Geoff Westley in concerto a Corigliano-Rossano: «La musica non è perfezione, ma emozione»

  • Postato il 23 luglio 2025
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Geoff Westley in concerto a Corigliano-Rossano: «La musica non è perfezione, ma emozione»

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Dai palchi dei Bee Gees alle orchestre sinfoniche, Geoff Westley racconta la sua passione per il pianoforte, la magia dell’improvvisazione e l’emozione di un concerto che unisce mondi diversi sotto le stelle del Castello Ducale di Corigliano-Rossano. Il “ragazzo della classica” rivela gli insegnamenti di Mogol: «La musica non è perfezione. La musica è emozione».


CORIGLIANO – ROSSANO (COSENZA) – C’è una storia fatta di note che viaggiano tra Londra e il resto del mondo, di mani che trasformano i tasti del pianoforte in racconti vibranti, di incontri che hanno rivoluzionato la musica leggera italiana. È la storia di Geoff Westley: compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra, un artista dalla genialità sfuggente e travolgente. Mercoledì 23 luglio (ore 21.30) porterà il suo universo sonoro al Castello Ducale di Corigliano-Rossano, all’interno del festival EXIT – Deviazioni in arte e musica, ideato e prodotto da Piano B.

Westley trasforma il pianoforte in un linguaggio segreto, dove ogni nota è respiro, ogni pausa una storia. Le sue improvvisazioni sono poesie sonore, le composizioni una tela su cui si intrecciano ricordi e visioni, tra rigore classico e libertà creativa. In “Piano Solo”, al suo fianco, due compagni di viaggio speciali: Salvatore Cauteruccio (fisarmonicista e compositore) e Sasà Calabrese (polistrumentista), con cui condivide una sintonia musicale e umana che si traduce in pura magia sul palco.

Diplomato al Royal College of Music di Londra, Geoff Westley ha camminato al fianco di grandi maestri sinfonici e calcato i palchi più prestigiosi al mondo. A ventitré anni dirigeva già musical come “Jesus Christ Superstar”, a trent’anni era protagonista dei tour dei Bee Gees, tessendo melodie diventate iconiche. Dalle orchestrazioni raffinate per Phil Collins e Vangelis alle colonne sonore che hanno segnato il cinema internazionale, fino a una leggenda tutta italiana: la cena a Chelsea con Lucio Battisti che ha cambiato la musica leggera nel Belpaese. Da Sanremo alle musiche di James Bond, dai concerti con la London Symphony Orchestra alle collaborazioni con artisti come Sting, il celebre musicista ha lasciato un segno indelebile nella musica contemporanea. Abbiamo intervistato Geoff Westley per conoscere il segreto di una carriera costellata di successi, costruita su improvvisazioni liriche, preziosi incontri e una passione per la musica che non conosce confini.

Geoff Westley, è mai stato in Calabria? Cosa si aspetta dal pubblico calabrese?

«Sì, sono già stato in Calabria e non vedo l’ora di tornare. Per questa occasione sarò accompagnato da due grandi amici e musicisti, Salvatore Cauteruccio e Sasà Calabrese. Siamo come fratelli, ci conosciamo da quasi dieci anni e collaborare con loro è sempre una vera gioia. Dopo una pausa forzata dovuta alla pandemia, questa è un’opportunità per tornare a suonare insieme dal vivo. Per me, significa anche poter condividere momenti importanti con loro, sentendomi parte integrante delle loro famiglie. Mi aspetto un pubblico caloroso e autentico, tipico della Calabria, che sappia apprezzare la musica con passione e cuore».

Cosa potrà ascoltare il pubblico del Castello Ducale di Corigliano-Rossano?

«Il pubblico potrà immergersi in un viaggio musicale che spazia dalla milonga alla musica argentina, passando per le composizioni di Astor Piazzolla e Richard Galliano, fino ad arrivare ad alcuni brani originali che ho scritto personalmente».

Lei ha raccontato che il pianoforte è entrato nella sua vita da bambino, addormentandosi ascoltando sua madre suonare Chopin e Brahms. Che significato ha oggi per lei il pianoforte?

«Il pianoforte è stato il mio compagno di vita fin da quando avevo quattro anni. Non c’è mai stato bisogno che qualcuno mi dicesse di esercitarmi, anzi, il vero problema era staccarmi dallo strumento per fare i compiti! Ho sempre suonato per ore e ore, senza mai stancarmi. Ancora oggi è così: il pianoforte resta il modo più autentico di esprimermi. Quando ho le mani sulla tastiera, sento di avere il pieno controllo, e questa per me è una sensazione unica».

Geoff Westley, dice spesso che il pianoforte è come un’orchestra, con tante voci diverse. Quali possibilità espressive le offre che nessun altro strumento riesce a darle?

