Gaza, i giornalisti dell’Afp: “I nostri colleghi non lavorano più per la fame. Ci rifiutiamo di vederli morire così”

  • Postato il 22 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Acqua e sale per tenersi in piedi, per continuare a lavorare. Due giorni fa alcuni giornalisti palestinesi di Gaza hanno diffuso un video per mostrare tutto quello che gli era rimasto da mangiare. Anche loro, come il resto della popolazione della Striscia, vivono le conseguenze dell’assedio e delle restrizioni agli aiuti umanitari che Israele fa entrare con il contagocce. Faticano a trovare pane, acqua pulita e cibo fresco. Proprio per questo la Sdj, l’assemblea dei cronisti dell’agenzia di stampa Afp, ha diffuso un appello: “Dalla fondazione dell’agenzia nell’agosto del 1944 abbiamo perso giornalisti nei conflitti, abbiamo avuto feriti e prigionieri tra il nostro staff, ma nessuno di noi ricorda di aver visto un collega morire di fame“. Parole alle quali hanno fatto seguito quelle del governo francese che ha detto di essere al lavoro per far uscire i reporter dall’enclave.

In questo momento nella Striscia di Gaza sono nove i reporter palestinesi (tre fotografi e sei videomaker) che lavorano da freelance per la storica agenzia di stampa francese, tra le più importanti al mondo. Insieme a tutti gli altri giornalisti di Gaza, portano il peso di essere gli unici a fare informazione sul campo, a testimoniare le conseguenze dei bombardamenti israeliani, le stragi quasi quotidiane che non risparmiano donne e bambini, le sofferenze di chi cammina chilometri per raggiungere i centri di distribuzione e per tentare di portare a casa un sacco di farina. Dal 7 ottobre infatti Israele non consente l’accesso indipendente alla stampa internazionale e le foto e i video prodotti, mettendo a rischio la propria vita, dai professionisti palestinesi riempiono i siti, i giornali e le televisioni di tutto il mondo.

“Siamo nauseati nel vederli morire” scrivono i giornalisti dell’Afp, citando il caso di un loro fotografo palestinese di nome Basha, che il 19 luglio ha detto di non avere più le energie per lavorare. “Bashar, 30 anni, lavora e vive in condizioni pari a quelle di tutti gli abitanti di Gaza, spostandosi da un campo profughi all’altro a seconda dei bombardamenti israeliani” si legge nel loro comunicato. “Da oltre un anno vive in assoluta miseria e lavora correndo un enorme rischio per la sua vita”. I giornalisti sono pagati ogni mese dall’Afp, ma quel poco che si riesce a trovare al mercato nero ha prezzi esorbitanti. “Il sistema bancario è scomparso e chi effettua il cambio di denaro tra conti bancari online e contanti applica una commissione di quasi il 40%. L’Afp non ha più i mezzi per possedere un veicolo, tanto meno per il carburante necessario ai suoi giornalisti per viaggiare per i loro reportage”. Viaggiare in auto è troppo pericoloso: si rischia di diventare un bersaglio dell’aviazione israeliana. E così molti si postano a piedi o sui carretti trainati dagli asini.

“Vediamo la loro situazione peggiorare. Sono giovani e le forze li stanno abbandonando. La maggior parte non ha più la capacità fisica di spostarsi nell’enclave per svolgere il proprio lavoro. Le loro strazianti richieste d’aiuto sono ormai quotidiane. Negli ultimi giorni, abbiamo capito dai loro brevi messaggi che le loro vite non contano più molto e che il loro coraggio, dedicato per molti mesi a informare il mondo intero, non li aiuterà a sopravvivere. Rischiamo di venire a conoscenza della loro morte da un momento all’altro, ed è insopportabile“.

Dopo l’allarme lanciato dall’Afp è intervenuto anche il ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot. “Ci stiamo impegnano per far uscire alcuni collaboratori, speriamo di riuscirci nelle prossime settimane” ha detto parlando a Radio France Inter. “Alla stampa libera e indipendente deve essere consentito l’accesso a Gaza per mostrare cosa sta accadendo” ha aggiunto. Secondo l’ufficio media di Gaza, in 21 mesi l’esercito Israeliano ha ucciso 229 giornalisti. L’ultimo si chiamava Tamer Al-Zanin, è caduto sotto i colpi di arma da fuoco a Khan Younis.

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