Gli amici mafiosi, le armi e quelle frasi contro i giudici (“Dovevano metterle qua a Genova le bombe”): chi è Gabriele Silvano arrestato dalla Dia
- Postato il 26 novembre 2024
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- Di Genova24
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Genova. La vicinanza con le cosche palermitane, le armi, il business (apparentemente fallito, almeno stando alle indagini) del narcotraffico, le estorsioni. Gabriele Silvano, l’imprenditore 51enne della Valpolcevera arrestato oggi nell’operazione ‘Il gigante’ della Dia insieme ad altre cinque persone, ha secondo la gip Paola Faggioni una spiccata capacità criminale.
I rapporti con il clan Lo Piccolo, non soltanto con il co-arrestato Salvatore Mario, detto ‘Il presidente’ ma anche con tutti i famigliari di Calogero Lo Piccolo (figlio di Salvatore, capomafia di Tommaso Natale, e oggi al 41bis) a quanto risulta dalle indagini degli investigatori della Dia hanno radici almeno decennali.
Se l’unico capo di imputazione collegato alla criminalità organizzata per Silvano, difeso dall’avvocato Nicola Scodnik, è al momento quello dell’intestazione fittizia di un terreno a Palermo per conto di Salvatore Mario Lo Piccolo (due volte condannato in via definitiva per 41bis che ne temeva la confisca), l’imprenditore genovese nel corso degli anni si è occupato di aiutare in modi diversi i famigliari della cosca Lo Piccolo, tramite assunzioni anche fittizie – sostengono gli investigatori – di esponenti mafiosi nella sua azienda di autotrasporti Due Esse di Serra Riccò, ma anche accompagnandoli a Milano fino al carcere di Opera per gli incontri in carcere con il boss detenuto al 41bis.
Silvano andava spesso in Sicilia, tanto che la moglie intercettata a proposito di una serata nella villa dei Lo Piccolo diceva alla suocera: “Mi ha portato a casa di sta gente, facevano discorsi che non mi piacevano. Li ho trovati su internet, ti assicuro che sono molto famosi. Io quella sera avevo le gambe che mi tremavano”.
L’indagine della Dia era nata nel 2022 quando la sua società, costituita nel 2011, aveva chiesto di essere inserita nella whitelist della normativa antimafia per poter contrattare con la pubblica amministrazione. Ma proprio lì era emerso che tra i dipendenti di Silvano c’era Salvatore Mario Lo Piccolo, che dopo le condanne si era trasferito da Palermo a Genova.
E gli investigatori coordinati dal colonnello Maurizio Panzironi hanno notato che da quel momento la società di Silvano si era notevolmente espansa: aveva più disponibilità economica, aveva aperto una sede in Sicilia e poi si era ramificata attraverso altre aziende. Aveva assunto parenti o esponenti del clan, anche se poi i suoi avvocati gli avevano consigliato di tagliare questi rapporti se non voleva rischiare l’interdittiva antimafia. Ma non era bastato e la sua azienda era stata inserita nella black list.
Nel frattempo l’imprenditore secondo gli inquirenti – l’inchiesta della Dda di Genova è stata condotta dalla pm Monica Abbatecola – si era organizzato con il dipendente di una società di spedizioni del porto di Genova, Enrico Bomarsi, e con tre ecuadoriani (Boris Jiampier Maruri Moreira, Victor Manuel Maruri Moreira e John Harold Ordonez Garcia), per importare grossi quantitativi di cocaina da Guayaquil al porto di Genova. La spedizione non era andata a buon fine ma per l’organizzazione del traffico i cinque sono accusati anche di associazione per delinquere.
Alla sua passione per i mafiosi (nelle intercettazioni con il suo factotum vanta precedenti frequentazioni con Gaetano Fiandaca, Paolo Vitello e Gaetano D’Antona, tutti detenuti in alta sicurezza per 416bis), Silvano sembra unire anche quella per le armi.
In un terreno che aveva affittato per tenere in mezzi della sua azienda, aveva nascosto 4 pistole e 569 proiettili, sulla cui provenienza sono in corso accertamenti. Gli investigatori della Dia, che lo stavano intercettando, a un certo punto gliele hanno fatte sparire quelle armi, sequestrandole tutte. E lo monitorano mentre insieme al suo factotum e poi insieme al proprietario del terreno va a vedere assicurandosi che quest’ultimo non le abbia trovate.
Silvano come emerge dalle indagini sospetta di essere intercettato e in generale al telefono non dice molto, Ma di quelle armi parla talvolta, come quando vuole aiutare un amico ristoratore che ha problemi con dei clienti bergamaschi: “Mica lo lascio lì, mi porto la pistola”.
E soprattutto quando minaccia la ex moglie da cui si stava separando, a non vendere la villetta a lei intestata a San Biagio – dove lui viveva dopo la separazione – perché voleva un comodato d’uso per farci un B&B. Lei voleva vendere la villetta per pagare i debiti della società, che stava fallendo anche a causa dei guai passati con l’interdittiva antimafia. Ma lui: “Tu non la vendi perché sai benissimo che finisce con una palla in fronte”.
E nella stessa conversazione, che poi spingerà la ex moglie di Silvano a fare esattamente quello che lui voleva, vale a dire il comodato d’uso per l’immobile che lui trasformerà in un B&B, lui si scaglia con i giudici. “Ce ne hanno messe poche bombe a Palermo, ce le dovrebbero mettere qua a Genova”. La ex moglie dice a Silvano se ha letto l’interdittiva e lui si infuria: “E’ tutta un’invenzione” dice e rincara la dose: “Ce ne hanno messe poche bombe a Palermo. Dovevano prenderci anche i figli. Sti **stardi”.