Gaza, 300 morti dall’inizio della tregua. Hamas al Cairo dopo i nuovi raid, Netanyahu: “Via libera Usa? Non serve”

  • Postato il 23 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Dall’inizio della tregua, lo scorso 10 ottobre, sono passati quarantatré giorni, appena sei da quando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato il controverso piano di pace proposto da Donald Trump per garantire la sicurezza e il governo del territorio. Nel frattempo, il cessate il fuoco ha già prodotto almeno 300 morti. I sanitari di Gaza hanno dichiarato che almeno 24 persone sono state uccise e almeno 54 ferite, compresi dei bambini, in seguito ai diversi, distinti nuovi attacchi aerei israeliani in tutta la Striscia contro i miliziani di Hamas che, secondo l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu, avrebbero perso cinque membri di spicco. Israele afferma di aver lanciato l’offensiva dopo che un “terrorista armato” avrebbe attraversato una zona controllata dall’esercito israeliano (Idf) e sparato alle truppe nel sud di Gaza. “Israele ha una politica – che ha ricevuto l’approvazione dei mediatori – secondo la quale le violazioni del cessate il fuoco saranno affrontate con una risposta immediata”, ha spiegato alla stampa un funzionario statunitense, chiarendo che l’amministrazione Trump “appoggia” le rappresaglie israeliane.

“Pretesti per uccidere”, li ha definiti Hamas, che respinge le accuse di violare la tregua rilanciate da Tel Aviv. Ma anche le voci che vorrebbero i miliziani pronti a rompere l’accordo. Nelle scorse ore, alcune fonti anonime citate dalle emittenti saudite Al Arabiya e Al Hadath avevano riferito che Hamas avrebbe comunicato all’inviato statunitense Steve Witkoff e al negoziatore e genero del presidente Trump, Jared Kushner, che “l’accordo è terminato e siamo pronti a combattere”, risposta alle violazioni israeliane. Ma un alto esponente di Hamas ha definito “prive di fondamento” le informazioni diffuse da fonti israeliane. Parlando alla Quds News Network, il membro dell’ufficio politico di Hamas, Izzat al-Rishq, ha invece esortato i mediatori a Washington a “intervenire e costringere Israele a rispettare l’intesa”. Una delegazione di alti funzionari di Hamas è arrivata al Cairo per incontrare funzionari dell’intelligence egiziana e discutere della recente escalation delle ostilità nella Striscia di Gaza, riporta il quotidiano saudita Al-Hadath, citando una fonte informata. La delegazione dovrebbe incontrare anche i rappresentanti dei paesi mediatori – Egitto, Qatar e Stati Uniti – per discutere “le modalità per contenere l’escalation” e la transizione alla seconda fase del piano del presidente degli Stati Uniti per il futuro di Gaza.

Quanto al premier Israeliano Netanyahu, in apertura della riunione settimanale del governo ha ribadito che Israele continuerà a colpire Hezbollah e Hamas in risposta alle violazioni del cessate il fuoco. “Continuiamo a colpire il terrorismo su più fronti. Questo weekend le Forze di Difesa Israeliane hanno colpito in Libano, e continueremo a fare tutto il necessario per impedire a Hezbollah di ristabilire la sua capacità di minacciarci”. E su Gaza: “Da quando c’è il cessate il fuoco, Hamas non ha smesso di violarlo, e agiamo di conseguenza. Ci sono stati diversi tentativi da parte loro di infiltrarsi nel nostro territorio oltre la Linea Gialla e nuocere ai nostri soldati. Li abbiamo fermati con decisione e abbiamo inflitto un prezzo molto alto. Molti terroristi sono stati eliminati, e terroristi sono stati catturati nei tunnel a Rafah”. Quanto a quella che gli Usa definiscono “approvazione dei mediatori”, Netanyahu respinge le critiche su un presunto coordinamento con Washington: “Tutte le discussioni sul fatto che ‘dobbiamo ottenere l’approvazione’ da questa o quella parte sono semplicemente delle complete bugie. Israele agisce senza affidarsi a nessuno ed è responsabile della propria sicurezza”.

Tregua a parte, le condizioni a Gaza sono durissime. Secondo l’Unrwa, al 10 novembre un milione di gazawi vive in 862 campi profughi, e solo 80 mila hanno trovato riparo nei siti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Tende insufficienti, infiltrazioni d’acqua, freddo e un pericoloso aumento delle infezioni respiratorie che sta mietendo vittime mentre nessuna struttura sanitaria è pienamente operativa: solo metà dei 36 ospedali funziona parzialmente, mentre l’Oms è impegnata nel ripristino di 20 strutture. Il cessate il fuoco non ha mai davvero sbloccato gli aiuti umanitari. La chiusura dei valichi di Kerem Shalom e Al-Awja, decisa da Israele il 21 novembre per festività, ha nuovamente bloccato i convogli dall’Egitto, coi camion fermi al valico di Rafah. Unicef, Unrwa e Oms – segnalano un primo, positivo risultato: tra il 9 e il 20 novembre sono stati vaccinati oltre 13.700 bambini nella campagna di recupero delle immunizzazioni mancate. Lo screening ha individuato 508 bambini gravemente malnutriti, indirizzati alle strutture dedicate. Sono in preparazione la seconda e la terza fase della campagna, resa urgente dal peggioramento delle condizioni invernali. L’Unicef dispone, insieme all’Oms, delle scorte alimentari e mediche necessarie solo fino all’inizio del 2026. Ma se da un lato le agenzie chiedono che l’ingresso di ulteriori forniture, in particolare per la catena del freddo, venga facilitato, dall’altro la Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato in prime lettura con 28 voti favorevoli e 8 contrari un disegno di legge che vieta la fornitura di acqua ed elettricità alle proprietà dell’Unrwa e consente allo Stato di confiscare i terreni registrati dall’agenzia presso l’Autorità fondiaria israeliana.

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