Gli ulivi pugliesi sacrificati al dio fotovoltaico

  • Postato il 27 giugno 2025
  • Di Panorama
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Non bastava la Xylella, la malattia mortale delle piante, a distruggere gli ulivi in Puglia, più lo sciame delle speculazioni al seguito. Non bastava l’edilizia forsennata dei decenni passati, la trasformazione di terreni agricoli in suoli edificabili o per insediamenti commerciali e industriali. Sono arrivate le pale eoliche e i pannelli solari a decidere la strage di ulivi col pretesto grottesco della svolta green. Sì, nel nome del verde vengono espiantati e distrutti migliaia di ulivi. Come dire ecologia contro natura: anzi una specie di ideologia dell’ambiente, che riveste come una buccia verde una spietata logica del profitto, contro le piante, gli alberi, la vita reale della natura. Di cosa stiamo parlando? Partiamo dalla capitale dell’olivo, Bitonto. Duemila ulivi sono stati strappati a viva forza dal loro suolo, piante sanissime e ulivi secolari, per far sorgere in un agro, il Pozzo delle Grue, un grande impianto fotovoltaico. Quindici ettari sono stati comprati da una multinazionale francese e sono state sradicate migliaia di piante per creare energie alternative. La stessa cosa è accaduta in Salento per far nascere un grande parco eolico tra Vernole e Castrì. La prima località colpita da questa furia verde e devastatrice è stata l’agro di Sannicandro di Bari, una cittadina agricola a Sud del capoluogo pugliese, famosa per la qualità del suo olio extravergine d’oliva. Ulivi in salute, verdissimi e fruttuosi, eradicati per far posto a un campo nero di pannelli solari. Con la beffa aggiuntiva che l’operazione era salutata dal comune locale con la giustificazione di migliorare la qualità dell’ambiente e dell’aria; tu distruggi alberi di ulivi e migliori l’ambiente, migliori l’aria… Siamo al mondo capovolto di Orwell in formato oliva…

Per quegli alberi, dice Vincenzo Beato, uno degli agricoltori che si oppone allo scempio verde, «è stato buttato il sangue dei nostri padri che ci hanno lasciato in eredità un patrimonio immenso». E non solo dal punto di vista produttivo e qualitativo, ma anche dal punto di vista estetico: erano belli quei campi. «Gettare il sangue» è una tipica espressione meridionale per indicare la vera fatica.

Quando gli enti locali si sono opposti, sulla spinta dei comitati di olivicultori e cittadini della conca barese, il governo ha dato il via libera perché impiantare pale eoliche o pannelli solari è ritenuta comunque «opera di pubblica utilità». L’immagine che segue alla strage di ulivi è il deserto, un paesaggio oggi desolato e domani vestito di nero, con l’esercito di pannelli solari. O diventare un pianeta sconosciuto abitato da gigantesche pale eoliche, che stanno snaturando il paesaggio della Puglia e del Sud. Cosa spinge gli agricoltori a vendere i loro terreni di ulivi? Naturalmente l’offerta, pari a tre volte il valore di un terreno agricolo. Meglio realizzare subito e tanto, piuttosto che continuare un’attività difficile, in balìa del clima bizzarro e di troppi fattori, oltre che alla mercé del sostegno pubblico, quello che un tempo si chiamava «l’integrazione dell’olio». Siamo invasi da richieste per impianti voltovoltaici, dicono gli agricoltori, il giro d’affari è internazionale. Qualcuno ingenuamente chiede: ma non era possibile realizzare questi impianti in aree non coltivate, c’era proprio bisogno di sacrificare l’olio e la bellezza degli ulivi? 

Il contentino o il sedativo per tenere buona la gente del posto era nella promessa di reimpiantare almeno parzialmente in altro suolo gli ulivi espiantati. Promessa non mantenuta perché, come spiegano gli stessi agricoltori ed esperti, il reimpianto deve avvenire subito dopo l’espianto. Abbandonandoli così, brutalmente strappati nelle radici, per settimane, quegli alberi insecchiscono e muoiono. Vanno al macero proprio quando erano fruttuosi e in buona salute. Uccisi, neanche eutanasia.  

L’olio per il Sud è stato per secoli l’oro liquido, come il grano era l’oro farinaceo; l’olio era la provvista necessaria per le famiglie, il segno di ricchezza alimentare e nutritiva, ma anche il tesoro principale dell’attività agricola, dei frantoi, e la fonte di sostentamento di tanti braccianti. È l’albero mediterraneo per eccellenza, il simbolo di ogni Sud dell’Europa e del Nord Africa, che ora spesso ci sostituisce nella produzione e nel commercio; l’ulivo è stato nei secoli simbolo religioso ed evangelico, più di recente pure simbolo politico. Era già un dolore immenso visitare il Salento dopo la peste della Xylella, vedere quegli alberi – che erano sculture prodigiose della natura, alberi secolari  che sfidavano il divenire con il loro essere – insecchire, annerire e morire. È terribile tornare nello splendore gioioso di un paesaggio di luce, terra rossa e alberi fruttuosi, e non vedere più quegli ulivi secolari, dalle forme quasi umane e parlanti. Capolavori d’arte, lavoro e natura, levigati da mani soprannaturali, divinità agresti. La natura, grande scultore. Ora hai l’impressione che sia passata la morte con la sua falce impietosa e il suo sguardo spettrale, a rendere quel paesaggio come l’inferno dantesco nel girone di Pier delle Vigne. In un paesaggio in bianco e nero, vedi distese di cadaveri d’ulivi che sembrano tendere i rami insecchiti in cerca di vano soccorso da quel cancro impietoso. Una volta c’erano i campi di sterminio, ora c’è lo sterminio dei campi, notò con gli occhi di poeta Andrea Zanzotto. Qui il passato è terra bruciata, anche se qualcosa ora rivive. Ma adesso arriva il colpo di grazia green…

Autore
Panorama

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