Giulia Mei: lei della musica ha capito tutto
- Postato il 6 agosto 2025
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Il Quotidiano del Sud
Giulia Mei: lei della musica ha capito tutto
GIULIA Mei, cantante palermitana trapiantata a Milano, il 7 agosto a Longobardi (Cosenza) sarà protagonista di Minestra, il festival femminista organizzato dall’associazione Gynestra: in questa intervista ci racconta della sua musica, dei suoi live prodotti da Sound To Be e Locusta Booking e del suo essere manifesto femminista. Rompe le logiche della musica per inseguire quella che è la propria visione e lo fa con un album, uscito lo scorso marzo, dal titolo “Io della musica non ci ho capito niente” (prodotto insieme a Ramiro Levy e Alessandro Di Sciullo).
Giulia Mei come mai della musica non ci ha capito niente?
«È un modo anche ironico per rafforzare la mia voglia di scardinare le mie certezze sulla musica. Che erano poi le cose che mi vincolavano. Ho cercato di decostruire tutto, concentrandomi sul mio percorso personale che spezza le catene delle pressioni esterne e dà vita ad una musica libera».
Prima non ti sentivi libera o è semplicemente un nuovo modo di vivere la musica?
«Bisogna contestualizzare ma dal punto di vista musicale ha anche a che fare con la maturità. Ti rendi conto che molte cose che davi come assolute verità, crescendo e in relazione al mondo, al contesto, cambiano. Quelli che mi ero data come paletti assoluti in realtà erano superabili: non poter andare oltre la forma canzone classica, non poter mescolare alcuni generi musicali perché idealmente non comunicavano bene, erano cose che mi raccontavo ma che non erano reali. Ho voluto ripescare un modo di approcciarmi alla musica appunto decostruita, rivedere l’errore, la regola ferrea, a modo mio, prendere tutta la musica ascoltata negli anni e capovolgerla dando il mio punto di vista. Ho mescolato Mozart con l’elettronica per esempio, sempre mettendo al centro la canzone, perché io racconto sempre delle storie. E poi questo disco è anche un po’ la voglia di ribellarsi, come dicevo prima, dalle pressioni esterne: io so fare la musica che è la mia musica. Che funzioni o no, che venda o che non venda, non importa, però per me è importante per quello che dico e per come la vivo e se è importante per me forse fuori andrà da qualche parte».
E il tuo singolo, “Bandiera” è diventato virale. Pensi che la chiave del successo sia proprio l’aver seguito la tua corrente?
«Credo sia il brano con cui più di tutte ho fatto questo ragionamento. Si allontana dalla forma canzone classica, contiene parole quasi un po’ vietate fino ad oggi. L’ho scritta pensando “non avrà un giorno di strada”, e invece poi è arrivata lontano. Sono convinta che seguire la propria intuizione serva, sempre con la forza delle persone che ti stanno attorno perché questo è un lavoro fatto di un team che mi ha supportato, ha capito cosa volevo dire e ha lavorato con me e questa cosa è molto importante».
Nel tuo album ci sono collaborazioni…
«Rodrigo D’Erasmo, Anna Castiglia e Mille. Momenti di condivisioni vera, reale e sentita della musica. Non ho ricercato la collaborazione con la superstar, non sarebbe uscito qualcosa di vero. Queste sono persone che innanzitutto stimo, che conosco e con cui condivido un ideale di musica e pensavo potessero apportare qualcosa in più al disco. E così è stato».
Attualmente in tour, come procede?
«Benissimo, sono felicissima, stanca ma felicissima. Si sta realizzando quello che è iniziato con le canzoni: creare un dialogo con qualcuno che potesse ricevere non solo passivamente ma anche attivamente le mie parole e viverle insieme a me. È successo in ogni data e per me è una cosa enorme».
Il 7 agosto passerai anche dalla Calabria, per Minestra, un festival femminista. Per dirlo con il titolo del tuo brano, si può dire tu ne sia la “Bandiera”.
«La condizione della donna è una tematica che mi sta molto a cuore, di fatti in questo festival mi sento molto a mio agio. Porterò ciò che sono e ciò che porto ogni giorno con la mia musica e con le mie idee. Non ho mai fatto mistero di essere femminista. Per me femminismo significa inclusione, dialogo e cercare un reale cambiamento che parte dall’educazione affettiva, sessuale, cercando di abbattere moltissimi tabù che ancora ci portiamo dietro sottopelle. Credo che questi eventi dove oltre alla musica ci sono dei dialoghi, dei momenti di riflessione, siano occasioni molto belle per parlarne e per cercare di responsabilizzarci tutte e tutti e cambiare insieme partendo da un dialogo aperto, critico ma soprattutto costruttivo».
La musica in questo può aiutare o può peggiorare le cose secondo Giulia Mei?
«Dobbiamo semplicemente dare più spazio a chi porta quel messaggio là, ma dobbiamo anche evitare di associare un altro tipo di messaggio a un genere. Dire “la trap è sessista” è generalizzante, magari esistono dei progetti trap che mandano un messaggio completamente diverso. Non serve la censura o il proibizionismo. Bisogna portare avanti tutti i progetti musicali, specie quelli che mandano un messaggio che merita attenzione e bisogna dargli spazio, perché forse non gliene si dà ancora abbastanza».
Parliamo ancora del tuo live, a Longobardi come nel resto d’Italia, il pubblico a cosa assisterà?
«Ti riporto le parole del pubblico che mi vengono dette almeno una volta a concerto: “Ho pianto, poi dopo un secondo ho ballato e un secondo dopo ridevo a squarciagola”. È un live ricco di emozioni diverse che rispecchia un po’ la nostra vita, fatta di emozioni e momenti diversi, così come questo disco. Sul palco siamo in 3, io e il mio animo classico con un pianoforte accanto a me, alla mia destra l’anima elettronica, il computer, il sinth e poi le due componenti ritmiche diverse tra loro ma che si sposano perfettamente: Vezeve, un beatboxer e poi Dario Marchetti con drum, percussioni e alcune componenti della batteria. Ci intersechiamo molto bene unendo tutti questi mondi sonori ed emozionali che raccontiamo nel live».
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Giulia Mei: lei della musica ha capito tutto