Gaza, il cessate il fuoco è vicino? L’incrocio Biden-Trump produce reali possibilità
- Postato il 14 gennaio 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Un cessate il fuoco tra Israele e Hamas sembra davvero a un passo. Questa volta i segnali sono diversi rispetto alle indicazioni degli ultimi mesi, quando più volte ci si è trovati a un passo da un accordo (o si è fatto credere che), con le due parti che hanno sempre addossato le colpe ai rivali.
Il presidente statunitense uscente, Joe Biden, dichiara che “siamo sull’orlo” dell’accordo. Donald Trump, che da lunedì sarà commander-in-Chief, intervistato da Newsmax, afferma che c’è già una stretta di mano e che tutto potrebbe chiudersi “entro la fine della settimana”. Il suo uomo di fiducia, Steve Witkoff, l’inviato speciale per il Medio Oriente, ha partecipato ai negoziati di Doha e nei giorni scorsi ha incontrato Benjamin Netanyahu a Gerusalemme.
La trattativa si muove su un binario sempre più concreto, anche perché c’è un elemento che rende questa tregua più plausibile delle precedenti: Biden e Trump hanno un interesse comune nel chiudere l’intesa. Un’eccezione nella polarizzazione totale della politica americana. Biden vuole inserire il cessate il fuoco nel suo bilancio politico e alleggerire la pressione del fronte progressista interno. Trump vuole dimostrare che, ancora fuori dalla Casa Bianca, il suo intervento ha già prodotto risultati. È una convergenza rara, ma efficace. E per questo, stavolta, la tregua è un obiettivo strategico americano, non solo un episodio diplomatico e relativo alla crisi in corso, ma un tassello chiave nel riassetto mediorientale.
Il piano è quello discusso da mesi. Tre fasi. La prima dura sei settimane: stop ai combattimenti, trentatré ostaggi israeliani liberati (donne, bambini, anziani), massiccio ingresso di aiuti umanitari. Hamas ottiene in cambio la scarcerazione di prigionieri palestinesi nell’ottica di quella diplomazia degli ostaggi che al di là di etiche e morali è una scelta pragmatica comune. Entro il sedicesimo giorno si passa alla fase due, quella più complicata.
Israele sa che è il momento decisivo. Hamas dovrebbe rilasciare i soldati maschi e gli uomini in età militare, la sua moneta di scambio più preziosa. In cambio, Israele dovrebbe ritirarsi da Gaza. Ma con prudenza. Il piano prevede che l’IDF non lasci subito tutto il territorio, ma si ritiri in una buffer zone vicino al confine. Il ritiro graduale include due aree chiave: il corridoio di Netzarim, che taglia Gaza in due, e il Corridoio Filadelfia, lungo il confine con l’Egitto. Due punti critici su cui le trattative si sono spesso arenate in passato, perché gli israeliani li considerano cruciali per il controllo di Hamas e della Striscis.
L’amministrazione Biden spinge per chiudere in fretta. Non a caso, il segretario di Stato Antony Blinken presenta a Washington un piano di ricostruzione post-bellica, già oggi, ospite dell’Atlantic Council. L’idea è chiara: governance internazionale con il coinvolgimento dei Paesi arabi, che hanno avuto già briefing sul progetto, che potrebbero anche inviare truppe a Gaza per stabilizzare la situazione. Il messaggio è doppio: il piano serve oggi a Netanyahu, ma domani potrebbe essere utile anche a un’amministrazione Trump.
Israele mantiene il diritto di riprendere le ostilità se Hamas dovesse sfruttare la tregua per riorganizzarsi. Ma se la tregua tiene e la seconda fase si avvia, allora si entra nella terza: la consegna dei corpi degli ostaggi uccisi e l’avvio di un piano di ricostruzione di Gaza, con una durata prevista tra tre e cinque anni sotto la supervisione di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Nazioni Unite. È una fase ancora lontana, dipende da troppi fattori per essere considerata garantita. Ma è il traguardo finale, ed è il motivo per cui questa volta l’accordo sembra più solido.
Sullo sfondo resta un quadro geopolitico in movimento: l’Iran è sotto pressione, gli Houthi continuano gli attacchi nel Mar Rosso ma sono sempre più isolati, Hezbollah evita al momento il confronto diretto. La tregua, se entrerà in vigore, sarà un passaggio importante. Ma non necessariamente definitivo.
(Foto: X, @IDF)