Giornata Mondiale del Tumore al Pancreas, Rivizzigno: “Dieci anni fa era un buco nero. Oggi il tasso di sopravvivenza è al 13%, ma servono ospedali specializzati”
- Postato il 20 novembre 2025
- Salute
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un tumore complesso e con prognosi spesso infausta, ma per il quale aumentano le cure e la sopravvivenza, grazie, anche, all’avvento delle “Pancreas Unit”, seppure solo in Lombardia. Nella Giornata Mondiale del Tumore al Pancreas, Piero Rivizzigno, presidente dell’Associazione Codice Viola, associazione indipendente che aiuta, informa e indirizza i pazienti che hanno avuto una diagnosi di tumore al pancreas, invita a un cauto ottimismo: “Dieci anni fa questo tumore era un buco nero, oggi lo è meno. Ma le differenze regionali sono ancora enormi”.
Quello al pancreas è un tumore di cui si parla sempre di più, anche perché anche “vip” e persone famose colpite si raccontano al pubblico. Tuttavia la sopravvivenza purtroppo resta molto bassa.
Sicuramente il tumore del pancreas è una patologia complicata. Tuttavia, intorno a questo aspetto si è forse creato anche un po’ di nichilismo sia da parte della comunità di pazienti sia di una parte dei medici. Io, ad esempio, sono stato toccato da questa malattia in due istanti diversi della mia vita, la prima volta nel 1993 quando a mio padre è stato diagnosticato un tumore al pancreas ed è morto in sei mesi, all’epoca le uniche terapie disponibili erano la radioterapia, ma quella di 32 anni fa. E poi nel 2015 è stato diagnosticato lo stesso tumore a mia moglie e sono passati più di dieci anni dalla diagnosi e lei è ancora con noi. Non è un caso ricorrente, ma neanche un caso sporadico come anni fa. Non voglio passare per un ottimista ma quello che voglio dire è che la sopravvivenza è migliorata. Secondo i dati AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), nel 2015 la sopravvivenza mediana a 5 anni era intorno all’8%, quest’anno siamo al 13%.
Un piccolo miglioramento.
Sì, dal punto di vista assoluto non sembra un grande miglioramento ma è indicativo di un processo che si comincia a fare. Soprattutto nell’ultimo anno si vedono degli spiragli per potenziali salti di qualità, in particolare per la cura di una mutazione che è il K-Ras, presente in circa il 92% dei pazienti con tumore al pancreas – del polmone e del colon retto – mutazione che oggi non è aggredibile con dei farmaci, però ci sono delle sperimentazioni che aprono degli spiragli di speranza. Inoltre la diffusione della pratica della chemio neoadiuvante prima dell’intervento chirurgico tende a diminuire il rischio di recidive precoci.
Esiste per il tumore al pancreas un percorso simile a quello delle Breast unit per il tumore al seno, cioè un percorso stabilito che indirizzi subito il paziente nelle strutture migliori?
Guardi, noi siamo l’associazione che ha contribuito all’introduzione delle “Pancreas Unit” in Italia, una storia incredibile che non viene raccontata. Oggi la sanità è regionalizzata, per cui alcune iniziative partono in una regione, ma non è detto che le altre seguano. In regione Lombardia dal 1 aprile del 2024 sono state individuati 14 centri hub (cioè di riferimento) e 31 centri spoke (centri che hanno competenze cliniche specifiche per il tumore del pancreas ma non possono fare interventi chirurgici) che costituiscono la rete della Pancreas Unit in Lombardia. Giusto per darle un’idea, prima della creazione delle delibere che hanno formato queste “Pancreas Unit” c’erano 75 ospedali che operavano di tumore al pancreas, sono diventati 14.
E’ un miglioramento?
Certo. Perché l’operazione al pancreas è una delle operazioni più complesse dell’apparato addominale e richiede grandissima esperienza. Per darle un riferimento c’erano ospedali che avevano il 30% di mortalità a 90 giorni, ora siamo, per gli ospedali di riferimento, al 2-3%, un divario di performance ingiustificabile. Oggi il 95% degli interventi in Lombardia si fa nei centri hub. Questa riduzione degli ospedali ha permesso, anche prima dell’avvento delle Pancreas Unit, una riduzione della mortalità complessiva di tutta la chirurgia pancreatica in Regione Lombardia dal 7,9% al 5,9% in un anno. Tenendo presente che in Lombardia ci sono circa 1.300 interventi, questa differenza sono vite umane salvate. Tutto ciò sta portando alla standardizzazione dei processi sempre più importante.
Chi si ammala nelle altre regioni dovrebbe allora andare in Lombardia?
