Gesù disse e Giovanni riscrisse la Genesi: In principio era il Verbo – e Citati ci aiuta a capire
- Postato il 5 ottobre 2025
- Libri
- Di Blitz
- 1 Visualizzazioni

Gesù disse: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”.
Con queste parole si chiude il primo capitolo del Vangelo di Giovanni, quello che ha inizio così:
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Quando compose il suo Vangelo, ha scritto Pietro Citati, “il geniale discepolo del «discepolo che Gesù amava», osò qualcosa che nessuno prima di lui, per molti secoli, aveva tentato. Riscrisse le prime parole della Bibbia: le prime sillabe della Genesi.
“Il testo greco della Genesi diceva: «In principio, Dio creò il cielo e la terra… Dio disse: “Che la luce sia!” E la luce fu. Dio vide che la luce era buona. Dio separò la luce dalla tenebra. Dio chiamò la luce “giorno”, e la tenebra “notte”»”.
Al Vangelo di Giovanni è dedicato un bellissimo articolo di Pietro Citati: pubblicato su Repubblica il 22 febbraio 2007, splende a quasi 20 anni di distanza, come un faro nella comprensione dei nostri fondamentali.
All’ inizio della Genesi, scrive Citati, Dio pronuncia la sua parola nel momento stesso della creazione: «Dio disse: “La luce sia”, e la luce fu».
Gesù nel Vangelo di Giovanni

Nella sua drammatica riscrittura dell’ Antico Testamento, l’ evangelista capovolse completamente (sia pure sostenuto da alcune frasi del Libro della Sapienza) il testo biblico. Si inoltrò molto prima della creazione, affermando che il Verbo esisteva già allora, presso Dio, identico a Dio, quando lo spazio era vuoto. «Glorificami davanti a te, dice Gesù, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse»: «… la gloria che tu m’ hai dato, perché tu m’ hai amato prima della creazione del mondo». Noi non sappiamo altro: non conosciamo quale fosse la vita di Dio, del Verbo e dello spazio, e nemmeno se esistesse uno spazio vuoto.
Sappiamo soltanto che, già allora, c’ erano il Padre ed il Figlio, e si riflettevano l’ uno nell’ altro – amore, vita, dono, parola, obbedienza, insegnamento.
L’ evangelista trasformò il testo della Genesi in un altro passo fondamentale. La Genesi diceva: «La luce fu. Dio vide che la luce era buona. Dio separò la luce dalla notte. Chiamò la luce “giorno” e la tenebra “notte”». La tenebra era dunque soltanto una parte del tempo; ed era buona, anche se meno della luce.
Giovanni definisce le tenebre
Leggendo il Vangelo di Giovanni, comprendiamo cos’erano le tenebre: il peccato di Adamo, l’odio, la malvagità, l’ assenza d’ amore, l’ incredulità, le cattive opere, la mancanza di conoscenza, Satana, il Principe di questo mondo. Eppure, osserva Citati, ci sembra che queste determinazioni non siano sufficienti.
Nel Vangelo di Giovanni, la tenebra è una forma immensa che vive nel mondo creato da Dio: una sostanza, che lascia attorno e dietro di sé una fascinazione sinistra, che acceca gli occhi. Nel prologo, ne abbiamo la prima manifestazione: le tenebre (e il mondo) non afferrano, non riconoscono, non accolgono la luce del Verbo. Specie verso la fine del vangelo, esse ampliano la propria eco, fino quasi a travolgere la luce. Così, il Vangelo di Giovanni è insieme il testo della gloria luminosa del Padre e del Figlio, e della tenebra che la insidia.
Cosa vuol dire Logos? Si chiede e ci chiede Pietro Citati. Di una cosa possiamo essere certi: non vuol dire ragione (come nemmeno in Eraclito). Verbo vuol dire dabar, la parola in ebraico: solo che l’ estensione di dabar (e specialmente di dabar-Jahve) è molto più vasta e profonda di ciò che significa parola nelle lingue moderne.
Quando diciamo dabar, dobbiamo sentire il fondamento di ogni cosa, perché ogni cosa ha un dabar, un fondo e un senso; e, dicendolo, raggiungiamo la cosa stessa. Dabar è una forza irresistibile, come il fuoco che brucia la paglia: una forza attiva, creativa, luminosa, che foggia ogni evento della storia: una forza sopratutto veritiera; e ha bisogno di una rivelazione e di un annuncio, che raggiungano ogni persona. Non è una personificazione.
La parola è un evento che si fa carne, Gesù Cristo, il quale non pronuncia o porta o confida parole, ma è egli stesso la parola vivente.
Come dice il Vangelo di Giovanni, il verbo è Dio. Nel corso del vangelo, Gesù ripete la frase fondamentale dell’ Antico Testamento, dove Jahve diceva: «Io sono»; egli era il solo e l’ unico, il santo e il dominatore, il sublime e il potente, il misericordioso e salvatore Dio di Israele.
