Giger è morto ma Alien vive
- Postato il 5 ottobre 2024
- Di Il Foglio
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Giger è morto ma Alien vive
H. R. Giger è morto dieci anni fa. Aveva 74 anni, e un museo tutto suo. Fu inaugurato a giugno del 1998 nello Château St. Germain, che domina la città fortificata di Gruyère, in Svizzera: Giger era nato a Coira nel 1944. A 22 anni si era trasferito a Zurigo per studiare architettura e design industriale alla Scuola di Arti applicate.
Cominciamo a capire come mai la creatura aliena – uno xenomorfo, con lo scheletro all’esterno – e anche la navicella spaziale, per non dire delle strutture tecnologiche in rovina, grondano liquidi. Organici e no, qualcosa sembra olio per motori. Parlava di stile “biomeccanico” – evidentemente stufo della definizione neo-gotico (non era neppure la peggiore).
H. R. Giger è morto ma la sua creatura vive. Alien era un nome proprio, ma è scivolato verso il nome comune, ogni film della saga aggiunge un numero o una specifica. L’ultimo nelle sale è “Alien: Romulus”. E ricordate lo smarrimento, quando scoprimmo che Alien era femmina, molto affezionata ai suoi cuccioli con bave e dentini?
Oggi, sabato 5 ottobre, al Mastio della Cittadella di Torino si apre una mostra tutta dedicata a H. R. Giger. Settanta pezzi originali tra dipinti, sculture, disegni, e video provenienti dal Museo Giger di Gruyère. Sarà aperta fino al 16 febbraio 2025, e ricorda che H. R. stanno per Hans Ruedi. La più grande collezione vista in Italia, per chi non si era già affrettato verso il museo, o magari ha preso un biglietto per Tokio, dove esiste un Giger Bar interamente progettato dal giovanotto – allora quasi cinquantenne – di Coira.
Lì per la prima volta sono state esposte le scultura, in un ambiente “all Giger”. Da lì provengono i pezzi che hanno girato il mondo: Parigi, Istanbul, Vienna e Varsavia. Nel museo sono collocate assieme alle opere degli artisti che Giger collezionava, a cominciare dal prediletto Salvador Dalí.
Lo splendido catalogo della mostra, riccamente illustrato, affascinerà anche i non fanatici di “Alien”. Riproduce, dopo le introduzioni di rito, i pezzi in esposizione. Apre una sorta di Medusa, ma la chioma e il giardino di corna sembrano di natura organica. Poi ci sono i modellini ispirati al “Necronomicon”, testo che non smette di affascinare, dopo Lovecraft. Piastrelle, o forse un pavimento, arabescato finemente: ma non trasmette quiete e tranquillità.
Non poteva mancare la citazione di H. P. Lovecraft: “Il più antico sentimento è la paura, e la paura più grande è il terrore dell’ignoto”. Sulla pagina di fronte, il disegno di una pistola, in sezione. Al posto dei proiettili, omini accovacciati con gli occhiali da saldatore, pronti per essere caricati e sparati fuori. C’è un Baby Alien e un fantastico bar dove nessuno ha la testa sulle spalle: chi un bicchiere chi un’arma, chi un sacchetto.
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