turistici per antonomasia. Come calabresi un risultato di cui andare fieri…».