Giustizia, a confronto Strangis (Anm) e Truncè (Camere penali)

  • Postato il 23 novembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Giustizia, a confronto Strangis (Anm) e Truncè (Camere penali)

A confronto sulla riforma della giustizia il magistrato Strangis, giudice del Tribunale e della Corte d’Assise di Catanzaro e presidente della Sezione Anm del capoluogo calabrese e l’avvocato Truncè componente del coordinamento calabrese delle Camere penali e presidente di quella di Crotone. ll magistrato: «Indagini più fragili su mafie e corruzione», il penalista: «Sistema bilanciato»


Cosa cambierà concretamente se le carriere di magistrati inquirenti e giudicanti saranno separate? E cosa cambierà con l’introduzione di un secondo Csm? Quale impatto avrà la riforma della giustizia sulla vita dei cittadini? Ne abbiamo parlato con Giovanni Strangis, giudice del Tribunale e della Corte d’Assise di Catanzaro e presidente della Sezione Anm del capoluogo calabrese, e con l’avvocato Aldo Truncè, componente del coordinamento calabrese delle Camere penali e presidente di quella di Crotone. Imperversa anche in Calabria, con dibattiti e convegni, la campagna referendaria. Il Quotidiano ha inteso mettere a confronto i due orientamenti contrapposti in vista della consultazione che porterà i cittadini a votare ad un referendum confermativo, dunque senza quorum.

Come commenta le parole dell’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky secondo cui «il senso di questa riforma è l’intimidazione dei magistrati»?

S.: «Il professor Zagrebelsky si riferiva all’istituzione dell’Alta Corte che toglie il potere disciplinare al Csm e sottopone solo la magistratura ordinaria ad un Tribunale speciale la cui istituzione è vietata dalla Costituzione. Richiamava l’atteggiamento intimorente del potere politico che vuole conquistare spazio indebolendo la magistratura. In un passaggio molto profondo, il professore ha parlato del rapporto tra i poteri dello Stato come quello tra vasi comunicanti. Se si riducono spazi a un potere, automaticamente si estendono quelli di un altro potere. Basta vedere le esternazioni dei politici che sostengono la riforma, secondo i quali con la separazione delle carriere si eviteranno le invasioni di campo della magistratura. La Costituzione, però, non prevede nessun primato della politica e assegna alla magistratura il compito di vigilare sul rispetto delle regole da parte di tutti, anche da parte dei politici. Ciascun magistrato fa il suo lavoro. Controllare che tutti rispettino le regole non può essere visto come un’invadenza. Non ci possono essere spazi sottratti al rispetto delle regole».

T.: «Rispetto l’opinione del professor Zagrebelsky, ma respingo con fermezza l’idea che la riforma miri a intimidire la magistratura. Il vero senso di questa riforma costituzionale è rafforzare l’indipendenza e la terzietà del giudice e l’autonomia della magistratura nel suo complesso. La recente crisi di fiducia popolare, che ha indebolito la magistratura a causa delle note vicende interne, dimostra che il sistema di autogoverno aveva bisogno di un profondo rinnovamento per recuperare credibilità. La separazione delle carriere tra pm e giudici non indebolisce nessuno. Eleva il giudice a un arbitro totalmente terzo, eliminando quella commistione di ruoli che ha generato dubbi di parzialità nei cittadini».

La riforma ridurrà il peso delle correnti e rafforzerà la credibilità del Csm?

S.: «Nulla di tutto questo avverrà perché la riforma introduce il sorteggio, uno strumento cieco che affida al caso la selezione. Potranno essere sorteggiati magistrati di una o dell’altra corrente. Quindi, la stessa situazione di oggi. Inoltre, eleggere i propri rappresentanti è una delle regole principali della democrazia e permette agli elettori di scegliere il candidato secondo loro migliore. Noi magistrati siamo giuristi ma il Csm svolge un’attività diversa, di amministrazione. Scegliere è importante perché magari anche se uno è un bravo giurista può non avere doti da amministratore. Inoltre, mentre i magistrati saranno sorteggiati in modo puro, i componenti eletti dalla politica saranno sorteggiati da un elenco che sarà preparato dai politici stessi. La politica continuerà a scegliere, i magistrati non potranno più farlo. La componente scelta dalla politica sarà più forte, la componente dei magistrati più debole. Sono messi in pericolo i principi di autonomia e indipendenza della magistratura».

