Giovani pakistane in Italia tra matrimoni forzati e prigionia domestica: la denuncia di Duray
- Postato il 19 aprile 2025
- Di Panorama
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«Mio padre mi disse che la sua parola valeva più di ogni altra, che ormai era tutto combinato. E aggiunse che se continuavo a dire no, mi avrebbe ammazzata». È commossa Duray mentre parla a Panorama. Ventidue anni, pakistana, nel 2022 è fuggita da quel genitore violento che le imponeva la tradizione islamica più rigida: l’aveva promessa in sposa a un cugino più grande nel suo Paese d’origine. Duray arriva con la famiglia in Italia, nelle Marche, quando ha cinque anni. Cresce e frequenta la scuola, ma presto capisce che non avrà mai una vita come le coetanee. «Quello che mi faceva soffrire di più era non potere neppure uscire. A mio padre nemmeno lo chiedevo: per lui andare fuori da sola voleva dire semplicemente violare la regole». Duray è una delle tante ragazze di una comunità del Paese asiatico che in Italia vivono praticamente in prigione. Le famiglie spesso provengono da zone arretrate come il Punjab, al confine con l’India, dove per esempio si utilizzano ancora gli asini per muoversi e trasportare i carichi. In Italia si trovano soltanto per un obiettivo economico, senza nessuna la volontà di integrarsi. A loro basta mettere insieme il denaro necessario per far ritorno in Pakistan e costruirsi una casa. Mentre sono nel Paese straniero ricreano però un microcosmo dove tradizioni tribali e Islam si confondono e alimentano un aberrante senso dell’onore familiare. Accade così che la religione venga utilizzata per giustificare pratiche che annullano la possibilità di prendere decisioni sulla propria esistenza, solo per le donne perché i maschi non hanno restrizioni.
Duray va avanti con il suo racconto: «Stavo fuori solo per la scuola, il resto della giornata dovevo rimanere a casa. E allora disegnavo le mie cantanti preferite, Selena Gomez e Ariana Grande. Non potevo avere un telefono, tantomeno andare alla gita di classe. Anche in aula indossavo sempre gli abiti tradizioni pakistani, anche se con il tempo avevo escogitato un trucco. Mi cambiavo andando a scuola, così mio papà non mi vedeva. Sopra i jeans mettevo dei pantaloni larghi, che toglievo prima della lezione. Via anche il velo, lì. Quando la prima volta lasciai i capelli liberi fu una sensazione bellissima… Una volta, però, mio padre mi sorprese vestita così. Mi fece togliere i jeans e li strappò. “Sei una puttana” mi urlò».
Per Duray la libertà comincia dunque nel 2022. Con il rifiuto dell’anello di fidanzamento del futuro sposo, scelto ovviamente dai genitori. Alla minaccia di morte del padre, la sorella Najaf, anche lei poco più che maggiorenne, chiede aiuto ai carabinieri. Da allora le due ragazze, insieme alla madre, vivono in una comunità protetta, lontano dall’uomo violento che le voleva schiave. In Italia sono tante le famiglie pakistane che costringono le figlie in condizioni simili. Secondo i dati dell’Istat, al 1° gennaio 2024 i cittadini pakistani residenti sono circa 160 mila, pari al 3 per cento della popolazione straniera. Si concentrano prevalentemente nelle regioni del Nord, prima la Lombardia seguita dall’Emilia-Romagna e quindi dalla Toscana. Gli uomini sono in prevalenza impiegati in agricoltura e nel piccolo commercio. Le donne che lavorano, invece, sono appena il 7,2 per cento. D’altronde, secondo il tradizionale schema familiare, devono restare a casa ed evitare contatti con l’esterno. Al massimo possono, come Duray, frequentare la scuola, senza però poter stringere amicizie. In questo ambiente, tuttavia, avviene il confronto stridente con usi e costumi occidentali. Ecco che, per le figlie degli immigrati, avviene una sorta di cortocircuito emotivo.
Lo testimonia anche Alessia, educatrice di una comunità per ragazze nel Centro Italia. «Ho avuto a che fare con molte famiglie di questo tipo. In molti casi rifiutano il Paese che li ospita. In generale pensano che l’Italia – e l’Occidente in generale – siano luoghi di perdizione dove domina il malcostume. Non vogliono che figli e figlie si mescolino con ragazzi della loro età. Ricordo ancora il padre di una sedicenne d’origine musulmana durante i colloqui protetti. Dapprima sembrava disposto ad ascoltarci, ma non appena capì che la figlia voleva continuare a vedere un giovane italiano, cominciò a gridare, dicendo che avrebbe dovuto subito sposarlo. Addirittura si scagliò contro la ragazza. Fino a quel momento, aveva recitato la parte del papà accomodante».
La cronaca nera racconta poi come alcune situazioni di queste giovani donne, che aspirano soltanto a una vita normale, finiscano in dramma. È accaduto a Saman Abbas, la 18enne pakistana uccisa a Novellara dai parenti perché non voleva il solito matrimonio combinato, mandando in fumo il profitto economico che quell’unione avrebbe portato. È stata sua madre Nazia, nella notte fra il 30 aprile e il 1º maggio del 2021, a consegnarla al suo assassino, lo zio Danish, secondo quanto ricostruito dai giudici del processo di primo grado. Per i genitori c’è stata la condanna all’ergastolo e a 14 anni di reclusione lo zio. Mentre esce questo articolo, sta per essere pronunciata la sentenza d’Appello che potrebbe portare alla condanna anche di due cugini di Saman, Ikram e Nomanulhaq, dal momento che la Procura ha chiesto il carcere a vita per tutti e cinque i familiari.
È raro che una madre si opponga al destino della figlia, pagando a quel punto un prezzo altissimo anche lei. Forse l’unico esempio è quello della 46enne Shannaz Begum, uccisa il 3 ottobre 2010 in provincia di Modena. È stata lapidata dal marito e dal figlio, nel cortile di casa: aveva difeso la figlia Noshenn che, appunto, aveva rifiutato le solite nozze combinate. Di recente, ci sono state vicende che, se non estreme, raccontano altre violenze e frustrazioni. A Viterbo, poche settimane fa, due genitori musulmani sono stati condannati per aver preso a bastonate la figlia quattordicenne, costretta a indossare il burqa e a leggere il Corano. A Brescia, il consigliere comunale di origini indiane Balwinder Singh, eletto in una lista civica di centrodestra, si è dimesso dopo essere stato indagato per aver picchiato le figlie «che volevano vivere all’occidentale». In casa, più volte avrebbe giustificato l’omicidio di Saman, un delitto «doveroso» perché, secondo le sue convinzioni, l’onore va salvaguardato a tutti i costi. Anche quando significa passare sopra l’amore che dovrebbe essere il più forte: di un padre e una madre per la ragazza che hanno messo al mondo.