Gli italiani irredenti arruolati in Russia nella Legione che combatteva i bolscevichi

  • Postato il 23 settembre 2024
  • Di Agi.it
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Gli italiani irredenti arruolati in Russia nella Legione che combatteva i bolscevichi

La nave che si staccò dalla costa russa il 24 settembre 1916 era il primo trasporto di italiani rinchiusi nei campi di prigionia dello zar Nicola II perché catturati con l'uniforme austriaca. Quei giovani erano irredenti provenienti da Trentino, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, che parlavano la lingua di Dante, e che l'imperatore Francesco Giuseppe aveva mandato a combattere sul fronte orientale. Della loro sorte si erano occupati, ognuno a suo modo, il maggiore dei Carabinieri Reali Cosma Manera e il commerciante beneventano Andrea Compatangelo che si era autoproclamato capitano. E così erano stati creati due corpi militari di italiani, uno con le mostrine nere della Legione redenta di Siberia, l'altro con le mostrine rosse del Battaglione Samara (poi Savoia), destinati ad arrivare, attraverso inenarrabili traversie nella Russia sconvolta dalla guerra civile, fino in Cina, per il sospirato rimpatrio. Al primo contingente di 1.700 uomini, imbarcato su un piroscafo ad Arcangelo, andrà tutto liscio, con l'approdo in Inghilterra, e a un secondo di quasi altrettanti irredenti. Dopo, ci volle un'impresa. 

Una missione ufficiale e un'altra ufficiosa 

 

 

Della sorte dei prigionieri in mano russa disponibili a combattere per l'Italia si era interessata una commissione militare di tre ufficiali dell'Arma in missione a Pietrogrado: il maggiore Giovanni Squillero, il capitano Manera (immediatamente promosso di grado) e il capitano Nemore Moda. I rimpatri erano stati accompagnati da Squillero e Moda, ma le avverse condizioni meteo prima e lo scoppio della rivoluzione russa del 1917 e l'armistizio di Brest-Litovsk sottoscritto dai bolscevichi poi, fecero saltare tutti i piani. È allora che Manera riesce a diluire le quattro compagnie in gruppi piccoli da far salire sui treni che ancora viaggiavano verso la Siberia, per poi radunare i suoi uomini e puntare su Vladivostok sotto controllo dell'ammiraglio “bianco” Kolčak sostenuto dall'Intesa per sperare in un imbarco. Un viaggio di ottomila chilometri. La situazione caotica e la mancanza di navi lo induce a smistare i soldati nella concessione italiana in Cina di Tien-Tsin, ottenuta dopo la vittoria nella Guerra dei boxer del 1900, e a Pechino, riorganizzandoli in forza militare. Già nell'estate del 1918 Manera aveva inquadrato -  a disposizione del comandante del Corpo di spedizione italiano in Estremo Oriente, giunto a Tien-Tsin col piroscafo “Roma” e quindi a VIadivostok il 17 ottobre 1918 -, un primo battaglione di volontari, con uniformi concesse dai giapponesi e fucili Enfield prestati dai britannici. Il maggiore intanto tra enormi difficoltà era riuscito a recuperare altri prigionieri di nazionalità italiana nella Russia in preda alla guerra civile, sino a formare un reparto di poco meno di duemila uomini suddivisi in 8 compagnie alloggiate in baracche inglesi: la Legione redenta, appunto, che si sarebbe unita agli alpini sbarcati nel lontano oriente a supporto dell'Intesa. Il cappello degli alpini sarà il segno distintivo di nazionalità assieme alla coccarda tricolore. 

L'uomo che volle farsi capitano 

Quanto a Compatangelo, che da tempo svolgeva la sua attività di import-export in Russia (e di cui sospetta ancora oggi che avesse anche un incarico spionistico, come gli eventi sembrano confermare), a partire da agosto 1918 a Samara, nella regione del Volga, aveva deciso in autonomia di organizzare, armare ed equipaggiare a sua spese il Battaglione italiano Samara con gli italiani irredenti di ex prigionieri disponibili a giurare fedeltà al Re d'Italia, e tentare di raggiungere la concessione di Tien-Tsin, attraversando la Siberia in treno aggregata alla combattiva Legione Cecoslovacca, un esercito di ex soldati austro-ungarici che si apriva la strada verso la salvezza e il rimpatrio su un treno blindato e ben armato che percorreva la Siberia affrontando scontri mentre infuriava la guerra civile tra Bianchi e Rossi. Esisteva un vero e proprio trattato tra il Battaglione e le autorità cecoslovacche. Il Samara era la prima unità italiana impegnata contro i bolscevichi, per aprirsi la strada lungo 7.000 chilometri di Transiberiana, a 40 gradi sottozero, per arrivare a Tien-Tsin combattendo a Ufa, Celjabinsk, Ekaterinburg. La Brigata Savoia formata da circa 300 uomini portava le mostrine rosse in omaggio agli Arditi. Condivise l'epopea della Legione combattendo contro i "rossi" e si insediò a Krasnojarsk dove cambiò il nome in Battaglione Savoia. All'arrivo del Corpo di spedizione italiano in Estremo Oriente del colonnello Filippi di Baldissero, ad agosto 1919, il battaglione di circa 400 uomini fu mandato a Vladivostok dove venne sciolto nella Legione redenta di Siberia. Nel settembre 1918 in questo strategico porto c'erano truppe giapponesi (circa 70.000 unità), americane (5.000), inglesi (800), francesi (un centinaio) e italiane (1.400). Quanto a Compatangelo, così come si era misteriosamente materializzato nella storia il “capitano” di Benevento sparì nel nulla, e di lui sappiamo solo che morì a Shanghai nel 1923. 

L'aiuto ai controrivoluzionari “bianchi” e il rimpatrio nel 1920 

Il compito del Corpo di spedizione italiano era di mantenere il controllo della ferrovia Transiberiana in Manciuria per consentire l'arrivo e la distribuzione di materiale bellico dell'Intesa alle truppe “bianche” controrivoluzionarie. Gli italiani e le unità irredente sostennero scontri con i bolscevichi per tutta l'estate del 1919 a Irkutsk, Harbin e Vladivostok. Roma avviò le procedure di rimpatrio, col rientro a Tien-Tsin via ferrovia. In Cina imperversava il colera e  fu possibile imbarcarsi solo il 26 novembre sul piroscafo “Nippon”. L'ultimo a partire dalla Manciuria fu il maggiore Manera, nel 1920. In Italia gli sbarchi avvennero a Napoli il 23 febbraio e a Trieste il 2 aprile. La Legione redenta aveva contato oltre tremila militari, il cui comportamento all'epoca venne pubblicamente lodato, e i soldati considerarono il loro comandante alla stregua di un vero e proprio “padre; ma gli italiani strappati ai campi di prigionia zaristi, alla fame, al freddo, alle malattie, erano almeno diecimila. Nonostante la sua impresa, le numerose decorazioni e la promozione a colonnello, non raggiungerà mai il grado di generale. Si è spento a Torino nel 1958, a 82 anni. 

 

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Autore
Agi.it

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