Gaza, Anas al-Sharif da mesi nel mirino di Israele: “Sei un uomo di Hamas”. Dieci giorni fa l’appello dell’Onu: “Timori per la sua sicurezza”

  • Postato il 11 agosto 2025
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Era il corrispondente di punta di Al Jazeera a Gaza. Raccontava l’orrore, la morte, la fame e le sofferenze che la guerra di Israele da quasi due anni infligge ai palestinesi della Striscia. Anas al-Sharif aveva 28 anni. E’ morto insieme ad altri 4 giornalisti, un assistente dell’emittente qatarina e a un freelance locale nel bombardamento di una tenda vicino all’ospedale Al Shifa, nella zona orientale di Gaza City. Faceva parte del team Reuters che nel 2024 ha vinto il Premio Pulitzer nella categoria “Breaking News Photography” per la copertura delle operazioni militari israeliane nell’enclave. Per le Nazioni Unite era un reporter coraggioso. Per Israele era organico ad Al Qassam, l’ala paramilitare di Hamas.

Confermandone la morte, le Israel Defense Forces hanno affermato che al-Sharif era a capo di una cellula di Hamas ed “era responsabile di aver lanciato attacchi missilistici contro civili israeliani e truppe dell’esercito”, citando come prova informazioni di intelligence e documenti rinvenuti a Gaza. “L’Idf aveva già in precedenza rivelato informazioni di intelligence che confermavano la sua affiliazione militare con l’organizzazione terroristica di Hamas. I documenti confermano ancora una volta la sua attività terroristica, che al Jazeera ha tentato di smentire”. A ottobre, i vertici militari avevano pubblicato una lista di presunti agenti di Hamas secondo cui al-Sharif lavorava come cronista, ma in realtà era un miliziano e guidava una squadra della compagnia missilistica del Battaglione East Jabaliya. Al Jazeera aveva respinto “categoricamente la rappresentazione dei nostri giornalisti come terroristi da parte delle forze di occupazione israeliane e denuncia il loro utilizzo di prove fabbricate”.

Alcuni media israeliani pubblicano materiali che dovrebbero suffragare questa tesi. “Non sorprende – afferma Yediot Ahronoth nella sua versione online – che ad al-Sharif sia stata addirittura data l’opportunità di documentare molto da vicino il rilascio dell’ostaggio Agam Berger“, il 30 gennaio 2025. “In uno dei video della cerimonia del terrore psicologico in cui è stata mostrata al momento del suo rilascio, lui è stato visto a pochi metri da Berger e dai membri dell’unità ‘ombra’ di Hamas, responsabili dei rapiti” del 7 ottobre 2023. L’articolo contiene anche tre fotografie in cui al-Sharif compare “insieme ad alti esponenti di Hamas, tra cui Yahya Sinwar e Khalil al-Haya”, prosegue il sito pubblicando tre immagini: una in cui il reporter abbraccia il leader militare ucciso lo scorso ottobre, un’altra in cui scatta un selfie con Sinwar e un’altra ancora in cui viene fotografato nel momento in cui realizza l’autoscatto.

Di queste tre foto si dibatte molto sui social network. Molti utenti sostengono che i due selfie siano in realtà due fake, due fotomontaggi. Cercando le tre immagini su TinEye, motore di ricerca in grado i risalire alla data di prima pubblicazione di un file, queste non risultano mai pubblicate prima di oggi. Una cosa certa è che il portavoce dell’esercito Avichay Adraee le ha postate sul proprio profilo X tra le 7.55 e le 12,46, ora israeliana, di questa mattina.

L’altra cosa certa è che le Israel Defense Forces lo tenevano sott’occhio da tempo. Il 24 ottobre 2024 Adraee si rivolgeva a lui in un video su X: “Anas Al Sharif, la tua vera identità (…) è stata svelata. I documenti di Hamas rinvenuti a Gaza e resi pubblici oggi non lasciano spazio a dubbi. Anas Al-Sharif, attivista dell’ala militare di Hamas. Potresti provare a presentarti come un giornalista che sente il dolore della popolazione di Gaza, ma ora tutti sanno che sei un membro di Hamas sia per affiliazione che per professione”. Lo stesso Adraee ha rilanciato questo post lo scorso 24 luglio, accusando il reporter di aver “lanciato una campagna mediatica personale che potrebbe mirare a rafforzare la sua posizione organizzativa in Al Qassam, ma non riuscirà a nascondere un fatto documentato nei documenti organizzativi: Anas fa parte della macchina militare di Hamas”.

Sette giorni più tardi Irene Khan firmava un comunicato ufficiale in cui prendeva le difese di al-Sharif: “Sono profondamente allarmata dalle ripetute minacce e accuse dell’esercito israeliano contro Anas Al-Sharif, l’ultimo giornalista di Al Jazeera sopravvissuto nel nord di Gaza”, scriveva il 31 luglio la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione. “I timori per la sicurezza di Al-Sharif sono fondati – proseguiva l’osservatrice Onu -, poiché ci sono sempre più prove che i giornalisti di Gaza sono stati presi di mira e uccisi dall’esercito israeliano sulla base di affermazioni infondate secondo cui sarebbero stati terroristi di Hamas”. “Chiedo a tutti gli Stati, in particolare a quelli che si vantano di essere paladini della libertà di stampa e della sicurezza dei giornalisti”, concludeva Khan, “di utilizzare i loro canali diplomatici per impedire a Israele di prendere di mira Anas al-Sharif e altri giornalisti a Gaza che stanno solo facendo il loro lavoro: dire la verità al mondo”.

L’appello non è servito. Dieci giorni dopo, il 10 agosto, Al-Sharif è rimasto ucciso in un “attacco aereo contro una tenda per giornalisti” di fronte all’ospedale Shifa, nel quartiere Rimal di Gaza City. Pochi minuti prima di essere ucciso aveva raccontato sul suo account da 500mila follower su X che Israele stava bombardando intensamente la città da più di due ore. Il Committee To Protect Journalists di New York ha affermato che Israele non è riuscito a fornire “alcuna prova credibile” a sostegno delle accuse mosse contro di lui.

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