Giappone, la parità di genere resta una chimera e le donne non fanno più figli
- Postato il 13 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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C’era da aspettarselo, tuttavia fa male constatare che nel paese non ci sia stato nessun progresso in termini di parità di genere. I dati resi noti ieri dal rapporto del “Global Center Gap Report” per il 2024 del World Economic Forum parlano chiaro e piazzano il Giappone alla 118esima posizione (la stessa dello scorso anno), della classifica che prende in considerazione 148 paesi al mondo. Gli ambiti considerati dal rapporto sono la Partecipazione Economica e Opportunità, Livello di Istruzione, Salute e Empowerment Politico.
“Gli sforzi compiuti dal Giappone nel raggiungere l’uguaglianza di genere, sono arretrati rispetto a quelli di altri paesi, dobbiamo quindi prenderli in considerazione seriamente e umilmente” ha commentato il Capo Segretario di Gabinetto, Hayashi Yoshimasa, durante la conferenza stampa di ieri. Ma è proprio all’interno del mondo politico e di chi ne esercita i vari ruoli, dove le donne giapponesi incontrano numerosi ostacoli e la loro partecipazione si posiziona al 125esimo posto in classifica, addirittura scesa dall’anno precedente, e pari all’8,5%.
Sebbene la media globale sia comunque bassa – pari al 22,9%- se il progresso continuasse di questo passo servirebbero 123 anni al femminile del pianeta per raggiungere la piena parità e rappresentanza nei ruoli politici. Da una inchiesta condotta lo scorso anno dall’Ufficio di Gabinetto tra i membri delle assemblee locali sparse per il territorio, emerge che qui le donne si trovano ad affrontare enormi problematiche nel bilanciare il proprio ruolo e responsabilità istituzionale, con la gestione della famiglia e non solo. Sono emersi diversi casi di molestie e di radicati stereotipi di genere da parte dei colleghi uomini che, anche se denunciati, portano le donne coinvolte ad abbandonare il lavoro.
Sempre secondo l’inchiesta governativa, più della metà delle donne all’interno del mondo politico afferma di avere subito vari tipi di molestie, il doppio di quanto denunciato dai colleghi uomini. Nella relazione rilasciata pochi giorni fa si specificano abusi verbali, insulti, contatti fisici non richiesti e stalking. Se poi si guarda al rimpasto di Governo di novembre del primo ministro Ishiba Shigeru (alle prese con crisi di popolarità, le elezioni di luglio, il prossimo incontro con Donald Trump, e altri impicci), è evidente quanto poco le donne vengano tenute in considerazione, visto che ci sono attualmente solo due ministre contro le cinque del precedente governo Kishida. Invece di migliorare si arretra, e i propositi per il futuro arrivano dai consueti uomini di potere che promettono da anni passi in avanti, senza di fatto migliorare nulla o troppo poco.
Il gap nella parità di genere, il divario negli stipendi, la situazione economica del momento caratterizzata da inflazione e aumento del costo della vita, si traduce anche nell’inesorabile declino demografico. I nati del 2024 sono stati 686,061, mai così pochi dal 1899. Perché sposarsi e far nascere bambini/e in una società non paritaria e con problematiche globali sempre più urgenti? Così la pensano in molti/e tra le nuove generazioni di giapponesi, tuttavia il governo nel promuovere il cambiamento della tendenza, mette a punto incentivi economici una tantum, sussidi o totale assenza di pagamento delle rette scolastiche, e anche assenze dal lavoro retribuite sia per neo mamme che per neo papà. Soluzioni che al momento non esercitano abbastanza presa sulla popolazione -nonostante altre recenti iniziative come applicazioni che aiutano gli incontri tra single per potenziali fidanzamenti ed eventi di “matchmaking”- mosse che dimostrano chiaramente come le cause siano complesse.
Secondo l’autore britannico Paul Morland, che scrive e parla delle tendenze demografiche del pianeta: “Il Giappone è rimasto impigliato in una trappola demografica”, nel senso che il cronico quanto basso tasso delle nascite sta trasformando inevitabilmente anche la mentalità e il valore etico sul mettere al mondo prole, contribuendo così a un suo continuo declino. Non è certo semplice bilanciare il lavoro e occuparsi dei figli, per mancanza di strutture o che costano troppo, il tempo da dedicare alla cura della famiglia e varie realtà tipiche della vita nelle metropoli. Contesti che secondo Morland portano le donne a non sentirsi realizzate sia come madri che nella carriera. Inoltre le modalità messe in atto dal governo nipponico a prevalenza maschile e centrate sull’aumento delle nascite sembrano, più che favorire, mettere forte pressione sulle donne quasi come fossero designate alla riproduzione per “amore delle patria”. Per avere successo, l’azione politica dovrebbe concentrarsi sulla rassicurazione che la vita lavorativa e famigliare verranno tutelate non solo in funzione del tasso di nascite, ma rispettando le scelte individuali, la parità, l’importanza della salute e la libertà di ciascuna sulle scelte da compiere, secondo le proprie priorità.
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