T.: «La riforma costituzionale è l’unica strada che abbiamo per mettere fine allo strapotere delle correnti in magistratura e a quei gruppi di potere politico, interno alla giurisdizione, che decidono chi portare in alto, senza una reale verifica dei meriti. Oggi, infatti, sono le correnti interne alla magistratura a decidere chi fa carriera e chi viene punito. Un po’ come se fossero dei partiti politici occulti all’interno del potere giudiziario che non dovrebbe tollerare l’esistenza di organizzazioni settarie. Il nostro Sì serve a spazzare via questo sistema. La prima cosa che cambia è la scelta di chi entra nel Csm, anzi nei Consigli, visto che saranno due, uno per i giudicanti e l’altro per i pm. Non si voteranno più solo le liste chiuse delle correnti, ma verrà introdotto il sorteggio temperato, che mischia le carte. Questo vuol dire che sarà molto più difficile per i “capicorrente” mettere lì solo i loro amici, perché una parte dei posti sarà assegnata con un meccanismo che obbliga a guardare il vero valore della persona e non la sua appartenenza al gruppo. La seconda mossa è separare nettamente le funzioni, perché chi accusa e chi giudica riveste funzioni e ruoli assolutamente diversi. Infine, non saranno più i magistrati a giudicare sé stessi se fanno degli errori. La gestione dei casi disciplinari viene tolta al Csm e data ad una nuova Alta Corte Disciplinare, composta anche da esterni alla magistratura. Così facendo, non ci sono più scappatoie. La carriera e la disciplina dipenderanno solo da quanto uno è bravo e onesto, e non alla corrente a cui appartiene».

Quali miglioramenti della giustizia attendono i cittadini?

S.: «Il cittadino aspira ad avere una giustizia più efficiente e rapida. Servono più magistrati, più personale, più strumenti tecnologici. Inoltre, il cittadino aspira alla riduzione del numero di reati. Istruire un processo per guida in stato di ebbrezza richiede alla magistratura energie che si potrebbero riservare a un processo per maltrattamenti in famiglia. Nulla di questo viene risolto dalla riforma. Tra le esigenze attese dalla collettività c’è anche la risoluzione del problema del sovraffollamento carcerario che costringe i detenuti ad espiare pene in condizioni inadeguate. La riforma non incide neanche sul meccanismo di rieducazione dal quale oggi spesso non sbocciano i frutti desiderati».

T.: «Si aspetta che la giustizia sia, innanzitutto, imparziale e credibile. Nel sistema attuale, l’uguaglianza tra accusa e difesa è garantita solo a parole. Nei fatti, i giudici che decidono e i pm che accusano si formano all’interno dello stesso ambiente e con un unico concorso, finendo per condividere la medesima mentalità e la stessa sensibilità professionale. Questa vicinanza genera la percezione, che coincide talvolta con la realtà, specie nei piccoli Fori, che sia difficile assicurare che il giudice sia davvero quel terzo arbitro super partes che la Costituzione richiede. Il miglioramento cruciale è proprio la separazione delle carriere. Giudici e pm saranno reclutati con concorsi diversi e non potranno scambiarsi il ruolo. Inoltre, saranno gestiti da due distinti organismi di autogoverno. Ciò assicurerà che giudice e accusa siano strutturalmente e culturalmente distanti».

In che misura la separazione delle carriere inciderà sulla dinamica dei processi?

S.: «La riforma non incide in alcun modo su questi aspetti e sui problemi reali della giustizia. Non velocizza il processo, non aumenta le garanzie degli imputati ma anzi le diminuisce. Si tratta di separare il pm dal giudice come se fare lo stesso concorso possa essere un fattore di condizionamento. In ogni caso pm e giudici resterebbero comunque colleghi ma con la conseguenza che il pm sarà più forte e avrà quale unico scopo quello di ottenere la condanna dell’imputato. In materia disciplinare, poi, giudici e pm sarebbero di nuovo insieme nell’unico Tribunale speciale. Sarebbe una separazione solo parziale e inutile. La creazione di due Csm avrà effetti di estremo rallentamento della giustizia sul piano organizzativo. Ogni Csm, giudicante e requirente, deciderà in autonomia senza coordinarsi sulle proporzioni delle piante organiche o sui pareri su questioni rilevanti o progetti di riforma. Si indebolirà la magistratura che non avrà più una voce ma due. Se diranno cose diverse, quale delle due sarà quella giusta?».

