Gaza, piano USA all’ONU: missione internazionale di controllo fino al 2027
- Postato il 4 novembre 2025
- Di Panorama
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Secondo quanto rivelato dal portale Axios, gli Stati Uniti hanno trasmesso a diversi membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una bozza di risoluzione che prevede la nascita di una forza internazionale incaricata di operare nella Striscia di Gaza per almeno due anni. Il documento, classificato come «sensibile ma non riservato», delinea un ampio mandato che consentirebbe a Washington e agli altri Paesi aderenti di gestire la sicurezza e la governance provvisoria dell’enclave palestinese fino alla fine del 2027, con la possibilità di proroghe.
La proposta, destinata a diventare la base dei negoziati nelle prossime settimane, mira a ottenere il voto del Consiglio di Sicurezza entro dicembre, così da permettere il dispiegamento dei primi contingenti internazionali già a gennaio. Un funzionario americano ha precisato ad Axios che la Forza di Sicurezza Internazionale (ISF) «non sarà una missione di peacekeeping, ma di controllo e stabilizzazione». La nuova struttura militare dovrebbe riunire soldati di più Paesi, operando in stretto coordinamento con un organismo denominato «Consiglio per la Pace di Gaza», che – secondo la bozza – sarebbe presieduto dal presidente Donald Trump e resterebbe in carica fino alla fine del 2027. Secondo il testo, l’ISF avrà il compito di proteggere i confini di Gaza con Israele ed Egitto, salvaguardare i civili e garantire la sicurezza dei corridoi umanitari. Parallelamente, dovrà addestrare una nuova forza di polizia palestinese destinata a cooperare nella gestione quotidiana dell’ordine pubblico.
Un passaggio chiave della bozza riguarda la «stabilizzazione dell’ambiente di sicurezza» nella Striscia, con la distruzione delle infrastrutture militari e terroristiche e lo smantellamento permanente delle armi dei gruppi non statali. È implicito che il mandato includa il disarmo di Hamas, obiettivo che rappresenta la maggiore incognita politica e operativa del piano americano: non è chiaro se e in che modo il movimento islamista accetterà di rinunciare al controllo armato del territorio. L’ISF dovrà inoltre prevenire la ricostruzione di arsenali e tunnel sotterranei, garantendo che la smilitarizzazione non venga vanificata da una rinascita delle milizie locali. Secondo la bozza, la forza internazionale potrà assumere anche «compiti supplementari» qualora risultassero necessari al mantenimento dell’accordo di Gaza.
La fase iniziale sarà di transizione: Israele dovrà ritirarsi gradualmente da alcune aree, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese sarà chiamata a riformarsi per assumere, nel lungo periodo, la piena amministrazione della Striscia. Tuttavia, la presenza residua di Hamas, con la sua struttura militare e politica radicata nel territorio, rischia di compromettere questo delicato equilibrio. Paesi come Indonesia, Azerbaigian, Egitto e Turchia avrebbero già manifestato disponibilità a contribuire con propri reparti. La bozza cita anche un possibile ruolo per le forze di sicurezza irachene, che opererebbero «sotto un comando unificato approvato dal Board of Peace». Tutte le operazioni – si legge – dovranno avvenire «in stretta collaborazione con Israele ed Egitto» e nel rispetto del diritto internazionale, inclusa la normativa umanitaria. Il documento prevede inoltre che il Board of Peace assuma temporaneamente poteri di «amministrazione di transizione», definendo le priorità per la ricostruzione e raccogliendo fondi fino al completamento delle riforme richieste all’Autorità Palestinese. A supervisionare le attività locali sarà un comitato tecnico palestinese composto da figure competenti e indipendenti, responsabile della gestione dei servizi civili e delle strutture amministrative di Gaza. Secondo fonti americane, il Board of Peace dovrebbe essere operativo prima ancora della costituzione del comitato palestinese, e avrà la facoltà di sospendere o escludere qualsiasi organizzazione umanitaria che abusi degli aiuti o ne dirotti l’utilizzo. Le risorse saranno distribuite solo attraverso enti approvati, come Nazioni Unite, Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
Dietro la formulazione diplomatica della proposta americana si cela però un interrogativo cruciale: cosa accadrà se Hamas rifiuterà il disarmo o tenterà di mantenere il controllo politico di Gaza? L’esperienza degli ultimi anni mostra che la sua rete militare e amministrativa è profondamente intrecciata alla vita quotidiana dell’enclave. Washington punta a una «gestione condivisa» della transizione, ma l’esistenza stessa di Hamas – ancora capace di mobilitare consenso e risorse – rappresenta la variabile più imprevedibile. Senza un’intesa chiara sul futuro del movimento islamista, nessuna forza internazionale potrà garantire davvero la sicurezza e la pace duratura che la risoluzione intende assicurare fino al 2027. La proposta americana segna un tentativo di riaffermare la leadership di Washington nel Medio Oriente, in un momento in cui Israele è isolato e le monarchie del Golfo preferiscono la cautela. Se approvata, la risoluzione aprirebbe una fase di cooperazione inedita tra Stati Uniti, Egitto e Paesi a maggioranza musulmana, ma potrebbe anche riaccendere le rivalità con l’Iran e con le milizie filo-Teheran. La sfida decisiva resterà però interna a Gaza: senza un compromesso politico che includa, in qualche forma, la realtà di Hamas, ogni piano internazionale rischia di restare lettera morta.