Giorgio Locatelli, uno chef tra i quadri: la cucina italiana conquista la National Gallery di Londra

  • Postato il 8 luglio 2025
  • Di Panorama
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C’è ancora discussione, tra chi si occupa di cose in apparenza minori: un piatto goloso, inventivo, che in pochi minuti viene demolito in bocca per dare soddisfazione palatale e gastrica, può essere definito opera d’arte, ancorché effimera? Chissà. Mentre c’è chi sull’argomento elucubra pensieri alti, Giorgio Locatelli, chef di primissimo piano, protagonista di MasterChef Italia (sta appunto registrando le puntate della prossima edizione), sicuro che «la cucina è alto artigianato, non arte: tanto dovrebbe bastarci», trionfa – verbo non eccessivo – con due realtà gastronomiche all’interno di un’istituzione artistica e culturale di vertice: la National Gallery a Trafalgar Square, Londra.

Con 2.300 dipinti dal XII secolo ai primi del Novecento, e oltre 3 milioni di visite nel 2024 (anno del bicentenario), la galleria si conferma uno dei musei più frequentati al mondo. Locatelli ha scelto bene: una postazione così non si inventa da un giorno all’altro. Vero: le persone vanno per vedere i quadri, non per l’alto artigianato di tagliatelle alla bolognese, pappardelle fave e pecorino, tagliatelle di seppie con piselli e limone, melanzana affumicata, ricotta di soia, nocciole tostate e pesto di basilico, vitello tonnato e tiramisù, ma in tanti si fanno tentare e prenotano da lui. Un gran nome nel Regno Unito.

Nella sua locanda, ora chiusa, si sono seduti Carlo d’Inghilterra (quando era principe) e altri membri della famiglia reale, oltre a una folta schiera di celebrities e palati raffinati. Ritrovare tra i quadri l’italiano dai mestoli e forchette d’oro, con offerta di maritozzi dolci e salati al Bar Giorgio e piatti che profumano di Mediterraneo al Ristorante Locatelli (entrambi nella Sainsbury Wing, nuova ala della National Gallery), è una piacevole sorpresa. Il regno dello chef è stato inaugurato in maggio, con due ospiti d’eccezione: re Carlo e la regina Camilla. Non potevano mancare alla festa dell’amico cuoco, amatissimo dagli italiani in gita culturale, londinesi o turisti dai quattro angoli del mondo. Tanti si fanno un selfie con Locatelli, e la giovane resident chef (bravissima) Imma Savinelli, incoronata da Giorgio. Meglio che farsi fotografare tra i dipinti, a rischio – come è successo agli Uffizi – di sfondare preziose tele.

Dice Locatelli: «Ho voluto fare, in un luogo sacro per l’arte, un ristorante italiano molto democratico, che tolga l’alone elitario talvolta presente sulla nostra cucina, amata in tutto il mondo per la varietà, visto che in fondo è una somma creativa di tante cucine regionali. Abbiamo vinto il bando a cui partecipavano oltre 25 compagnie di ristorazione. Un grande successo per la cultura gastronomica tricolore, non è cosa di poco conto operare in un bastione della cultura britannica».

Le opere d’arte ispirano? «Certo», risponde Locatelli. «Per esempio il pane presente sul tavolo della Cena in Emmaus del Caravaggio ci ha dato idee. Va detto che la National Gallery la conosco benissimo. Quando tanti anni fa lavoravo al Savoy, i colleghi nelle ore libere andavano al pub, io mi godevo i dipinti al museo, studiandoli nei dettagli. E ora, si potrebbe dire, vivo di rendita, mettendo in risonanza l’arte con l’artigianato della cucina».

Al fianco di Locatelli, la moglie Plaxy Cornelia Exton che, come ha sempre detto lo chef, «mi ha ispirato in tutto» (altro che opere d’arte…). Continua Locatelli: «Il ristorante alla National Gallery, tra l’altro diretta da un italiano, Gabriele Finaldi, è di servizio, non una destinazione. Differenza forse sottile, ma determinante. I clienti sono già stimolati visivamente dal vaso di Pandora delle opere d’arte, non resta che farlo sul piano gustativo, continuando a ispirarsi ai dipinti, ma soprattutto portando avanti con dedizione il culto della cucina italiana».

La quale però, ricordiamo a Locatelli, non è proprio ai vertici, se guardiamo i premi dei Fifty Best, i 50 migliori ristoranti al mondo. Nelle finali tenute a Torino, in cima c’è un ristorante nipponico di Lima, il Maido, e in classifica dettano legge l’America Latina e l’Asia. «A parte che ci sono sei ristoranti italiani nei Fifty Best, ma non vedo crisi per la cucina italiana, anzi», ribatte Locatelli. «Bene che si valorizzino le cucine di altre aree del pianeta, lo meritano. E questi risultati si ottengono con grandi investimenti, anche dei governi. La Francia, per dire, è da oltre un secolo che sostiene i suoi cuochi. L’Italia è arrivata ultima, ma non bisogna fare l’errore di chiudersi e avere paura. La cucina è apertura, orizzonti da scoprire, condivisione. Quando si hanno prodotti come i nostri e si ha la capacità di mettere in tavola cose tutto sommato semplici, non astrusità, non vedo perché non esserne orgogliosi».

Sentire arpe che intonano l’orgoglio dei piatti nazionali, e dal cuore di Londra poi, ci fa chiedere a Locatelli, nato a Vergiate in provincia di Varese, quando metterà radici in Italia, con un proprio ristorante, invece di girarla per MasterChef (è stato di recente a Cagliari per un’esterna) per poi tornarsene subito nel Regno Unito.

«Succederà», risponde lo chef. «Devo trovare il posto giusto, probabilmente al Sud, e il momento adatto. Ora la National Gallery, dove presto aprirò anche un club riservato ai soci, occupa gran parte del mio tempo. Con MasterChef, ovvio. Il mio periodo artistico voglio che dia il massimo. Sono un perfezionista, lo sapete».

Autore
Panorama

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