Giovanni De Carolis si ritira: è stato l’ultimo italiano a vincere un mondiale vero. ‘Match d’addio? Allenarmi per una festa non è per me’

  • Postato il 11 ottobre 2024
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’ultimo italiano a vincere il campionato del mondo in una delle quattro principali sigle della boxe si è ritirato. A quarant’anni compiuti, Giovanni De Carolis ha detto che può bastare così. Oltre alla cintura più prestigiosa versione Wba dei supermedi, ha nel suo curriculum anche un titolo nazionale e un intercontinentale Wbo. Insomma, a lasciare questo sport è un campione, che per fortuna rimarrà nell’ambiente, avendo da anni una sua palestra e più recentemente un Promotion che porta il suo nome. Non sarà facile trovare un suo erede sul ring. Ma un ragazzo in cui crede ciecamente c’è.

Come sta vivendo queste ore?
Trascorro le giornate normalmente, continuando a lavorare dalla mattina alla sera con i ragazzi che frequentano la mia palestra. Il prossimo 18 ottobre ci sarà a Roma la Boxing Night organizzata dalla De Carolis Promotions che vede Geografo-Rossetti come match principale. Siamo impegnati anche su quel fronte. Però ieri mi sono sfogato con un allenamento anch’io.

Come è arrivata la decisone?
Nonostante la mia età, abbastanza all’improvviso. Mi trovavo in palestra e il mio maestro Italo Mattioli era al telefono con il giornalista Dario Torromeo che gli chiede di me, Italo dice per me ha chiuso, mi passa il cellulare e confermo. Ma da tempo monitoravo i miei allenamenti e non riuscivo più a raggiungere quello che ottenevo prima, anche le sensazioni erano differenti.

L’ultimo match rimarrà dunque quello di marzo in Francia, valevole per il titolo europeo.
La tristezza per la sconfitta con Sadjo ha influito, lui è un pugile molto forte, ma tempo fa me la sarei giocata diversamente. Poi ho fatto un camp a Valencia con Usyk, lì mi sono divertito, le sensazione erano buone, ma un conto è fare sparring, un altro è salire sul ring davvero.

Se nel frattempo fosse arrivato un incontro prestigioso?
Beh, se mi avessero chiamato per un match al Madison o a Las Vegas, sarebbe stato difficile dire di no. Per il prestigio accetti.

La storia del pugilato è piena di rientri dopo aver dato l’addio.
Non sarà il mio caso. Non mi migliorei più e quindi basta così. E poi col pugilato non scherzi, né con le prestazioni né con l’età.

Le dispiace non aver avuto una sorta di match d’addio?
No, non mi interessa. Allenarmi per una festa non è nelle mie corde, non avrei stimoli per una cosa cosi, piuttosto una scazzottata me la faccio in palestra.

Tante vittorie, alcune di valore assoluto ma nel record ci sono anche 11 sconfitte in 45 match.
All’inizio della carriera la prima sconfitta è stata devastante. Dopo esserti allenarti tanto, dando tutto, ti accorgi che non è abbastanza. Quella volta il pugile ucraino mi aveva spazzato via. Ma sempre si trova un motivo per ricominciare, alla ricerca di dove si è sbagliato. Ci ho messo un po’ a capire ovviamente. In quel momento era tutto difficile: senza soldi, senza prospettive, senza niente… Ho lavorato tanto mentalmente, grazie anche alle persone accanto.

Sarebbero arrivate altre sconfitte…
Ogni sconfitta mi ha dato esperienza e voglia di reagire fino a fare risultati impensabili, spesso ho vinto da underdog, anzi partire da sfavorito mi ha dato quella spinta in più, se all’estero ancora meglio.

Si ricorda di quando le è arrivata la chiamata per disputare il mondiale?
Venivo da una vittoria a Roma, stavo tornando a casa a piedi, era una tarda mattinata, quando il mio manager di allora Davide Buccione mi telefona e mi dice che ci avevano fatto una proposta che io neanche potevo immaginare. Euforia pura, si sono accorti di me e ora mi gioco tutto! Ero già stato in Germania, ma con Arthur Abraham di cui avevo il poster in camera, avevo avuto timore reverenziale, portavo i colpi senza provare realmente a vincere.

Con Vincent Feigenbutz prima arriva una sconfitta e poi finalmente nella rivincita il titolo mondiale Wba.
Una cascata di emozioni, la consapevolezza di essere arrivato lì con il mio sacrificio, con quello della famiglia, dei piccoli sponsor che mi avevano sostenuto, degli amici, dei maestri. Ero considerato un perdente anche in Italia, non voglio romanzare la storia, ma è cosi. In Germania i tedeschi mi prendevano in giro, quel pugile poi era spocchioso e presuntuoso anche fuori dalle telecamere.

Lì bisognava vincere per ko. Come fu tatticamente il match?
Perfetto. Tornati dal match perso di ottobre, dopo aver analizzato i video non so quante volte, ci allenammo sui numeri di colpi per ripresa, sulla distanza nella quale mettermi, sulle combinazioni più vulnerabili dell’avversario. Avevamo un piano A e un piano B, dopo sei round all’angolo mi dicono di attaccare e fargli sentire i colpi. ‘Aspetta che secondo me questo ha un altro piano’, risposi. Invece avevano ragione i miei maestri e all’ottava ripresa riuscii a tagliare bene l’angolo. Vinsi all’undicesima. Fu un capolavoro tattico.

I maestri sono Italo Mattioli e Luigi Ascani.
Sarò loro debitore per sempre. Quando sono entrato in palestra, ero un ragazzo insicuro, che guardava per terra, parlavo a malapena, avevo difficoltà a relazionarmi con gli altri, loro mi hanno reso tutto più semplice, con grande disponibilità. E io non ero fortissimo, loro erano così con tutti. Quando ho avuto bisogno, mi hanno trovato un lavoro. All’inizio non riuscivo a pagare la retta mensile della palestra, mi dissero che non serviva e che quando mi avrebbero dato il rimborso dei match da dilettante glieli avrei ridati. Non li hanno mai voluti, senza mai farmi sentire in colpa. Oggi continuo a collaborare con loro e ne sono orgoglioso. Mi hanno fatto diventare prima un uomo e poi un pugile. C’è un rapporto speciale tra maestro e pugile, si creano delle dinamiche particolari difficili anche da spiegare.

Le piace ora andare lei all’angolo?
Già da tempo ci vado con i ragazzi della mia palestra. È molto faticoso mentalmente, perché non riesci a sfogare la pressione come invece fa un atleta. Ma mi piace molto.

Chi potrebbe essere il nuovo De Carolis?
Giovanni Sarchioto, l’ho conosciuto che aveva 13 anni, poi ho fatto spesso telecronache dei suoi match da bordoring, l’ho visto fare sparring. Ha personalità, pugno, tenacia, freddezza. Indirizzato in maniera corretta, può fare grandi cose. Sarà presente nella card del 18, poi a breve spero per lui in un titolo italiano. Mi auguro che anche grazie alla De Carolis Promotions arrivi a giocarsi un giorno il titolo mondiale.

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