Gaza Humanitarian Foundation. Ex agenti della Cia, paradisi fiscali e banche d’affari: ecco chi distribuisce gli aiuti
- Postato il 29 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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L’operazione era pronta da mesi. La Gaza Humanitarian Foundation ha iniziato a operare lunedì 26 maggio nella distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia. Ma la sua nascita risale al novembre dello scorso anno, mese in cui Donald Trump ha vinto le elezioni, molto prima che il 19 gennaio iniziasse il cessate il fuoco, che il 5 febbraio il tycoon lanciasse l’idea di trasformare l’enclave palestinese nella “Riviera del Medio oriente” e che il 18 marzo Israele riprendesse a bombardare. E, soprattutto, molto prima che a inizio maggio si cominciasse a programmare la ripresa della consegna delle derrate alimentari alla popolazione palestinese affamata.
Secondo il registro di commercio di Ginevra, Ghf è stata fondata a febbraio in Svizzera, nota per l’anonimato che garantisce a chi apre società e deposita denaro nelle sue banche, e domenica le autorità elvetiche hanno fatto sapere che stanno valutando se aprire un’indagine sulle sue attività. La rivista israeliana Shomrim ha rivelato che un’altra organizzazione no-profit con lo stesso nome è stata registrata nel novembre 2024 nello Stato americano del Delaware, altro paradiso fiscale, da James H. Cundiff, avvocato specializzato in pianificazione fiscale e fondi fiduciari, legale rappresentante di Safe Reach Solutions, una delle due società Usa responsabili dei controlli di sicurezza sui veicoli a Gaza durante l’ultimo cessate il fuoco. A capo della compagnia c’è Philip F. Reilly, funzionario senior dei sevizi segreti di Washington con 29 anni di esperienza nella Central Intelligence Agency, altrimenti nota come Cia.
Chi finanzia Ghf? Certezze non ce ne sono. La fondazione sostiene di aver ricevuto impegni per oltre 100 milioni di dollari da uno stato dell’Unione Europea di cui non ha reso noto il nome. “Servizi bancari sicuri”, recita una scheda pubblicata dalla stessa fondazione, sono garantiti da “Truist e J.P. Morgan, oltre a un affiliato svizzero sostenuto da Goldman Sachs“. “Queste banche non sono state scelte a caso – specifica la compagnia -: sono state scelte deliberatamente per la loro reputazione stellare, l’impronta globale e la lunga storia di integrità e stabilità”.
Nel Cda figurano Nate Mook, ex amministratore delegato di World Central Kitchen (ong i cui convogli umanitari sono stati più volti colpiti dall’esercito israeliano) e consulente speciale per l’Ucraina presso la Howard G. Buffett Foundation; Raisa Sheynberg, vicecapo del dipartimento Affari governativi e politiche di Mastercard; Jonathan Foster, fondatore e amministratore delegato della società di private equity Current Capital. “Ha fatto parte del consiglio di oltre 50 aziende – specifica la stessa Ghf – ed è stato presidente di due comitati di audit Fortune 500“, le 500 maggiori imprese statunitensi; e Loik Henderson, avvocato d’affari in aziende del Fortune 500, che figura come membro della società nel registro delle imprese di Ginevra.
Dell’Executive Team facevano parte Jake Wood – ex Marine con una carriera in Iraq e Afghanistan fondatore di Team Rubicon, società di veterani che si occupa della gestione di aiuti umanitari – come direttore esecutivo e David Burke – anch’egli ex Marine, Chief Programs Officer di Team Rubicon – nel ruolo di Chief operating officer, ma entrambi si sono dimessi nelle scorse ore. John Acree – una lunga carriera nell’Office of U.S. Foreign Disaster Assistance di USAid – è il capo-missione. Nel Comitato consultivo dovrebbe sedere David Beasley, l’ex capo del World Food Programme, ma sulla sua nomina non c’è alcuna conferma; Bill Miller, ex Marine ed ex direttore del Division of Regional Operations dell’Onu; e Mark Schwartz, ex militare ed ex coordinatore per la sicurezza degli Stati Uniti per Israele e lo Stato di Palestina: come comandante del “Combined Security Transition Command – Afghanistan“, Schwartz “ha gestito lo sforzo multimiliardario per addestrare e sostenere le forze di sicurezza afghane”.
La fondazione descrive così i propri obiettivi: “Ghf avrà inizialmente quattro Secure Distribution Sites (centri di distribuzione degli aiuti, ndr), ciascuno costruito per servire continuamente tra i 300mila e gli 1,2 milioni di abitanti di Gaza nella fase iniziale, con capacità di espandersi oltre i 2 milioni. Le razioni preconfezionate, i kit di igiene e le forniture mediche si muovono attraverso corridoi strettamente controllati, monitorati in tempo reale per evitare deviazioni. A soli 1,3 dollari per pasto (compresi approvvigionamento, logistica, distribuzione e sicurezza), i donatori possono vedere un impatto immediato e misurabile”.
A garantire sicurezza della consegna degli aiuti ci pensano “i subappaltatori logistici di Ghf”, che “utilizzeranno veicoli corazzati per trasportare le forniture”. La sicurezza “sarà assicurata da professionisti esperti, compreso il personale che ha precedentemente protetto il corridoio di Netzarim durante il recente cessate il fuoco”, ovvero i contractor di Safe Reach Solutions. Tutto ciò per consegnare gli aiuti “in modo trasparente e sicuro”. Ma al momento di trasparente nell’intera operazione c’è ben poco.
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