Giorgio Armani: 5 spigolature sul Re dell’eleganza che lo rendono una leggenda nella moda

  • Postato il 5 settembre 2025
  • Moda
  • Di Artribune
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Giorgio Armani non è soltanto un nome della moda: è un simbolo di stile e di sobrietà, un visionario che ha riscritto le regole del vestirsi trasformando il guardaroba contemporaneo. La sua morte, all’età di 91 anni, chiude un capitolo fondamentale della storia della moda italiana e internazionale. Armani lascia un’eredità immensa: un impero che comprende abbigliamento, accessori, hotel, ristoranti, musei e persino squadre sportive. Ma al di là dei successi commerciali, ciò che resta è la sua idea di moda come linguaggio essenziale, lontano dagli eccessi e dalla spettacolarizzazione. Per onorare la sua memoria, ecco cinque curiosità che raccontano lati meno noti della sua carriera e personalità.

Da medicina alla moda: un percorso inatteso

Prima di diventare lo stilista federatore del Made in Italy, Giorgio Armani intraprese una strada completamente diversa. Nato a Piacenza nel 1934, nel dopoguerra si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Milano. Frequentò i corsi per due anni, ma capì presto che quella non era la sua vocazione: l’anatomia e le corsie d’ospedale non lo affascinavano quanto l’estetica e il gusto per l’armonia visiva. Decise così di abbandonare gli studi e cercare un nuovo orizzonte. Lo trovò alla Rinascente di Milano, uno dei grandi magazzini simbolo della modernità italiana degli Anni Cinquanta. Iniziò come vetrinista, imparando l’arte di comporre scenografie commerciali e di raccontare una storia attraverso abiti e accessori. Quel lavoro apparentemente minore fu invece la sua prima grande palestra creativa: Armani osservava i clienti, analizzava come si muovevano nei capi, studiava i tessuti. Il passaggio da semplice addetto alla costruzione di un’estetica destinata a rivoluzionare la moda fu graduale. Dopo la Rinascente, entrò nell’ufficio stile di Nino Cerruti, che gli diede fiducia come fashion designer. Fu in quegli anni che affinò la sua ossessione per la giacca maschile, che avrebbe poi destrutturato rendendola leggera, comoda e libera dalle impalcature rigide tipiche del dopoguerra.

Armani Silos
Armani Silos

Sfilate e giornalisti: un rapporto complesso

La carriera di Armani è stata segnata anche da un rapporto particolare con le sfilate e con il mondo della stampa. Negli Anni Ottanta e Novanta, in piena esplosione della moda italiana, le sue presentazioni erano tra le più attese e affollate di Milano. Tuttavia, Armani non amava l’idea della moda come spettacolo fine a sé stesso: per lui, la sfilata era un mezzo, non un fine. Difatti, negli Anni Ottanta, abbandonò le passerelle, come ammise in un’intervista del tempo concessa a Mixer di Giovanni Minoli: lui voleva incontrare la stampa diversamente, senza organizzare grandi festeggiamenti. Poi nel 2020, durante la pandemia, fu tra i primi a organizzare una sfilata a porte chiuse, trasmessa in streaming per proteggere la salute di ospiti e giornalisti. Una scelta coraggiosa, che mostrò quanto fosse pragmatico e lucido anche nelle situazioni difficili. Il suo rapporto con i giornalisti era duplice: da un lato li considerava fondamentali per diffondere il messaggio del brand, dall’altro non mancava di criticare chi, a suo dire, cercava soltanto lo scoop o l’effetto sensazionalistico. Armani difese sempre la sua autonomia creativa, preferendo il dialogo costruttivo e mantenendo un controllo diretto sulla comunicazione. Negli ultimi mesi, quando le condizioni di salute lo hanno costretto a saltare alcune sfilate, i media parlavano di un addio imminente alle passerelle. Ma Armani non abbandonò mai davvero la moda: fino alla fine, ha continuato a seguire le collezioni, dimostrando una dedizione senza pari.

