Genova guida i portuali del Mediterraneo verso lo sciopero internazionale: “Porti di pace contro tutte le rotte d’armi”
- Postato il 28 settembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Non carichiamo, non scarichiamo, non facciamo transitare armi.” Il 26 e 27 settembre questa frase è tornata più volte al Circolo dell’Autorità Portuale di Genova, dove si è tenuto il secondo incontro del coordinamento internazionale dei portuali contro le guerre. L’obiettivo ora è individuare una giornata comune di sciopero e mobilitazione nei porti del Mediterraneo. Lo stop al massacro in Palestina entra nel documento congiunto come priorità immediata, ma l’obiettivo del coordinamento è più ampio: “Fermare l’escalation bellica e i transiti di armamenti verso i paesi in guerra”. Nella dichiarazione congiunta di fine lavori, i portuali scrivono che non vogliono diventare “un ingranaggio della macchina da guerra” e respingono lo spostamento di risorse pubbliche verso il riarmo: “Privatizzano i porti, riducono gli stipendi, tagliano sanità e istruzione per stanziare 850 miliardi di euro all’industria bellica”. Ora la sfida è passare dalle dichiarazioni alle azioni sulle banchine, tenendo conto che in diversi paesi non sono consentiti scioperi su basi esclusivamente “politiche”.
A Genova si è dato appuntamento chi negli ultimi mesi ha guidato blocchi e presìdi: i greci dell’Enedep dal Pireo, i lavoratori francesi della Cgt Ports et Docks, lo Szpd del porto di Koper (Capodistria), il Lab dai porti baschi, una rappresentanza da Cipro, lavoratori legati ai Verdi tedeschi attivi ad Amburgo e “osservatori” spagnoli dell’European Dockworkers Council. Per l’Italia, l’Unione Sindacale di Base (Usb) con il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp) e delegati da Trieste, Livorno e Civitavecchia. Firmano la dichiarazione congiunta anche i turchi di Liman İş e i portuali di Tangeri dell’Odt, rimasti bloccati dai visti. “Ieri abbiamo lavorato tutto il giorno e trovato un testo comune. Ora puntiamo a uno sciopero coordinato a livello internazionale in tempi brevi”, dice Francesco Staccioli, Usb (foto). La linea è quella tracciata dal primo meeting del coordinamento che si è tenuto ad Atene il 28 febbraio: oltre a coordinare azioni e presìdi, il coordinamento condivide in tempo reale le segnalazioni sui carichi militari. Un sistema che in questi mesi ha reso possibile tre blocchi a carichi bellici su navi Zim, Cosco e Bahri, con Genova scesa in sciopero per tre volte. L’assemblea pubblica che ha concluso i lavori ha celebrato i recenti fermi a Livorno su spedizioni dirette a Camp Darby, a Taranto su jet fuel destinato a Haifa e i blocchi di Ravenna.
Dalla Grecia, Markos Bekris (Enedep) tiene insieme salario e pace: “La lotta per stipendi, sicurezza e condizioni sono collegate alla lotta contro ogni guerra, le nostre mani non si sporcheranno del sangue dei popoli”. La Cgt Ports et Docks, con Serge Coutouris, rivendica una continuità storica che passa per Indocina, Algeria, Iraq e le azioni recenti a Marsiglia-Fos. Anche Riccardo Rudino del Calp di Genova (foto) ricorda l’esempio di quelli che definisce “i vecchi”: “Nei momenti critici i lavoratori hanno sempre dimostrato di sapersi schierare per riequilibrare le cose, lo faremo anche questa volta”. Così i baschi del Lab: “Oggi la priorità è isolare Israele, poi bisognerà continuare a lavorare per disertare i venti di guerra”. Dalla Turchia il messaggio dei portuali di Liman İş: “Rafforziamo il coordinamento, proteggiamo dalla repressione e facciamo dei porti strumenti di vita, non di morte”.
Prende la parola anche un portuale statunitense, che ficca il dito nella piaga delle divisioni sindacali: “Possiamo anche marciare separati – parafrasa Lenin – ma alla fine bisogna colpire uniti”. Non sembra di primo pelo e cita movimenti che avrebbero potuto fermare ingranaggi di guerra, se non si fossero incagliati su grottesche beghe tra sigle sindacali, negli Stati Uniti e in Inghilterra. Il riferimento stimola l’intervento di un iscritto Cgil, che prende la parola in “casa Usb” per mettere una pezza alla contestata scelta della sua organizzazione di non convergere sullo sciopero generale di lunedì scorso: “Grazie alle pressioni degli stessi iscritti, con la Flotilla abbiamo ottenuto il patto operativo con i sindacati di base per una mobilitazione comune per il prossimo sciopero generale in caso di blocco della missione umanitaria”. In sala prevale lo scetticismo; pochi si fanno illusioni su una rottura stabile delle barriere con il sindacalismo confederale, tanto più con sindacati come Cisl e Uil che, in questa partita, non sembrano neanche intenzionati a scendere in campo. Eppure a Genova la Cgil è stata una presenza importante all’inizio della lotta contro i traffici di armi in porto, e dopo un lungo eclissarsi, negli ultimi mesi sembra intenzionata a tornare sul punto, sebbene su strade parallele a quelle percorse dall’Usb.
Il regime di apartheid in Palestina e il massacro a Gaza attraversano tutti gli interventi, ma la traiettoria uscita da Genova è più ampia: contrastare tutte le rotte d’armi e la militarizzazione degli scali, trasformando porti e snodi logistici in “porti di pace” — chiusi alle armi, aperti ai diritti e alla sicurezza dei lavoratori. Qui si innesta il tema delle tutele: in Italia l’articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra e c’è la legge 185 del 1990. “Sulla carta l’Italia ha una delle legislazioni più avanzate”, ricordano i delegati. “Nella pratica quelle norme vengono eluse, anche con triangolazioni”. Se qui di fatto si chiede il rispetto delle stesse leggi, altrove la giornata comune dovrà cercare strumenti diversi per affermare l’obiezione di coscienza e la disobbedienza civile quando la legge non tutela la scelta di non lavorare per la guerra. Staccioli riassume i punti del documento emerso dalla due giorni di Genova: “Stop al genocidio del popolo palestinese e all’occupazione israeliana; apertura immediata di corridoi umanitari; porti chiusi alle armi e aperti alla pace; stop al progetto di ‘Rearm Eu’ che sottrae risorse a servizi pubblici essenziali. Impegno a organizzare una giornata comune di lotte coordinate nei porti europei e mediterranei. Nei prossimi giorni sarà sottoposto al vaglio delle rispettive organizzazioni nazionali, poi diventerà pubblico ed effettivo”. All’assemblea pubblica di fine lavori anche Jamal Jaffreh, del sindacato palestinese Pnftu, che lega la spinta della Flotilla alla pressione sociale di queste settimane: “Avete mostrato come far pressione ai governi. L’esempio dell’Italia, partito dai portuali di Genova, deve essere un esempio per tutti, perché cessi il genocidio”.
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