Giustizia, cosa diceva Massimo D'Alema sulla separazione delle carriere

  • Postato il 5 novembre 2025
  • Politica
  • Di Libero Quotidiano
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Giustizia, cosa diceva Massimo D'Alema sulla separazione delle carriere

In una lunga intervista stesa su due pagine del Corriere della Sera ben meritate, per carità, trattandosi di un esponente storico della sinistra italiana, Massimo D’Alema ha ritrovato una memoria altrettanto lunga di politica internazionale. Carente tuttavia, a dir poco, di politica interna, con particolare riferimento agli argomenti, anzi all’argomento di maggiore attualità in questi giorni: il referendum in arrivo sulla riforma costituzionale della giustizia approvata in via definitiva la settimana scorsa con la quarta votazione del Senato.

In politica estera, ancora orgoglioso della recente partecipazione come invitato personale al raduno a Pechino dei vertici dell’“ottanta per cento dell’umanità”, per cui gli assenti avrebbero dovuto vergognarsi piuttosto che stupirsi e polemizzare sulla sua presenza, D’Alema ha raccontato i bei tempi in cui anche grazie a lui l’Italia sarebbe stata fra i protagonisti. Altro che adesso - ha sarcasticamente osservato- con la premier Giorgia Meloni “infilata” nelle foto dei vertici internazionali.

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In particolare, l’ex presidente del Consiglio, a capo di due governi in meno di due anni, fra l’autunno del 1998 e la primavera del 2000, portò l’Italia alla partecipazione alla guerra della Nato nei Balcani, quando da sinistra lo accusarono di avere aggirato il Parlamento. Poi la portò ad intervento di tutela e rafforzamento della pace in Libano ricorrentemente esposto ai conflitti. Infine ad una partecipazione, per quanto di turno, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Bei tempi, certo, anche sorprendenti per un uomo del passato di D’Alema, “formatosi” alla scuola comunista, come lui stesso ha voluto ricordare parlando del suo presente di “pensionato indipendente”. Come Giuseppe Conte dice abitualmente di sé come “progressista”.

In politica interna, dicevo, la memoria dell’ex premier - l’unico post-comunista riuscito a passare per Palazzo Chigi, spintovi nel 1998 dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga- la memoria di D’Alema si è accorciata, o spenta.

LA COMMISSIONE
Non una parola, in particolare, egli ha voluto spendere sul tempo in cui, su designazione persino di Silvio Berlusconi dal fronte opposto, gli capitò di presiedere una commissione bicamerale sulla riforma della Costituzione, fra il 1997 e il 1998. Quando, confortato dall’adesione di compagni di partito come Claudio Petruccioli e Cesare Salvi, che ne sono anche di recente vantati, e guardato a vista con sorpresa e disappunto dall’ancora potente Procura della Repubblica di Milano, egli aprì alla separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri. 

Sì, proprio la separazione, con altri aspetti della riforma arrivata sul binario referendario, su cui stanno guerreggiando tutti i partiti, alcuni dividendosi pur dietro una facciata rumorosa di no. Come proprio il Pd, dove D’Alema è tornato dopo esserne uscito contestando l’allora segretario Matteo Renzi. Mi sarebbe personalmente piaciuto leggere D’Alema oggi sulla giustizia e dintorni, diciamo così. Ma la curiosità mi è rimasta nel gozzo. E non posso neppure pensare di poterla soddisfare arrampicandomi sugli specchi di una interpretazione estensiva di un passaggio dell’intervista di D’Alema sul suo ritrovato Pd. Dove egli riconosce alla segretaria in carica Elly Schlein, per quanto contraria alla separazione delle carriere, o forse proprio per questo, «passione e spirito unitario», ma osserva sconsolato che «il Pd farebbe bene a elaborare una risposta ai problemi molto seri che abbiano avanti». Una risposta evidentemente mancante. E ditemi voi se è poco. E se la Schlein, leggendo anche lei, non abbia avuto motivo di rimanere in fondo sorpresa. Diavolo di un D’Alema sempre imprevedibile.

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Autore
Libero Quotidiano

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