T.: «Oggi, nonostante il principio del “giudice terzo”, accusa e giudicante provengono dallo stesso percorso. Questo crea un’asimmetria che pesa soprattutto nella fase delle indagini e delle decisioni preliminari, dove il pm può apparire più vicino al giudice di quanto non sembri. Prendiamo ad esempio il campo delle intercettazioni che il pm chiede di autorizzare, al gip, nella fase delle indagini. Dagli Uffici Gip, secondo un’indagine statistica del 2024, viene respinto soltanto il 6% delle richieste. Le richieste di proroga di intercettazioni respinte dai gip, secondo i risultati della stessa indagine, sono solo l’1%. Le accolgono praticamente tutte. Con la riforma questi dati cambieranno? Non nell’immediato. Ma cambierà la forma mentis dei gip, che si distanzieranno sempre di più dalle richieste dei pm allo stesso modo in cui oggi prendono le distanze dalle richieste della difesa, accogliendole solo se sono davvero fondate».

 
Michele Ainis sottolinea che separare le carriere potrebbe indebolire le garanzie per il cittadino, perchè un pm con questa riforma rischia di essere assoggettato a logiche gerarchiche più vicine al potere esecutivo. Questo potrebbe rendere più fragili le indagini su corruzione e criminalità organizzata?

S.: «Certamente questa riforma promuove una visione gerarchica e burocratica della magistratura e segna un ritorno al passato, a quando il procedimento disciplinare era utilizzato per condizionare l’attività dei giudici e dei pm. Ciò è evidente dalle dichiarazioni dei politici che mirano a non subire il controllo sul rispetto delle regole che la magistratura deve svolgere per mandato costituzionale. L’abolizione dell’abuso d’ufficio ne è un esempio. Le ripercussioni sulle indagini potranno essere impattanti perché, oltre al rischio di minori investimenti sul settore, si potrà anche dire su quali reati occorrerà concentrare le indagini a scapito di altri. L’indipendenza della magistratura non deve essere solo affermata ma anche difesa e garantita in concreto. L’unico organo che può farlo è il Csm, che viene svilito e indebolito. Il condizionamento politico sull’attività del pm rischierà di non far vedere la luce a indagini su fatti scomodi».

T.: «Chi paventa che la separazione delle carriere possa assoggettare il pm al potere esecutivo ignora lo spirito della riforma e la realtà del sistema attuale. L’indipendenza del pm non è in discussione ma viene sempre garantita dalla Costituzione, anche nel testo di riforma. L’articolo 112 della Costituzione impone l’obbligatorietà dell’azione penale, e nel progetto di riforma rimane tal quale. L’art. 104, anche nel suo testo modificato dalla riforma, ribadisce l’autonomia della magistratura, sia di quella giudicante che di quella inquirente-requirente dai poteri legislativo ed esecutivo. Questi principi costituzionali sono il vero scudo del pm, che rimane intangibile da ogni ingerenza politica. Non lasciatevi ingannare da chi vede, nella riforma costituzionale, l’ingerenza del potere esecutivo sull’autonomia dei pm. La riforma non solo tutela, ma potenzia l’efficacia dell’azione penale, inserendo l’indagine in un sistema di giustizia finalmente bilanciato e imparziale. Le indagini sulla criminalità organizzata e sulla corruzione non diventano affatto più fragili. Al contrario, risultano più solide e più credibili. Un pm davvero autonomo, inserito in una carriera distinta e dotato di un proprio organo di autogoverno, può esercitare l’azione penale con maggiore responsabilità, specializzazione e indipendenza culturale, senza alcuna sovrapposizione con il ruolo del giudice. Separare le carriere significa creare un pm che risponde alla legge e non ad una struttura “mista” che oggi genera ambiguità di ruoli. E significa anche affidare le sue richieste — misure cautelari, intercettazioni, sequestri — a un giudice finalmente terzo, non più proveniente dallo stesso percorso professionale».

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