Goffe e lente? Il test scientifico smonta i pregiudizi sul calcio femminile: perché il confronto con il maschile mente

  • Postato il 3 luglio 2025
  • Calcio
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Va detto e ribadito: il più grande errore commesso nella valutazione del calcio femminile è quello di valutarlo attraverso parametri maschili. Un confronto da cui non può che uscirne sconfitto, deriso e umiliato, e viene da pensare che in fin dei conti lo scopo sia proprio quello di sminuire lo sport pallonaro declinato al femminile. Ha fatto notizia e riacceso il dibattito la sconfitta per 7-1 della nazionale femminile svizzera in un’amichevole preparatoria dell’Europeo, che è iniziato ieri proprio sul suolo elvetico, contro l’under-15 maschile del Lucerna. Una partita che, nelle intenzioni della Federcalcio svizzera, avrebbe dovuto rimanere segreta. Invece risultato e video del match sono trapelati via whatsapp, attraverso l’account di qualche giocatore, e la questione si è allargata a macchia d’olio fino a travalicare i confini nazionali, provocando un’ondata di commenti e reazioni facili da immaginare. Oltretutto, non si è trattato nemmeno del primo risultato choc, visto che tempo fa anche la nazionale australiana femminile, collocata ben più in alto della Svizzera nel ranking Mondiale, fu sconfitta 7-0 da una selezione mista di under-15, 16 e 17 dei Newcastle Jets.

Quanto vale quindi il calcio femminile? Non meno di quello maschile, a parità di condizioni. Questa risposta è arrivata da un esperimento condotto dalla trasmissione Einstein dell’emittente pubblica della svizzera tedesca e romancia SRF. Il programma, che può essere paragonato al nostro Quark, si è basato su uno studio dell’Università di Trondheim, che ha calcolato come potrebbero essere compensati in una partita di calcio i vantaggi biologici che gli uomini hanno sulle donne. È noto come, mediamente, gli uomini siano più alti e sviluppino una maggiore massa muscolare, che influisce su parametri quali velocità, potenza di salto e resistenza. Il punto di partenza dello studio, condotto dallo scienziato Arve Vorland Pedersen assieme alla sociologa Ragna Stalsberg, è stato la domanda: “Le donne giocano a calcio peggio degli uomini?”. La risposta, illustrata dall’esperimento “supersize” condotto dal programma Einstein, è negativa.

La dimostrazione empirica è arrivata da una partita tra l’under-17 del Winterthur e l’under-19 del Thun maschili che la RSF ha fatto disputare in condizioni parametrate proporzionalmente ai vantaggi biologici di cui godono gli uomini. Quindi due tempi da 56 minuti anziché da 45, campo 27 metri più lungo e 16 metri più largo del canonico 105×68, pallone più pesante di circa 200 grammi e con una circonferenza di 76 centimetri (invece di 70), e porte 28 centimetri più alte e 108 più larghe di quelle tradizionali. Il risultato è stato una partita che sembrava giocata al rallentatore, con i calci d’angolo che faticavano ad arrivare in area, portieri in costante imbarazzo e giocatori già in debito d’ossigeno alla fine del primo tempo. “È stato terribile”, ha dichiarato a fine gara un giocatore, “mi sono sentito dieci anni più vecchio. Un’esperienza sfibrante che non rifarei mai”. Nei 37 minuti di durata della trasmissione, oltre agli spezzoni della partita XXL sono stati mostrati altri esperimenti, come il portiere dello Young Boys femminile Tamara Biedermann in azione tra i pali prima in una porta originale e in seguito in una porta adattata agli standard femminili, sempre secondo i dati della ricerca. Nel secondo caso il rendimento si è impennato e le prestazioni della giocatrice sono apparse molto più aderenti agli standard professionali richiesti.

“Questo è possibile”, ha commentato il professor Pedersen, “perché tecnicamente e tatticamente le donne sono uguali agli uomini. La differenza la fanno i fattori fisici, e sinceramente mi infastidisce pensare che le persone non siano in grado di riconoscere da sole questa cosa. Ma se lo fossero, probabilmente non ci sarebbe bisogno di queste ricerche”. A questo si aggiunge il carico dei fattori culturali, che in un mondo prettamente maschile come quello del calcio assumono ancora una valenza importante. Secondo Laura Moser, ex calciatrice della nazionale svizzera che ha assistito alla partita XXL in diretta, “il genere è rilevante nella considerazione dell’errore. Se una donna sbaglia, spesso è dovuto al fatto di essere donna. Con gli uomini invece, si tratta semplicemente di un errore del singolo e si va avanti. Ho visto i portieri faticare tantissimo in queste porte sovradimensionate, e mi hanno ricordato uno dei principali argomenti utilizzati dai detrattori del calcio femminile: le donne tra i pali sono di una goffaggine imbarazzante, sembra non sappiano parare”.

Lo studio ha parlato anche dei percorsi di crescita e delle opportunità. “Fino alla pubertà”, dice Pedersen, “tecnicamente e tatticamente le ragazze riescono a tenere il passo dei coetanei, ma dopo diventa fisicamente difficile. Non a caso anche in altri sport, quali ad esempio la pallavolo, sono previste squadre miste fino all’under-14, poi il diverso sviluppo fisico tra maschi e femmine richiede la separazione delle strade. Infine, il fatto che gli uomini trovino generalmente strutture significativamente migliori nel calcio rispetto alle donne, non solo nel calcio professionistico ma anche nel percorso di avvicinamento a esso, rappresenta anch’esso un fattore che influenza il livello di gioco”. Di fatto, si tratta di due sport diversi che non ha senso accomunare, se non per fini puramente denigratori nei confronti di una disciplina che cerca, legittimamente, di ritagliarsi il proprio spazio.

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Il Fatto Quotidiano

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