Ghost of Yōtei, la recensione di un viaggio nel dolore

  • Postato il 30 settembre 2025
  • Tecnologia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’attesa è finita: Ghost of Yōtei è finalmente arrivato su PlayStation 5, portando con sé l’eredità pesante di uno dei titoli più amati della scorsa generazione. Non si tratta però di un semplice seguito: il nuovo capitolo firmato Sucker Punch immerge il giocatore in un Giappone inedito, quello dell’Hokkaidō del XVII secolo, dove natura selvaggia e tradizioni antiche si fondono in un open world ricco di dettagli. La protagonista, Atsu, è una giovane mercenaria orfana che trasforma il dolore della perdita in una ricerca di vendetta e identità. Ciò che rende l’esperienza davvero unica è l’incredibile comparto artistico e grafico, capace di trasformare ogni sessione di gioco in un viaggio visivo e culturale.

Un nuovo viaggio dopo Tsushima
Ambientato circa tre secoli dopo gli eventi originali, il gioco ci porta a nord del Giappone, nella regione di Ezo (attuale Hokkaidō), all’inizio del periodo Edo. La protagonista, Atsu, è una mercenaria orfana segnata da una immane tragedia personale: quando era soltanto una bambina, la sua famiglia venne massacrata dal gruppo noto come i “Sei di Yōtei”. Da questa ferita nasce una storia di vendetta, ma non solo: lungo il percorso, la narrativa promette rivelazioni più ampie, sfide morali e conflitti interiori che vanno oltre la semplice ritorsione, forgiando il carattere di Atsu, che si conferma come una protagonista fenomenale.

La scelta di ambientare il gioco a Hokkaidō non è casuale: Sucker Punch ha voluto esplorare una parte meno rappresentata del Giappone storico, caratterizzata da paesaggi selvaggi, climi rigidi e da una cultura profondamente legata alle popolazioni Ainu. Questo spostamento geografico non è soltanto un cambio di scenario, ma un’occasione per differenziare nettamente il nuovo capitolo dal precedente, costruendo un’identità artistica e narrativa autonoma.

Gameplay: tra continuità e rinnovamento
Il cuore del gioco resta l’open world denso e ricco di dettagli, ma la varietà degli ambienti è decisamente superiore rispetto a Tsushima. Montagne innevate, tundra selvaggia, foreste fitte, ma anche campi di fiori, scogliere e villaggi tradizionali si alternano in un mondo che spinge naturalmente e costantemente all’esplorazione. Il design incoraggia a non seguire esclusivamente le missioni principali, ma a lasciarsi attrarre dai panorami, dai segreti nascosti e dalle quest secondarie che spesso custodiscono micro-narrazioni autonome.

La struttura rimane fedele alla combinazione di missioni narrative, incarichi minori e attività esplorative, ma si percepisce un impegno maggiore nel rendere i contenuti secondari meno ripetitivi; infatti alcuni incarichi secondari sembrano essere progettati come piccole storie autoconclusive che arricchiscono la comprensione del contesto culturale e dei personaggi che lo abitano.

Atsu dispone di un arsenale ampio e diversificato: katana singola e doppia, ōdachi, yari, kusarigama, fino al tanegashima, un’arma da fuoco primitiva che apre nuove possibilità tattiche. Ognuna di queste armi non è soltanto un’opzione di gameplay, ma incarna uno stile di combattimento e una filosofia diversa. L’ōdachi, per esempio, privilegia potenza e portata, mentre la kusarigama combina attacchi veloci e a distanza ravvicinata con movimenti fluidi. A questo si aggiungono strumenti come il kaginawa, utile per arrampicarsi e rendere più dinamica l’esplorazione verticale e il superamento degli ostacoli.

Il combattimento risulta più vario e stratificato rispetto al passato. Lo stealth rimane un’opzione valida e spesso necessaria, ma le battaglie aperte acquisiscono un dinamismo superiore grazie alla varietà di armi e stili. Tuttavia, nonostante queste innovazioni, il gameplay di base non rappresenta una rivoluzione assoluta: chi ha giocato Tsushima ritroverà molte dinamiche familiari. Alcuni limiti emergono nell’intelligenza artificiale, che non sempre riesce a sostenere la tensione necessaria nei momenti più drammatici.

Comparto tecnico: potenza al servizio dell’arte
È sul piano visivo e artistico che Ghost of Yōtei mostra i suoi muscoli. Il team di Sucker Punch ha infatti compiuto viaggi di ricerca in Hokkaidō, esplorando parchi naturali come Shiretoko, studiando la flora, la fauna e le tradizioni locali, incluse quelle Ainu. Questo lavoro di documentazione ha permesso di restituire un mondo credibile, autentico e rispettoso delle fonti culturali.

L’impatto visivo è impressionante. I cieli notturni brillano di stelle e sono talvolta attraversati da aurore boreali mozzafiato. La neve non è solo un elemento scenico: si accumula, si deforma sotto i passi del personaggio e si scioglie al calore del sole. Il vento piega alberi e arbusti, trasportando foglie e particelle di ghiaccio. Ogni elemento sembra vivo, reattivo, parte integrante dell’esperienza. Non si tratta soltanto di spettacolarità tecnica, ma di un approccio immersivo che vuole trasmettere la sensazione di trovarsi in un ambiente ostile, mutevole e magnifico.

La scelta stilistica va oltre il fotorealismo. Gli sviluppatori hanno optato per una resa pittorica, con palette cromatiche essenziali e contrasti netti, capaci di esaltare l’atmosfera di ogni scena. Questa impronta artistica evita l’effetto “rumore visivo” tipico di molti open world moderni, privilegiando invece la leggibilità e l’impatto emotivo.

Modalità visive: un’esperienza personalizzabile
Una delle innovazioni più interessanti è la presenza di modalità visive alternative che trasformano radicalmente l’esperienza. La Kurosawa Mode ricrea l’atmosfera dei film di samurai classici, con bianco e nero graffiato e un audio che simula le imperfezioni delle vecchie pellicole, fenomenale se utilizzata durante le boss fight. La Miike Mode accentua la crudezza dei dettagli, con sangue più evidente e colori desaturati che richiamano uno stile cinematografico più cupo e realistico. La Watanabe Mode invece alleggerisce i toni, con una resa cromatica calda, accompagnata da una colonna sonora rilassata e sonorità lo-fi che in fase esplorativa rende l’esperienza incredibilmente catartica.

Queste modalità non sono meri filtri estetici, ma strumenti narrativi che modificano il tono emotivo del viaggio. La possibilità di scegliere come vivere la storia permette a ogni giocatore di modellare l’esperienza in base al proprio stato d’animo o al messaggio che vuole trarre dall’opera.

Conclusione
Ghost of Yōtei non è soltanto un seguito spirituale di Tsushima, ma una dichiarazione d’intenti: arte e tecnica possono coesistere per creare esperienze memorabili. Se da un lato il gameplay conserva alcune rigidità tipiche del genere open world, dall’altro il comparto grafico e artistico eleva il titolo a un livello di eccellenza rara. È un gioco che vuole essere non solo giocato, ma vissuto.

Chi cerca un titolo capace di coniugare azione, esplorazione e una direzione artistica ispirata troverà in Ghost of Yōtei una delle esperienze più complete e affascinanti del 2025. Non è privo di difetti, ma l’impatto estetico, la profondità dell’ambientazione e la forza simbolica della storia fanno sì che resti un viaggio da ricordare, poiché non tutti i titoli devono necessariamente innovare il settore, se il contenuto è di questo rilievo.

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Il Fatto Quotidiano

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