Giornata mondiale della fibromialgia: “Un dolore forte e incessante e una profonda stanchezza, ma dagli esami non si vede nulla. I pazienti spesso non vengono compresi”
- Postato il 12 maggio 2025
- Salute
- Di Il Fatto Quotidiano
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C’è una malattia che oltre al b porta con sé il rischio di non essere compresi e di venire scambiati per visionari. È la fibromialgia, di cui il 12 maggio ricorre la giornata mondiale per aumentare la consapevolezza sul calvario che molto spesso i pazienti che ne soffrono si trovano ad affrontare. Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con Lorenzo Dagna, primario dell’unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia, e Malattie Rare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore di Medicina Interna all’Università Vita-Salute San Raffaele.
Come possiamo definire la fibromialgia?
La fibromialgia è una condizione caratterizzata da un’alterata percezione del dolore, che risulta amplificato per ragioni ancora non completamente comprese. Il dolore, di tipo cronico e diffuso, è spesso associato a una marcata stanchezza e a disturbi cognitivi, che possono compromettere funzioni come la memoria e la concentrazione.
È complicato diagnosticarla?
Quel che rende particolare questa sindrome è che, nonostante il paziente presenti un quadro come quello appena descritto, gli esami di laboratorio e quelli strumentali che indagano possibili cause del dolore non evidenziano anomalie. Ecco perché chi soffre di fibromialgia spesso non viene compreso e cerca conforto e diagnosi consultando diversi specialisti.
Quando allora si può giungere a una diagnosi di fibromialgia conclamata?
Possiamo diagnosticare la fibromialgia in un paziente che ha una storia di dolore cronico, associato tipicamente a profonda stanchezza, in assenza di altre ipotesi diagnostiche. Tipicamente il dolore non è localizzato ma generalizzato e dura da almeno 3 mesi. Molto spesso si tratta di persone che riferiscono anche un’estrema difficoltà a riposare in modo adeguato. Tutto questo, in assenza di una chiara causa organica, porta il clinico a considerare l’ipotesi diagnostica di fibromialgia. Occorre poi precisare che esistono due forme di fibromialgia: una di tipo primario che insorge in soggetti peraltro sani e una di tipo secondario che colpisce i soggetti che presentano già altri disturbi coesistenti, come per esempio una malattia reumatologica.
Il dolore di cui parla riguarda i muscoli, le ossa o entrambi?
È un dolore muscolo-scheletrico, ma può riguardare anche l’intestino, manifestandosi ad esempio con dolori addominali molto forti. C’è chi accusa dolore anche a livello vescicale o soffre di forti mal di testa.
Volendo dare dei dati, quante persone sono interessate da tale patologia?
È estremamente difficile fare una valutazione di questo genere, perché è una malattia che non ha caratteristiche cliniche univoche. Secondo una stima verosimile e spannometrica in Italia sono 2 milioni le persone che ne soffrono, ovvero il 3-4% della popolazione generale.
Ci sono categorie più colpite di altre?
Per motivi non ancora chiaramente riconosciuti è più frequente nelle donne tra i 20 e i 50 anni di età.
Quali sono le cure disponibili per chi soffre di fibromialgia?
Per garantire un percorso di cura ottimale è necessario innanzitutto spiegare al paziente che cos’è la fibromialgia, come si manifesta e perché. Un soggetto che accusa dolore diffuso, stanchezza e riscontra difficoltà cognitive, a fronte di esami perfettamente normali, subisce spesso l’incomprensione di chi gli sta intorno. È importante spiegare che, anche se non sappiamo elencarne le cause o dimostrarne in modo oggettivo la presenza, questa è una malattia vera e propria. Dopo tale premessa, gli ordini di terapia che si possono utilizzare sono sostanzialmente due. Il primo è volto a ridurre la percezione del dolore attraverso l’attività fisica: allenamento aerobico a intensità incrementale, o anche il Tai Chi. Uno studio ha recentemente dimostrato che questa pratica interviene positivamente sul dolore muscolo-scheletrico dei pazienti. Allo stesso modo percorsi di tipo neurocognitivo danno una mano a comprendere meglio e gestire le problematiche neuropsicologiche che sono sempre presenti, aiutando a correggere disturbi come deficit di memoria e di concentrazione. Nei pazienti che hanno disturbi del sonno, invece, cerchiamo di migliorarlo con e senza terapia farmacologica, quando possibile.
