Gaza dopo l'accordo: il video che smonta la Flotilla

  • Postato il 10 ottobre 2025
  • Esteri
  • Di Libero Quotidiano
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Gaza dopo l'accordo: il video che smonta la Flotilla

Per la prima volta dopo due annidi guerra, le piazze di Tel Aviv e di Gaza City appaiono più simili che mai. Migliaia di cittadini si riversano nelle strade per celebrare lo storico accordo raggiunto tra il governo Netanyahu e la leadership di Hamas, sancito dalla mediazione della delegazione di Donald Trump in Egitto. La gioia è incontenibile. La Piazza degli Ostaggi- lo spazio antistante il Museo d'Arte di Tel Aviv, divenuto negli ultimi due anni il simbolo della lotta delle famiglie dei rapiti - si trasforma in un luogo di festa. Einav Zangauker, madre del giovane Matan rapito il 7 ottobre, balla e canta con le braccia al cielo, il volto illuminato da un sorriso che racconta tutta la sua felicità. I cittadini israeliani presenti la abbracciano, la sollevano in aria: Einav è diventata per molti un simbolo di forza, speranza e resilienza. Una madre che, nonostante tutto, non ha mai smesso di lottare per il proprio figlio, denunciando instancabilmente il suo rapimento su ogni piattaforma disponibile. Un appello semplice ma toccante, che ha commosso il cuore degli israeliani. La mamma è sempre la mamma, ed Einav non è sola. Anche i genitori di Alon Ohel si preparano ora ad accogliere il ritorno del figlio: hanno rispolverato il suo amato pianoforte, finalmente pronto per essere suonato di nuovo. In piazza sono presenti anche alcuni ostaggi liberati, tra cui Omer Wenkert, Omer Shem Tov ed Elia Cohen. «Pochi mesi fa ci avete visto uscire da Gaza deboli e scheletriti. Oggi siamo qui, forti e pieni di speranza per il futuro. Siamo certi che presto anche gli ultimi ostaggi ancora in cattività potranno iniziare il nostro stesso percorso di guarigione», ha dichiarato il giovane Wenkert.

A Gaza i festeggiamenti sono altrettanto sentiti. Parte l’inno di ringraziamento a Donald Trump, anche se macchiato da grida violente. «Khaybar, Khaybar, ya Yehud», si sente infatti urlare in alcune piazze. Sostanzialmente, l’ennesimo richiamo a uccidere tutti gli ebrei. Accanto a ciò, però, ci sono anche gazawi che versano sincere lacrime di sollievo e applaudono con entusiasmo. «Ringraziamo i nostri fratelli in Egitto e Qatar che hanno aiutato a finire questa guerra», dichiara un giovane intervistato. E fa sorridere che, a differenza dell’utilizzo sempre più diffuso della parola genocidio in Europa, lui parli di guerra. In effetti, guardando i filmati provenienti dalle strade di Gaza, emerge una scena complessa e contraddittoria, che solleva numerose domande circa le accuse di genocidio rivolte a Israele. Per mesi si è infatti raccontato che nella Striscia non ci fosse più cibo, che la popolazione fosse ridotta alla fame, priva di accesso a internet e isolata dal mondo. Si è detto che persino l’ultimo bar dotato di rete Wi-Fi fosse stato distrutto. Eppure, le immagini dei festeggiamenti odierni raccontano anche un’altra realtà: cittadini sorridenti, molti dei quali riprendono la scena con iPhone di ultima generazione e appaiono lontani dall’immagine di una popolazione completamente scheletrita. Meno male.

 

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Tornando in Israele, accanto alla gioia profonda, persiste un timore di fondo: ci si può davvero fidare di Hamas? Una volta rilasciati gli ostaggi, i terroristi deporranno davvero le armi? Chi può garantire che non stiano già pianificando un nuovo 7 ottobre? Ha senso porre fine a una guerra senza aver sconfitto il nemico? E, soprattutto, è possibile immaginare un futuro di pace con Hamas ancora al potere a Gaza? Domande che, al momento, restano senza risposta. E non sono le uniche. Questa pace è momentanea o duratura? Parziale o definitiva? Utile o inutile? Reale o illusoria? Giusta o sbagliata? Buona o cattiva? Ma, soprattutto, esistono paci inutili? Esistono paci sbagliate? Esistono paci cattive? Interrogativi che tormentano l’opinione pubblica israeliana, ma non oscurano per un istante un principio fondamentale: prima riportiamo a casa tutti gli ostaggi, poi penseremo a come garantire la nostra sopravvivenza. È un insegnamento che affonda radici antiche, nel Talmud si legge: «Chi salva una vita salva un mondo intero». Oggi, in questa scelta drammatica e collettiva, Israele sceglie la vita.

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Autore
Libero Quotidiano

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