Garlasco, Sempio si sfoga da Vespa: «Non ho una vita, è come essere ai domiciliari»
- Postato il 20 novembre 2025
- Di Panorama
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«Davanti a casa mia c’è lo stazionamento dei giornalisti. Non posso girare per strada, non posso fare un giro per Pavia, andare al supermercato. Ci sono persone che vogliono una foto, che mi filmano o che mi chiamano per nome». Andrea Sempio, ospite di Bruno Vespa a «Cinque minuti», ha confessato il momento terribile che sta attraversando. L’attuale indagato per l’omicidio di Chiara Poggi ha dato libero sfogo ai suoi sentimenti, e ha fornito spiegazioni sugli elementi principali che lo vedono coinvolto nell’indagine: lo scontrino, le chiamate a casa Poggi, il Dna sotto le unghie della vittima e la famosa impronta 33.
Lo sfogo di Sempio
Nella parte iniziale dell’intervista, Andrea Sempio ha rivelato di avere ormai una vita infernale: «Un certo accanimento c’è, spero in buona fede. Io al momento non ho una vita, sono tornato a vivere nella cameretta in cui stavo una volta e a quasi 40 anni sono chiuso lì, non posso fare niente, è come essere ai domiciliari».
Ha parlato poi degli amici storici coinvolti nella vicenda, con i quali i rapporti sono bloccati momentaneamente per evitare possibili insinuazioni nei loro confronti. Ha raccontato che non è stato semplice per lui conoscere e frequentare qualcuno dopo il caso di Chiara, e di come ogni volta che la vicenda riemerge sia costretto a rivivere quanto già vissuto, come in un incubo senza fine.
Sempio fatica oramai a parlare e a muoversi normalmente, poiché ha paura di essere visto o ascoltato: «Se dico in auto ai miei genitori “poi te lo racconto”, penso “non è che credono sia qualcosa di losco”? C’è paranoia». Ecco che deve soppesare ogni parola, temendo che possa essere male interpretata.
Sui punti clou dell’indagine a suo carico
Sui rapporti con Chiara Poggi, Sempio ha detto che sostanzialmente non vi era alcun legame: «Ai tempi, tra me e Chiara c’erano 7-8 anni di differenza, era laureata, lavorava… erano due mondi diversi – spiega – non avevamo una vita che potesse portarci in contatto». Vespa gli domanda se ha visto i video pornografici sul computer della vittima, ma la risposta è negativa: «Era materiale che stava sul computer, è vero che ho giocato al computer, ma non ho mai avuto accesso a questo. Ero sempre in compagnia di Marco (fratello di Chiara e amico di Andrea)».
L’intervista arriva al culmine quando entra in gioco la famosa impronta 33, quella trovata sulla parete destra della scala che portava alla taverna di casa Poggi e attribuita a Sempio: «L’abbiamo fatta controllare diverse volte. Ho dubbi che possa essere attribuita a me – inizia a dire – comunque anche fosse, non trattandosi di una traccia insanguinata, non sarebbe strano. Può essere». Anche sulla sua presenza in cantina, si è dimostrato scettico: «Ci saremo stati al massimo 3-4 volte, ma che quella sia la mia impronta… può essere».
Per quanto riguarda il Dna sull’unghia di Chiara, l’indagato afferma di essere ancora in attesa dell’esito dell’incidente probatorio. «Si continua a parlare di Dna, ma non hanno un vero e proprio Dna. Anche prendendo le famose consulenze contro Sempio non arrivano mai a dire con certezza che sia il Dna di Sempio». Andrea si è dunque chiesto: «Se fosse stata una traccia lasciata durante un’aggressione, non ci sarebbe una traccia netta?».
Lo scontrino e le telefonate a casa Poggi
Sempio racconta quindi la storia dello scontrino di Vigevano: «Quella mattina mi trovavo a Vigevano, questo scontrino lo attesta, è successo questo evento… ovviamente lo abbiamo tenuto». Aggiunge di averlo conservato non perché pensasse di essere indagato, ma quantomeno «consultato».
Vespa ha approfondito inoltre le tre telefonate effettuate dall’indagato a casa Poggi, avvenute fra il 7 e l’8 agosto, poco prima dell’omicidio. «Sapevo che Marco era andato in vacanza, non sapevo quando sarebbe tornato. Avevo cercato di contattarlo, ma non ci ero riuscito». Avrebbe quindi chiamato una prima volta per errore, una seconda per chiedere se Marco fosse a casa e infine una terza per chiedere il giorno esatto del suo ritorno.
«Il colpevole è Alberto Stasi»
L’ultima parte dell’intervista si concentra sul rapporto con Massimo Lovati, che si è bruscamente interrotto a causa di una “divergenza sulla linea difensiva”: «L’avvocato Lovati aveva un’idea aggressiva e difficoltà a rapportarsi con i consulenti. Diceva “posso farcela da solo”. Mentre noi avevamo una visione ad ampio spettro».
Vespa domanda poi all’indagato riguardo al biglietto con la scritta «20/30 euro», che si riferiva al ritiro del fascicolo dell’archiviazione del suo caso. Il padre, invece, aveva un altro foglio più dettagliato con le cifre pagate per la sua difesa: almeno 50 mila euro. «Avevo tre avvocati, ma la parola finale ce la metteva Lovati – afferma Sempio– “Lovati” era il nome generico per indicare le spese per gli avvocati».
Sul colpevole, Sempio ha deciso di sbilanciarsi a suo favore e contro Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara, che è stato condannato ma che si è sempre dichiarato innocente: «Per le sentenze il colpevole è Alberto Stasi. Credo che ormai sia stato acclarato in anni di processi e sentenze, quindi io mi rifaccio a quello che hanno detto le sentenze: ad oggi il colpevole è Alberto Stasi e non ho motivo di pensare il contrario».