Giovanni Sallusti: Jimmy Carter, il peggiore da cent'anni

  • Postato il 2 ottobre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Giovanni Sallusti: Jimmy Carter, il peggiore da cent'anni

Il bilancio della presidenza di James Earl Carter Jr., detto Jimmy, sta per sempre in una fotografia. È la mappa elettorale degli Stati Uniti datata 4 novembre 1980. Il presidente uscente, Jimmy, vince solo nella sua Georgia, in West Virginia, in Minnesota e nel Distretto di Columbia. Tutto il resto è una marea rossa, la marea repubblicana di Ronald Reagan che spalanca un nuovo tornante della Storia americana, occidentale, planetaria. Jimmy Carter compie cent'anni in questi giorni, e qualunque celebrazione filologicamente onesta e storicamente fondata non può non partire da quell'immagine, l'istantanea di una disfatta.

Se il grande esperimento della democrazia americana consiste nel ritratto che ne fece Abramo Lincoln, ovvero quello di «un governo del popolo, dal popolo, per il popolo», la stroncatura irreversibile della stagione carteriana rimane quella che recapitò l'elettore nelle urne. Fu, anzitutto, la bocciatura di un idealismo verboso e scolastico che lo stesso Partito Democratico abbandonò precipitosamente (tutta l'era clintoniana fu all'insegna del pragmatismo centrista), salvo riesumarlo poi con l'avvento di Barack Obama, l'unico all'altezza del fallimento di Carter. Sì, perché quello di Carter è stato un grande, fin spettacolare fallimento.

Tutta l'enfasi sulla promozione universale dei diritti umani come baricentro della politica internazionale Usa (in contrapposizione al “realismo” nixonian-kissingeriano) non corrispose a un effettivo contenimento del totalitarismo comunista, anzi: sul finale del suo mandato l'Unione Sovietica si sentì così forte da dare il via all'invasione su larga scala dell'Afghanistan. Ma soprattutto, ci fu il tonfo forse più clamoroso della credibilità degli States come potenza globale: la crisi degli ostaggi in Iran. Più che una crisi, uno squarcio nella coscienza nazionale americana. Già assistere sostanzialmente impotenti alla Rivoluzione khomeinista, che depose il principale alleato dell'America nel caos mediorientale (lo Scià Mohammad Reza Pahlavi) per imporre le parole d'ordine islamiste contro il “Grande Satana” yankee, fu una manifestazione di scellerato immobilismo.

Che paghiamo a maggior ragione oggi, di fronte all'evidenza della cronaca: gli ayatollah sono diventati il maggior fattore di destabilizzazione della regione e i maggiori esportatori di terrorismo antiebraico e antioccidentale. Ma quando, il 4 novembre 1979, alcune centinaia di studenti coranici assaltano l'ambasciata americana a Teheran e ne escono sfoggiando in mondovisione 52 diplomatici bendati e presi in ostaggio, per Jimmy comincia una china inesorabile. Quasi tutti i prigionieri rimarranno nelle mani dei gentiluomini maomettani per 444 giorni.

Nel mezzo, aprile 1980, c'è la débâcle più imbarazzante della storia delle operazioni speciali americane: nome in codice Eagle Claw, Carter dà il via libera al blitz che riporti a casa gli ostaggi. Conclusione: otto marines morti, sei elicotteri persi, gli ayatollah che dividono i sequestrati in varie zone remote per scongiurere un nuovo tentativo. È in quel preciso momento che Jimmy perde le elezioni con Reagan.

A rinforzare la disillusione trasversale, l'insuccesso economico, che Oltreoceano è premessa sistematica del tracollo elettorale. Carter eredita la crisi energetica, ma il suo inattivismo la aggrava: l'affermazione incontrastata della teocrazia islamica genera una sensibile riduzione della produzione di petrolio iraniano, con ulteriore aumento dei prezzi. È la spirale inflazionistica, che il presidente non riuscirà mai a invertire davvero, come non riuscirà mai ad arrestare l'altra grande emorragia nel corpaccione statunitense di fine anni Settanta, quella della disoccupazione.

In compenso, il 15 luglio 1979 ha la brillante idea di tenere un discorso contro lo stile di vita americano. «Troppi di noi ora tendono ad adorare il consumismo e non si preoccupano delle conseguenze delle loro azioni», fu l'esordio parasocialista, con seguente invito gretino ante litteram a spostarsi di meno, a usare l'automobile di meno, ad accendere i termostati di meno. Per dare l'esempio, fece anche installare trentadue pannelli solari sul tetto della Casa Bianca. La loro rimozione fu uno dei primissimi atti di Reagan, una cesura dichiarata con la peggior presidenza della storia americana recente (ex-aequo con Obama). Auguri Jimmy, e grazie. di averci dato Ronnie.

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Libero Quotidiano

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