Con una inversione dei tempi, Gesù aggiunge: «Prima che Abramo fosse, io sono». E: «Io e il Padre siamo una cosa sola. Tutto ciò che è mio è suo, tutto ciò che è suo è mio».
Dio e Verbo
In nessun altro vangelo esiste questa identità strettissima tra Dio e il Verbo. Ma Gesù dice: «Il Padre è più grande di me». Tra le due figure che volano nell’ abisso, si stabilisce il più semplice rapporto umano: quello tra Padre e Figlio. Il Figlio obbedisce al Padre: «sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma per fare la volontà di chi mi ha mandato».
È un riflesso, un’ eco. Se il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre: se il Padre risuscita e vivifica i morti, così fa il Figlio: se il Figlio dona la sua vita per gli uomini, la dona per volontà del Padre: quando Dio parla, il Figlio parla per lui: quando il Padre insegna, il Figlio ripete il suo insegnamento.
Come dice Gesù, «Io non sono mai solo, perché il Padre è con me». L’ evangelista osò un’ affermazione più ardita.
Gesù viene definito con una ricchezza fantastica di nomi e di titoli, che si moltiplica di continuo. La vita e la luce, l’ agnello di Dio, l’ Unigenito, il Messia, il re d’ Israele, il Figlio dell’ uomo, il Salvatore del mondo, il mietitore, il seminatore, il cibo, il pane di vita, il pane vivo, il pane disceso dal cielo, il buon pastore, la porta delle pecore, la resurrezione e la vita, la via e la verità e la vita, la vite, l’ acqua che dà vita, la luce che dà vita.
Una parola non viene pronunciata. Poiché discende «dall’ alto» e non appartiene a «questo mondo», Gesù incarna la figura dello Straniero. La sua voce è doppiamente straniera. Da un lato, egli parla il linguaggio sublime, che si ascolta «lassù», nell’ »alto»: parole di una maestà quasi intollerabile, che si nascondono dietro i più semplici termini della terra – pane, acqua, vite.
D’altro lato, la sua voce è quella dell’ enigma: equivoci, giochi di parole, contrapposizioni, associazioni e parallelismi oscurissimi, allusioni, formule misteriose, miracoli simbolici – un linguaggio cifrato che non procede mai secondo una linea retta, ma secondo onde, ripetizioni, variazioni, riprese.
Qualche volta, Gesù prorompe: alza la voce, grida, urla, come il personaggio di un altro mondo che si trova prigioniero della misera lingua di questa terra; e ribadisce le sue parole in modo duro, ironico, sprezzante.
Gesù non era mite
Sebbene parli sopratutto d’amore, Gesù Cristo non è mite. Così non ci meravigliamo se i giudei non comprendano mai il suo linguaggio cifrato; e se i suoi discepoli non lo capiscano molto meglio, con domande e risposte a volte esilaranti. Noi lo capiamo poco, sebbene ci facciamo aiutare da ottimi commenti, che a loro volta non colgono ogni sfumatura del testo.
Secondo Citati, probabilmente, il luogo dove il vangelo venne scritto è Efeso, la grande città sulle coste dell’ Asia minore, dove san Paolo aveva vissuto qualche decennio prima.
A Efeso era vissuto, circa sei secoli prima, un grande filosofo greco, Eraclito, che anche lui aveva dedicato il proprio libro al Logos. Dubito che i discepoli di Giovanni lo conoscessero. Era un passato dimenticato. Ma il libro di Eraclito assomigliava al loro vangelo: entrambi tenebrosissimi e luminosissimi. «Non volgere troppo in fretta i fogli di Eraclito d’ Efeso, diceva un epigramma dell’ Antologia Palatina. Sono tenebre fonde come la notte. Ma se ti guida un iniziato, la sua luce è più chiara di quella del sole».
Eraclito il filosofo del panta rei
Eraclito era un’aquila come Giovanni. Il «volatile delle altitudini», scrisse nel nono secolo Giovanni Scoto, «vola non solo al di sopra dell’ elemento fisico dell’ aria, o dell’ etere, o del limite stesso di tutto l’ universo sensibile, ma arriva a trascendere ogni «teoria», al di là di tutte le cose che sono e non sono, con le ali della più inaccessibile teologia, e gli sguardi della contemplazione più luminosa ed elevata… Egli non si limita a sollevarsi a volo sopra ciò che può essere compreso dall’ intelligenza ed espresso dalle parole, ma si spinge al di là, all’ interno di ciò che supera ogni intelligibilità e ogni significato».
L'articolo Gesù disse e Giovanni riscrisse la Genesi: In principio era il Verbo – e Citati ci aiuta a capire proviene da Blitz quotidiano.