Esiste un’agenzia del ministero che si chiama AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) che ogni anno produce un documento importantissimo, il Piano Nazionale degli Esiti (PNE), che dà conto dei risultati di tutte le prestazione offerte con un ricovero in ospedale. Sui dati per la chirurgia del tumore al pancreas si vede che ci sono due regioni, fondamentalmente Veneto e Lombardia, che hanno un surplus, esiste cioè una migrazione verso queste due regioni; mentre la maggior parte delle altre regioni ha un deficit negativo, per esempio il Lazio, la Puglia, la Sicilia; il centro-sud, diciamo, ma anche una regione virtuosa come l’Emilia-Romagna.
Non esiste alcuna possibilità di diagnosi precoce per questo tumore?
La prima cosa da fare è capire se nella propria famiglia, oltre al tumore al pancreas, ci sono stati casi di tumore al seno, alla prostata, all’ovaio, perché questi tumori condividono una mutazione molto nota, la BRCA, una mutazione di tipo ereditario, il cui test si fa attraverso l’analisi del sangue. Per il tumore del pancreas parliamo di un 6-8% dei casi. In alcune regioni questo test viene eseguito a tutti i pazienti, ma la situazione è a macchia di leopardo. Secondo uno studio una piccola percentuale dei nuovi pazienti ogni anno, cioè il 5%, scopre di avere la mutazione BRCA senza essere a conoscenza della presenza della mutazione in famiglia (i casi di nuovi pazienti sono circa 14.600 l’anno). Questo è importante dal punto di vista clinico, perché la presenza della mutazione BRCA rappresenta l’unico caso in cui si può indirizzare immediatamente la cura con protocolli chemioterapici specifici a base di platino.
Cosa devono fare i figli di chi ha questa mutazione?
Sottoporsi al test, perché la probabilità di trasmetterlo per via diretta è del 50%. L’Associazione italiana per lo studio del pancreas (AISP) ha certificato un certo numero di ospedali che possono fare programmi di prevenzione per i familiari (qui i riferimenti, qui invece i centri). La regola scientifica è che entrano nei programmi di screening e prevenzione gratuita. Gli altri possono valutare se fare questo test a pagamento: costa dai 600€ agli 800€. Chi non è ancora malato ma scopre di avere la mutazione BRCA, un anno fa una risonanza magnetica alternata, il successivo, una ecoendoscopia, esame un po’ invasivo ma estremamente accurato.
Venendo all’associazione Codice Viola. Come associazione cosa fate?
Fondamentalmente siamo impegnati a dare supporto ai pazienti, dando tutte le informazioni soprattutto nella fase iniziale che è quella della disperazione, quando, appena scoperto di avere un tumore, uno si chiede dove andare, quali sono gli ospedali di riferimento, chi sono i medici migliori. Cerchiamo informazioni sulla base di dati oggettivi, come quelli di AGENAS, Piano Nazionale degli esiti, lo facciamo con uno screening dei medici, verificando le loro pubblicazioni, il loro h-index, che misura la qualità scientifica delle loro pubblicazioni. Adesso stiamo lanciando una chat, un GPT basato su chatGPT specifica per il tumore al pancreas, dove sono state caricate tutte le informazioni basate su evidenze. Si può accedere alla versione sperimentale di GPT Codice Viola dal nostro sito, codiceviola.org. Carichiamo tutti i dati ufficiali dei processi di cura pubblicati dall’AIOM e pubblicati sul sito dell’Istituto superiore di sanità, i dati AGENAS, quelli di AIRTUM, gli articoli scientifici di riferimento in modo che chi interroga questa chat può avere risposte mirate. Insomma, la nostra è un’operazione di “filtraggio” sulla base di documenti che sono supportati dai dati pubblici validati dal Ministero, uniti alle pubblicazioni scientifiche.
Come associazione avete anche finanziato una ricerca indipendente?
Sì, si tratta dello studio Cassandra – PACT-21 presentato all’ASCO 2025 (Conferenza Mondiale dell’Oncologia), studio indipendente, cioè non finanziato dalle aziende farmaceutiche, ma da alcune associazioni dei pazienti. La studio ha valutato l’efficacia di due diversi protocolli, l’mFOLFIRINOX e PAXG nella chemioterapia neoadiuvante, quella che viene somministrata al paziente prima dell’intervento. Lo studio ha visto coinvolti numerosi centri italiani ed è stato guidato dal prof. Michele Reni, S. Raffaele Milano. I risultati hanno dimostrato la superiorità del PAXG e saranno pubblicati a breve su una delle più prestigiose riviste mediche internazionali.
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