«Il pianoforte è lo strumento che conosco più a fondo. Al conservatorio suonavo anche il flauto, ma ho deciso di allontanarmi dal mondo classico perché, a vent’anni, suonare nei night club mi sembrava molto più stimolante rispetto a fare il secondo flauto a centinaia di chilometri da casa. Nei club ho avuto l’occasione di collaborare con artisti di cabaret, scrivere arrangiamenti e fare registrazioni, e questo ha segnato una svolta nella mia vita musicale. Da allora, il pianoforte è diventato il centro della mia attività. Guardando indietro, è stata la scelta giusta. Ho lavorato con importanti artisti italiani e ho potuto tornare a collaborare con orchestre, che sono sempre state il mio primo amore. Il conservatorio mi ha dato una grande formazione. Sono davvero soddisfatto di come si sia evoluta la mia carriera».

Ha collaborato con grandi artisti come Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Renato Zero, Bee Gees, Peter Gabriel, Phil Collins. Cosa porta con sé di queste esperienze?

«Ogni collaborazione è stata una preziosa lezione che ha influenzato profondamente il mio percorso. Con Lucio Battisti e Mogol, in particolare, ho imparato che il vero scopo della musica è suscitare emozioni nel pubblico. Mogol mi ha insegnato che la tecnica da sola – ad esempio, suonare tante note velocemente – può sembrare impressionante, ma non è musica, è solo “ginnastica”. Per comunicare davvero serve selezionare poche note e suonarle col cuore. Ho sempre cercato di portare avanti questo insegnamento: la musica deve trasmettere emozione, non solo dimostrare abilità tecnica, anche se ovviamente cerco sempre di eseguire tutto al meglio.

Condivido questo messaggio con i giovani musicisti durante le mie masterclass, invitandoli a staccarsi dallo schermo e a riscoprire la musica autentica, quella fatta di imperfezioni che la rendono viva. La musica creata al computer è troppo perfetta, ma la perfezione non è musica, così come la perfezione non è vita. La musica vera include gli errori, le note un po’ stonate, i piccoli sbagli. Penso a Stevie Wonder, che tecnicamente commetteva errori, ma metteva tutto il suo cuore in ogni nota: questa è la vera musica, carica di emozione e umanità».

Se dovesse scegliere una sola emozione che spera il pubblico possa provare ascoltando un suo concerto, quale sarebbe?

«Il mio concerto nasce dall’improvvisazione. Spero che il pubblico possa sentire quella genuinità e quella sincerità che, per me, sono la vera essenza dell’emozione musicale».

Trattandosi di improvvisazioni, si avvale di un registratore per avere traccia di ciò che ha eseguito e rielaborare ciò che ha suonato?

«Esatto. Circa otto anni fa ho iniziato a registrare queste improvvisazioni per poterle riascoltare, eliminare le parti meno interessanti o gli errori e perfezionare i brani. Vengo da una formazione classica, quindi ogni volta che suono cerco di mantenere una certa precisione e coerenza, quasi come se fosse un brano classico. Ma non sono un jazzista. Mi considero un “ragazzo di musica classica”. Durante i concerti mi piace condividere anche qualche aneddoto del mio percorso musicale, sia in Italia che in Inghilterra, parlare delle mie collaborazioni e lasciare qualche spunto o consiglio utile ai giovani musicisti in cerca di una direzione».

Quali brani consiglierebbe ai giovani per costruire una buona base musicale?

«Nel panorama pop, consiglierei di ascoltare la musica degli anni ’70 e ’80, con grandi band come Genesis e Pink Floyd. Inoltre, ritengo fondamentale dedicare tempo alla musica classica, che offre una base solida e ricca di stimoli. Personalmente, ormai non ascolto quasi più la radio pop. Ritengo sia poco interessante».

Geoff Westley, ci racconta la sua esperienza a Sanremo?

«Ricordo con grande piacere gli anni d’oro di Sanremo, soprattutto l’edizione del ’91, quando partecipai con Renato Zero con il brano “Spalle al muro”, sotto la conduzione di Pippo Baudo. Era un festival straordinario, con una platea di artisti eccezionali nella categoria big.  Anni in cui la musica italiana era davvero di altissimo livello. Mia Martini, Umberto Tozzi, Amedeo Minghi, Marco Masini, Riccardo Cocciante, Mietta, Loredana Bertè, Paolo Vallesi… tutti con canzoni davvero meravigliose. Oggi, invece, molta musica è prodotta al computer e sento che mancano quella ricchezza e profondità che in passato rendevano unica la grande canzone italiana. Fino a una decina d’anni fa, Sanremo continuava a regalarci bellissimi brani; ora, invece, faccio più fatica a ritrovare quella stessa magia».

Progetti futuri?

«Sento che è arrivato il momento di realizzare un nuovo disco solo piano. Inoltre, sto lavorando a un progetto molto speciale con Peppe Servillo, che ruota attorno alle favole di Gianni Rodari. La musica è scritta da me, mentre Peppe si occupa della narrazione, il tutto accompagnato da una band. Recentemente siamo stati a Roma per registrare alcune favole, che sto combinando con le registrazioni musicali. L’obiettivo è ampliare questo progetto e farlo crescere».

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