Il rifiuto dell’ostentazione: la filosofia del “less is more”

Eleganza non significa farsi notare, ma farsi ricordare”, amava dire Armani. Questa frase racchiude la sua visione: un rifiuto netto dell’ostentazione e degli eccessi. Il minimalismo armaniano non era freddo né impersonale: si fondava sulla ricerca di tessuti fluidi, confortevoli, capaci di seguire i movimenti del corpo. Fu lui a introdurre il concetto di “giacca destrutturata”, leggera e versatile, che rivoluzionò il guardaroba maschile negli Anni Settanta. Per le donne, eliminò rigidità e costrizioni, regalando capi androgini e moderni che parlavano di emancipazione. Il colore simbolo della sua estetica era il cosiddetto “Armani greige”, una tonalità a metà tra grigio e beige che divenne la sua firma cromatica. Non un colore vistoso, ma una nuance sofisticata e senza tempo, capace di incarnare la sua idea di bellezza discreta. Questa scelta non fu casuale: Armani non apprezzava chi ostentava ricchezza o lusso in maniera sfacciata, preferendo un’eleganza sottovoce, che dura nel tempo. In un mondo spesso dominato da tendenze fugaci e clamori mediatici, Armani rimase fedele al suo credo estetico, diventando il portavoce universale del “less is more”.

Armani e il lifestyle: oltre la moda

Se Giorgio Armani è ricordato come uno dei più grandi stilisti della storia, è anche perché ha saputo trasformare il suo nome in un universo a 360 gradi. Negli Anni Novanta iniziò a espandersi oltre l’abbigliamento, intuendo che la moda non era solo ciò che si indossa, ma un modo di vivere. Nacquero così le linee Armani Casa, dedicate al design d’interni, e le collaborazioni nel settore dell’ospitalità di lusso. Il primo hotel Armani fu inaugurato a Dubai nel 2010, all’interno del Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo. L’anno successivo fu la volta di Milano, con una struttura che porta la sua impronta sobria e raffinata in ogni dettaglio, dai tessuti degli arredi alla selezione gastronomica. Il legame con la città di Milano trovò la sua massima espressione con l’apertura dell’Armani/Silos nel 2015, uno spazio espositivo progettato dallo stesso stilista per raccontare la sua carriera. Qui sono custoditi oltre 600 abiti e 200 accessori, suddivisi in temi ricorrenti della sua estetica, come “Androgino”, “Etnie”, “Luce”, “Stars”. Non un semplice museo, ma una dichiarazione d’intenti: Armani voleva lasciare alle nuove generazioni un luogo in cui comprendere la forza della moda come linguaggio culturale.

Giorgio Armani e Sophia Loren
Giorgio Armani e Sophia Loren

Cinema e sport: dal fascino di Hollywood ai parquet del basket

Un’altra curiosità che rende Armani unico è il suo rapporto con due mondi apparentemente lontani: il cinema e lo sport. Nel 1980, con American Gigolo di Paul Schrader, Armani vestì Richard Gere in giacche morbide e camicie di seta che divennero simbolo di sensualità maschile. Quel film contribuì enormemente alla fama internazionale dello stilista, che da allora collaborò con decine di produzioni cinematografiche. I suoi abiti sono apparsi in pellicole con attori come Al Pacino, Sophia Loren, Jodie Foster, Cate Blanchett e perfino nei film di supereroi, a conferma della versatilità del suo linguaggio. Parallelamente, Armani sviluppò una passione per lo sport, in particolare per il basket. Nel 2008 diventò proprietario della squadra Olimpia Milano, ribattezzata EA7 Emporio Armani Milano, che sotto la sua guida tornò ai vertici del campionato italiano ed europeo. Firmò inoltre le divise ufficiali di atleti e squadre in varie discipline, compresa la Nazionale italiana alle Olimpiadi di Londra 2012 e Rio 2016. Il legame tra moda, cinema e sport, in Armani, non era mai forzato: rappresentava piuttosto la sua capacità di vedere la moda come un linguaggio universale, capace di entrare in contatto con la cultura popolare e di dialogare con pubblici diversi.

Erika del Prete

L’articolo "Giorgio Armani: 5 spigolature sul Re dell’eleganza che lo rendono una leggenda nella moda" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Artribune

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