E il secondo ordine di terapie?
È di tipo farmacologico, in accompagnamento a quanto appena detto. Ma a tal proposito vorrei fare una precisazione.
Dica.
Alcuni colleghi quando si trovano di fronte a un paziente fibromialgico sono soliti somministrare immediatamente farmaci che, agendo sulla conduzione nervosa, aiutano a controllare il dolore. E spesso fanno questo non considerando in modo adeguato gli effetti collaterali di tali terapie, nonché la frequente incapacità dei soli trattamenti farmacologici di portare ad un buon controllo di malattia a lungo termine. Il gold standard della terapia consiste nell’affiancare la prescrizione di alcuni farmaci a percorsi fisici e neurocognitivi. Per esempio, si possono suggerire quelli che favoriscono il riposo o quelli che aiutano a controllare la conduzione dello stimolo nervoso attraverso i nervi. Solo in ultima istanza e idealmente per periodi limitati ricorrerei ai farmaci analgesici.
Perché?
È prevedibile che, dopo la somministrazione dell’analgesico, il paziente possa riportare un beneficio iniziale. Eppure, con il tempo, lo stesso farmaco potrebbe risultare meno efficace a causa dello sviluppo di tolleranza farmacologica, rendendo necessario un incremento del dosaggio, con il conseguente aumento del rischio di effetti collaterali.
Le terapie farmacologiche sono a carico del paziente?
Gli integratori talvolta impiegati nel trattamento della fibromialgia non rientrano nei livelli essenziali di assistenza (LEA) e sono quindi a totale carico del paziente. Per quanto riguarda i farmaci, non è prevista al momento un’esenzione specifica per la fibromialgia; tuttavia, molti di essi sono inclusi nel prontuario farmaceutico nazionale e risultano pertanto rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), con partecipazione alla spesa limitata al pagamento del ticket.
Lo scorso febbraio la X Commissione Sanità del Senato ha scelto di portare avanti il DDL 946, anziché un testo di legge specifico per la fibromialgia e le associazioni di pazienti quali AISF (Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica) e CFU (Comitato Fibromialgici Uniti) hanno manifestato tutto il proprio disappunto. Che cosa ne pensa?
Il disappunto delle Associazioni dei Pazienti per la mancata approvazione di una legge specifica sulla fibromialgia è comprensibile. La decisione di proseguire con il DDL 946 nasce da esigenze di equilibrio tra tutela dei pazienti e sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Difatti, come già prima indicato, la fibromialgia, pur essendo una condizione reale e spesso invalidante, ha una diagnosi complessa e criteri clinici non sempre oggettivabili. Alcune stime parlano di una possibile prevalenza che potrebbe salire fino al 20% della popolazione generale se si utilizzassero criteri meno stringenti per la diagnosi: estendere esenzioni o benefici sanitari a una platea così ampia senza criteri rigorosi rischierebbe di compromettere l’equilibrio economico del SSN. Volendo vedere un segno positivo, il DDL 946, pur non essendo esclusivamente dedicato alla fibromialgia, rappresenta un passo avanti per tutte le patologie croniche e invalidanti. Peraltro, alcune Regioni, come la Lombardia, stanno già intervenendo con misure concrete, quali l’identificazione di Centri di Riferimento Regionali per la fibromialgia e proposte di esenzioni specifiche, che riflettono le indicazioni scientifiche più aggiornate. Il riconoscimento della fibromialgia è un percorso ancora in atto, che deve essere costruito con serietà, rigore e ascolto tra tutte le componenti (sanitaria, politica e delle Associazioni dei Pazienti).
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