Global Sumud Flotilla»: la copertura umanitaria che parla il linguaggio di Hamas
- Postato il 18 settembre 2025
- Di Panorama
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La traversata della Global Sumud Flotilla, la missione navale partita con l’obiettivo dichiarato di rompere simbolicamente l’assedio di Gaza, si sta trasformando in un caso politico e mediatico ancor prima di arrivare a destinazione sempre che ci arrivi. Due episodi hanno segnato gli ultimi giorni: il passo indietro di Greta Thunberg dal comitato direttivo e l’espulsione della giornalista italiana Francesca Del Vecchio, inviata de La Stampa. L’uscita di Thunberg dalla direzione e l’espulsione della reporter italiana mostrano come, dietro l’immagine di coesione e determinazione, la Flotilla sia attraversata da fratture interne. C’è chi punta a massimizzare la visibilità mediatica, chi vorrebbe abbassare i toni e riportare al centro il messaggio politico, chi denuncia il rischio di derive propagandistiche.
Dietro le vele bianche e gli slogan di solidarietà, la cosiddetta Global Sumud Flotilla si presenta come un’operazione di aiuto umanitario destinata a Gaza. Navi che partono con medicinali, viveri, beni di prima necessità: tutto sembra limpido, tutto sembra parlare di compassione. Ma quando si scava dietro la facciata, il quadro cambia. Emergerebbero infatti legami documentati con Hamas e con la Fratellanza Musulmana, organizzazioni che da decenni si muovono sul crinale tra politica, religione e terrorismo.
Non è la prima volta che accade. Le “flottiglie” dirette a Gaza sono già state utilizzate in passato come strumenti di propaganda politica. Il caso della Mavi Marmara nel 2010 resta emblematico: una missione definita “umanitaria” che finì in uno scontro con l’esercito israeliano e che, a posteriori, mise in luce i legami con l’organizzazione turca IHH, anch’essa vicina alla Fratellanza Musulmana. La Global Sumud Flotilla si inserisce nello stesso solco, con un linguaggio aggiornato, ma con la stessa ambiguità di fondo: si proclama la volontà di aiutare i civili, ma nel frattempo si alimenta la narrativa della “resistenza” di Hamas.
Basta il nome per capirlo. “Sumud”, in arabo, significa fermezza, resistenza. Non è un termine neutro, ma un pilastro della propaganda palestinese: evoca la capacità di sopportare, di resistere, di non cedere di fronte al nemico. Inserirlo nel marchio di una flottiglia non significa solo solidarietà: significa parlare lo stesso linguaggio di Hamas, trasmettere un messaggio politico sotto le sembianze dell’aiuto umanitario.
Ma le connessioni non si limitano alla retorica. Documenti e testimonianze mostrano che molti degli attivisti coinvolti hanno rapporti diretti con reti legate a Hamas e alla Fratellanza. Non si tratta solo di simpatizzanti: in diversi casi, emergono nomi di organizzazioni e singoli che in passato hanno sostenuto o giustificato apertamente le azioni del movimento islamista. È una rete che si allunga dall’Europa al Medio Oriente, passando per certe Ong del Golfo che operano ufficialmente come strutture caritatevoli ma che, a guardar meglio, sono anche strumenti di influenza ideologica.
In questo contesto, le rivelazioni di Hillel Neuer, direttore di UN Watch, aggiungono un tassello fondamentale. Nei giorni scorsi Neuer ha presentato al Bundestag un rapporto di oltre 200 pagine in cui denuncia i legami tra UNRWA, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, e Hamas. Secondo le prove raccolte, diversi presidi scolastici e leader sindacali che lavorano per l’agenzia avrebbero anche incarichi o affiliazioni con il movimento islamista.
Il caso di Fateh Sharif in Libano è emblematico: dirigente scolastico dell’UNRWA, allo stesso tempo attivista sindacale e vicino a Hamas. Quando è stato rimosso dall’incarico, studenti e insegnanti hanno protestato in massa, segno di quanto la rete fosse radicata. A Gaza, invece, spicca la figura di Suhail al-Hindi, leader degli insegnanti dell’UNRWA, più volte fotografato con Haniyeh e Sinwar, e perfino in occasioni ufficiali con dirigenti dell’agenzia. Alla fine, al-Hindi è entrato formalmente nella leadership politica di Hamas. Neuer ha sottolineato un punto cruciale: queste non sono rivelazioni ottenute da archivi segreti o fughe di notizie, ma dati pubblici, visibili a tutti. Foto, post sui social, dichiarazioni ufficiali. È tutto davanti agli occhi, ma si preferisce non vedere. Ed è qui che le due storie – la Global Sumud Flotilla e l’UNRWA – finiscono per intrecciarsi. Entrambe mostrano come, dietro la facciata dell’umanitarismo, si muovano reti ideologiche che hanno un filo diretto con Hamas. Le navi della solidarietà, i sindacati degli insegnanti, le scuole dei rifugiati: in superficie operazioni civili, in profondità strumenti di legittimazione politica e culturale di un movimento armato.
Israele denuncia da anni questa ambiguità, avvertendo che aprire un corridoio navale “indipendente” verso Gaza significa consegnare un vantaggio strategico a Hamas, che controlla ogni aspetto della vita nella Striscia. Non si tratta solo del rischio di contrabbando di materiali utili per il conflitto, ma anche della possibilità, ancora più sottile, di accreditare Hamas come interlocutore legittimo sulla scena internazionale. Alla fine, la domanda resta sempre la stessa: dove finisce la solidarietà e dove comincia la propaganda? La popolazione civile di Gaza soffre, nessuno lo mette in dubbio. Ma se la sofferenza diventa la scenografia di una campagna politica, a guadagnarci non sono i più deboli. A trarne vantaggio è Hamas, che trasforma ogni gesto, ogni parola, ogni nave carica di viveri in un mattone della propria narrativa. La Global Sumud Flotilla, come il rapporto Neuer sull’UNRWA, ci mostrano che la linea è sottile, quasi invisibile. Eppure esiste. Continuare a ignorarla significa confondere il diritto alla solidarietà con il diritto alla propaganda.
