Gaza, Trump: «Ci siamo quasi. Cessate il fuoco forse già la prossima settimana»

  • Postato il 28 giugno 2025
  • Di Panorama
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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato ai giornalisti di ritenere possibile il raggiungimento di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza già entro la settimana successiva. «Credo che ci siamo quasi. Ho appena avuto colloqui con alcuni dei protagonisti coinvolti. La situazione a Gaza è drammatica e pensiamo che la prossima settimana potremmo arrivare a un’intesa per fermare le ostilità», ha affermato. A margine della decisione americana di destinare 30 milioni di dollari alla Gaza Humanitarian Foundation – impegnata nella distribuzione di aiuti alimentari all’interno della Striscia – Trump ha commentato: «Gaza versa in condizioni terribili… stiamo inviando grandi somme di denaro e consistenti quantità di cibo perché è nostro dovere farlo». Il presidente ha poi aggiunto: «Formalmente non siamo parte del conflitto, ma ci troviamo coinvolti perché la popolazione muore. Osservo le masse di persone prive di tutto: senza cibo, senza nulla». Nei giorni precedenti, fonti vicine ad Hamas avevano riferito di «progressi significativi» nei negoziati per una tregua, alimentando speranze di una svolta imminente. Le dichiarazioni di Trump sono state rilasciate a breve distanza da un suo intervento al vertice Nato all’Aia, durante il quale ha rivendicato risultati rilevanti riguardo alla crisi di Gaza. Secondo quanto riferito, Trump avrebbe anche sostenuto che l’attacco contro l’Iran avrebbe agevolato il rilascio degli ostaggi trattenuti nella Striscia, obiettivo che l’inviato speciale statunitense, Steve Witkoff, ha definito «molto vicino» al presidente.

Hamas resta una forza attiva, pur fortemente ridimensionata

Dopo oltre venti mesi di conflitto con l’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, Hamas resta una forza attiva, pur fortemente ridimensionata. Il gruppo islamista, composto da combattenti per lo più giovani e poco addestrati, ha perso la quasi totalità della sua leadership militare e dispone ormai di una riserva minima di armamenti pesanti, un fattore che potrebbe agevolare il processo di disarmo invocato dalla comunità internazionale. «Solo poche decine di ufficiali di alto livello sono ancora operativi», rivela una fonte diplomatica francese a Le Figaro. Le file di Hamas sono costituite da reclute molto recenti. Oggi, l’età media di un ufficiale del gruppo è di appena 19 anni. Un residente di Gaza, ben informato sulle dinamiche interne dell’organizzazione, conferma: «La maggior parte dei vertici militari e dei comandanti regionali è stata eliminata». Il colpo più duro è arrivato a metà maggio con l’uccisione di Mohammed Sinwar, fratello di Yahya, architetto dell’attacco del 7 ottobre 2023, costato oltre 1.100 vittime civili israeliane. In quell’operazione sono stati uccisi anche Mohammed Shabana, comandante della Brigata Rafah, e Mahdi Kawara, a capo del Battaglione Khan Younis Sud.

Le tensioni interne non sono da meno. I rapporti difficili tra Izz al-Din al-Haddad, nominato successore della leadership, e il clan Sinwar promettono di lasciare il segno. Haddad criticava spesso la strategia militare contro Israele, attaccava verbalmente Yahya Sinwar, che in passato gli aveva persino puntato una pistola alla testa, e si scontrava anche con Mohammed Sinwar. Per ragioni di sicurezza, Hamas potrebbe evitare di annunciare ufficialmente il nuovo leader. Sopravvivono soltanto tre o quattro comandanti di alto rango, tra cui Raed Saad a Rafah. Resistono anche alcuni capi di battaglione, come Haytham al-Hajri del campo profughi di Shati, Hussein Fayyad della brigata Beit Hanoun, e Abu Obeyda, il portavoce delle Brigate Ezzeddine al-Qassam. Dal punto di vista numerico, però, il movimento conserva ancora un’ampia base. Alle elezioni interne del 2021 a Gaza, si registrarono 105.000 votanti, di cui 25.000-30.000 militari e 10.000 donne. Un peso non trascurabile in un territorio di 2,5 milioni di abitanti.  Nel settembre 2024, Yahya Sinwar decise di ritirare i quadri storici per preservare le risorse, schierando nuove leve insieme ai 4.000-5.000 miliziani reclutati nei mesi precedenti al 7 ottobre. A Doha, la guida del movimento è passata a un comitato composto da Khalil al-Hayya, Bassam Naim, Mohammed, Ismail Darwich, Khaled Meshaal e Nizar Awadallah, affiancati da veterani come Moussa Abu Marzouk e Ghazi Hamad. Ma le divisioni sono profonde, sia tra i quadri interni ed esterni, sia all’interno del gruppo stesso.

