Gaza, due anni all’inferno – “Qui si fa la guerra anche a noi operatori umanitari”
- Postato il 6 ottobre 2025
- Mondo
- Di Il Fatto Quotidiano
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Gaza, oggi, è anche il riflesso delle nostre coscienze addormentate. I governi europei hanno scelto di voltarsi dall’altra parte, dimostrandosi incapaci di prendere posizione davanti alla disumanizzazione sistematica di un popolo. Ogni esitazione ad agire contro l’indicibile alimenta la logica dell’impunità e uccide, giorno dopo giorno, la capacità collettiva di empatizzare.
Due anni dopo l’orribile massacro del 7 ottobre 2023, la rappresaglia del governo israeliano ha assunto le proporzioni di un genocidio. La situazione nella Striscia di Gaza è una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo: le forze israeliane uccidono indiscriminatamente civili, personale medico, operatori umanitari e giornalisti, e l’accesso agli aiuti umanitari è diventato un miraggio. Come responsabile dei programmi di Medici Senza Frontiere in Palestina, ho attraversato tre volte l’orrenda barriera che segrega i palestinesi a Gaza, e ogni volta il panorama di macerie a perdita d’occhio e gli ospedali stracolmi di feriti confermavano la stessa verità: le sofferenze inflitte alla popolazione sono intenzionali, metodiche, e rivelano una strategia che va ben oltre la guerra totale ad Hamas.
L’assedio finale di Gaza City è solo l’ultimo atto. L’intensità degli attacchi e delle operazioni di terra ha creato un livello di rischio talmente alto che MSF è stata costretta di recente a sospendere le attività al nord della Striscia, mantenendo la sua presenza al centro e al sud, dove alla popolazione viene chiesto di andare. Peccato che la “zona umanitaria” designata da Israele sia solo un tragico inganno. Macerie, case accartocciate su se stesse, condizioni di vita disumane, è questa la fantomatica “città umanitaria” preposta dall’autorità israeliane. Più di due milioni di palestinesi concentrati in appena il 13% della Striscia di Gaza, circa 47,45 chilometri quadrati.
Accanto alla strategia militare, il governo israeliano ha dispiegato un apparato meticoloso per utilizzare gli aiuti umanitari come arma di guerra. La prima mossa è stata l’inasprimento del controllo burocratico sulle organizzazioni umanitarie: da marzo 2025 a tutte le Ong viene imposta la consegna di dati personali riservati dei propri operatori umanitari. Poi c’è il sistema di centralizzazione totale della logistica degli aiuti che ha dirottato tutto il flusso verso il porto israeliano di Ashdod, trasformando Kerem Shalom nell’unico punto di ingresso. La crudeltà fatta sistema trova la sua massima espressione nella Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), struttura privata creata nel 2025 con sostegno israeliano e statunitense. Al tradizionale modello basato sui bisogni è subentrato un nuovo meccanismo perverso: è la popolazione affamata a doversi muovere verso il cibo, come fosse un’esca, attraverso percorsi prestabiliti e pericolosi. Così la folla disperata che si accalca quotidianamente e diventa un bersaglio dell’Idf che è posizionato immediatamente dietro i centri di distribuzione. Nelle nostre cliniche abbiamo visto bambini colpiti al petto mentre cercavano di procurarsi del cibo, persone schiacciate o soffocate dalla calca, intere folle brutalmente uccise da colpi d’arma da fuoco. MSF è nata nel 1971, in 54 anni di attività raramente abbiamo assistito a simili livelli di violenza sistematica contro civili disarmati. E contro noi operatori umanitari. Il mio collega Omar Hayek aveva lasciato da poche settimane Gaza City, quando è stato ucciso due giorni fa in un attacco israeliano a Deir El-Balah. Omar indossava il gilet di MSF, ed è il quattordicesimo nostro collega ucciso a Gaza.
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