Giorgio Forattini fu commedia dell’arte, l’Italietta politica nel trionfo del suo provincialismo
- Postato il 4 novembre 2025
- Di Il Foglio
- 1 Visualizzazioni
Giorgio Forattini fu commedia dell’arte, l’Italietta politica nel trionfo del suo provincialismo
Morire lo stesso giorno di Dick Cheney è una bella scalogna, se esiste davvero il famoso tribunale della storia (e lui aveva una vera passione, per l’ultima vignetta, cerimonia a matita degli addii). Ma Giorgio Forattini (Roma 1931, morto ieri a Milano) di ironia ne aveva da vendere, non avrebbe obiettato alla sorte, e poi provinciali come siamo è probabile che le prime pagine di oggi diano altrettanto spazio a lui che all’Uomo nero dei Bush.
Del resto del provincialismo italiano – absit iniuria verbis: il provincialismo è uno dei tratti nazionali migliori, anche in politica, e pazienza per quegli snob dei suoi datori di lavoro, Scalfari e la proprietà, che l’Italia alle vongole l’hanno sempre schifata – è stato nel suo piccolo un Leonardo da Vinci. La schifava anche lui, l’Italietta, come tutti noi quando ci mettiamo allo specchio, ma forse un po’ meno. Così è riuscito a trasformare, con tratto pungente, a volte geniale, caricaturale più che cattivo, l’Italia della politica in un gran teatrino dei pupi, compresa la Sicilia a testa di coccodrillo della mafia, ma preferibilmente in una commedia dell’arte sempre uguale a sé stessa. Il tappo Fanfani sparato come un tappo di spumante dal referendum sul divorzio, Craxi con gli stivaloni, Spadolini un putto nudo danzante, Prodi un parroco della Bassa, Berlinguer in vestaglia da milord (si offese molto), Bossi Pluto e Renzi Pinocchio. Un teatrino di provincia in cui uno vale l’altro, e il popolo ogni mattina fa spallucce come il più indignato intellettuale di Repubblica, ma con più gusto.
Negli anni del suo lungo regno di prima pagina Forattini più che bombardare i palazzi e le casematte del potere, vero scopo della satira, le ha trasformate in una sitcom espansa e continua, Casa Forattini come Casa Vianello. E gli va riconosciuto a merito che dopo di lui, che da anni aveva chiuso con le matite, nessuno ha saputo riprendere il racconto popolare da dove l’aveva interrotto. A suo merito, sapeva far imbestialire tutti, anche quelli consanguinei ai suoi giornali, come D’Alema per una vignetta sull’affaire Mitrokhin. Da Rep. imbolsita se ne andò, del resto Giorgio Bocca lo chiamò “traditore” (traditore un uomo di satira?), ma poi se ne andò anche dal Giornale per via di una vignetta irriverente sul Cav. Gli auguriamo che a nessuno salti in mente di omaggiarlo con una vignetta di matite abbandonate in riva al mare. Non se lo merita, non era un metafisico, sapeva divertirsi.
Continua a leggere...