«Khaled Meshaal si è messo in disparte», afferma una fonte palestinese. «È più incline al compromesso, aveva accettato persino l’idea di consegnare le armi o esiliare 5.000 combattenti. Ma non ha più peso: né Gaza né l’Iran lo appoggiano, solo la Turchia lo sostiene». I problemi di comunicazione tra Gaza e il comitato di Doha si sono però attenuati di recente: «Hanno trovato un canale alternativo al telefono». Le difficoltà logistiche sono aggravate da una crisi finanziaria crescente. Hamas non riesce più a pagare regolarmente stipendi a funzionari e miliziani. Secondo quanto riportato dal quotidiano saudita Asharq al-Awsat, un tentativo di distribuire salari presso l’ospedale Shifa si è concluso con un attacco israeliano. Da allora, Hamas ha sospeso tali riunioni. Con il sistema bancario fuori uso, anche i pagamenti sono diventati un’impresa. A tutto ciò si aggiungono le pressioni della popolazione civile, stremata dai bombardamenti e sempre più critica nei confronti del movimento islamista. «Non possiamo respingere ogni proposta», ammette un diplomatico straniero. «Serve mantenere Trump coinvolto nei negoziati, è l’aspetto più rilevante».

La primavera scorsa, emissari americani hanno incontrato esponenti di Hamas in almeno due occasioni segrete, con il consenso di Israele. Tali contatti, impensabili dopo il 7 ottobre, hanno portato alla liberazione di Edan Alexander, cittadino israelo-americano, il 12 maggio. Hamas, però, accusa gli Stati Uniti di aver tradito gli impegni: aiuti umanitari promessi non sono giunti a Gaza e i negoziati con Israele non sono decollati. Eppure, nonostante il progressivo indebolimento, il gruppo resta impegnato nei colloqui. Non solo Washington mantiene contatti con Hamas. I servizi segreti francesi avrebbero incontrato a Doha un alto dirigente politico del movimento in quello che risulterebbe essere il sesto incontro dopo l’inizio della guerra. Fonti interne di Hamas sostengono che già prima dell’attacco del 7 ottobre vi furono colloqui a Gaza. Ma ufficialmente, Parigi nega qualsiasi dialogo, coerente con la linea adottata dopo gli attentati del 2003, quando la Francia interruppe ogni rapporto con Hamas. Tuttavia, il disarmo del movimento appare oggi più realistico. «Hamas dispone quasi solo di armi leggere. I suoi razzi sono drasticamente diminuiti», afferma a Le Figaro un diplomatico francese.

Hamas potrebbe rinunciare all’amministrazione civile della Striscia ma restare nella Striscia

Lo scenario auspicato da Israele, dai Paesi arabi e dall’Occidente prevede la restituzione delle armi pesanti da parte del gruppo, sotto la supervisione dell’Autorità Palestinese e di osservatori internazionali, come riportato dal Washington Institute. Ma secondo un analista palestinese, «parlare di disarmo è irrealistico. Hamas ha perso oltre il 90% del suo arsenale missilistico e ora ricorre persino all’esplosivo residuo dei razzi israeliani inesplosi». Yahya Sinwar, in un messaggio del novembre 2023, sosteneva che Hamas avrebbe potuto combattere per un altro anno. Quel tempo, oggi, è scaduto. L’eliminazione dei principali leader militari ha anche reso impraticabile l’opzione di una loro espulsione, che avrebbe ricordato quella dell’OLP nel 1982 da Beirut. I negoziati, inizialmente incentrati su 5.000 miliziani, erano scesi a 2.000, ma Mohammed Sinwar si era sempre opposto all’esilio. Solo dopo la sua morte, alcuni dirigenti a Doha avrebbero aperto a questa possibilità, limitata ai comandanti operativi. Secondo Ehud Yaari, Hamas è pronto a rinunciare all’amministrazione civile della Striscia, evitando però il tema del disarmo, nel tentativo di replicare il modello Hezbollah: restare forza armata dominante e lasciare ad altri la gestione della governance. Una soluzione respinta dalla comunità internazionale, che mira a impedire a Hamas di ricostruire il suo potere su un’amministrazione debole. Ma proprio questa fragilità potrebbe garantire al movimento islamista un futuro controllo sul territorio, anche se molto ridimensionato.

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Panorama

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