Garlasco, parla il papà di Andrea Sempio: «Mio figlio non ha ucciso Chiara Poggi. Vi dico dov’era quel giorno»
- Postato il 9 luglio 2025
- Di Panorama
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«Quando ci incontriamo con i Poggi al supermercato, ci abbracciamo e ci facciamo forza, ma tutti gli altri intorno a noi fanno un passo indietro, si spostano…». Giuseppe Sempio ha 72 anni e – in un’intervista al settimanale Oggi – fatica a raccontare quanto la vita sia cambiata da quel 27 febbraio, quando suo figlio Andrea è stato indagato per l’omicidio di Chiara Poggi, in concorso con Alberto Stasi o con altri.
«Non dimenticheremo mai quel 13 agosto»
Giuseppe ricorda ancora nitidamente quel lunedì, il 13 agosto 2007. Chiara fu uccisa e la loro vita, da allora, non è stata più la stessa. Parla del figlio, di com’è fatto, di un alibi finora mai raccontato del tutto: lo scontrino del parcheggio.
La madre di Andrea, Daniela, invece preferisce non esporsi più. Ma quando le sfugge qualcosa, lo dice con una forza che non lascia spazio ai dubbi: «Questa cosa blocca la vita totalmente, non puoi fare un programma perché magari l’avvocato ha bisogno di te; esci e c’è quello che ti indica col dito, è successo davanti a me: madre e figlia passavano davanti al negozio dove l’Andrea stava lavorando, e la figlia diceva: “Allora è quel ragazzo lì che ha ammazzato Chiara Poggi?”, e la mamma ha annuito sicura. È come se l’Andrea fosse già stato condannato. Ma mio figlio non ha ammazzato Chiara Poggi, sono sicura al mille per mille. È innocente».
Anche Giuseppe torna a quel giorno drammatico: «Andrea era con me. Un giorno come quel 13 agosto 2007, in cui è successa una cosa così grave, uno lo mette in un cassetto della testa e non lo toglie più. È come aver avuto il cancro, puoi guarire completamente, ma non te lo dimentichi. Forse quell’estate faceva ancora più caldo di adesso. Ci siamo svegliati alle 7.30 – 8…».
Era una mattina come tante, nonostante fosse estate. Giuseppe lavorava come operaio e in inverno si alzava anche prima delle 5, soprattutto se la moglie aveva il turno delle sei alla casa di riposo. Anche in vacanza, svegliarsi alle 7.30-8 era normale. Quel giorno i due telecomandi del cancello non funzionavano più, e la moglie doveva portarli alla ditta di manutenzione a Gambolò. Andrea, già sveglio, voleva andare in libreria a Vigevano. Avevano una sola macchina, così avevano deciso che sarebbe uscito lui quando la madre fosse tornata. E nel frattempo era rimasto a casa col padre.
Un’uscita in libreria il 13 agosto poteva sembrare insolita. Ma, come racconta Giuseppe nell’intervista a Oggi, «Mio figlio è un mangialibri, ne avrà mille, e non ne ha uno preferito, legge tutto, economia, politica, psicologia. Sembra assurdo, ma la tv non l’ha neanche mai voluta in camera, ancora oggi sto facendo scaffalature per metterci i suoi libri. Andava a comprarli a Vigevano da quand’era ragazzino, ma anche quando arrivavamo al mare in Liguria, a Ceriale, per prima cosa lui andava in libreria».
Nonostante questa passione per lo studio, Andrea non ha proseguito gli studi universitari. Una scelta non del tutto voluta, come spiega il padre: «Per fare l’università ci vogliono delle cose, non dipende solo dal figlio, dipende anche dalla famiglia, e non potevamo permettercelo, è stato un dispiacere».
I giornali avevano parlato di appunti trovati nella spazzatura, dove Andrea avrebbe scritto frasi come: «Ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare». Il padre nega di averli mai visti, ma riconosce una cosa: «Gli è sempre piaciuto scrivere, pure sui libri scriveva appunti».
Quella mattina del 13 agosto, la ditta dei telecomandi era chiusa, come conferma Daniela. Aveva comunque deciso di passare a fare la spesa, ed era rientrata in casa alle 9.50. «Se lo ricorda perché aveva guardato l’orologio in cucina», dice Giuseppe. A quel punto Andrea aveva preso le chiavi ed era andato a Vigevano.
A chi sostiene che, in realtà, quella mattina Daniela si fosse recata a Vigevano da un pompiere che frequentava, Giuseppe risponde con sicurezza: «Ma va, anche il cellulare si è agganciato alla cella di Gambolò, lo dicono i tecnici». Quanto agli scambi di messaggi tra sua moglie e quell’uomo, ridimensiona tutto: «Io ho i miei amici e lei ha i suoi, e poi sembra che quell’uomo scrivesse anche ad altre, era uno fatto così».
Anche la libreria, quel lunedì, era chiusa. La Feltrinelli non apriva il lunedì, ma in quei giorni c’era una festa locale e Andrea sperava potesse fare eccezione. Dopo aver constatato la chiusura, era andato a trovare la nonna. Alle 11.40, la madre lo aveva chiamato per invitarlo a pranzo. Lei sarebbe poi andata al lavoro alle 13. Giuseppe e Andrea, invece, erano tornati dalla nonna per prendere delle bottiglie di salsa.
Uscendo, passando davanti a via Pascoli, avevano notato carabinieri, transenne e Croce Rossa. Pensarono inizialmente a un malore. Ma Andrea era agitato: in quella via abitava Marco Poggi, suo amico fraterno. Tornarono indietro per vedere meglio. Giuseppe ricorda: «C’era un vigile che conoscevo: “Hanno ucciso una ragazza”, ci ha detto, “la Poggi, dicono che dentro casa c’è una scena che non si può vedere”. Mio figlio era agitato, non ci credeva. Un ragazzo con i capelli rossi vicino alla transenna, credo fosse un giornalista, gli ha chiesto il numero del Poggi ma lui non ha voluto darglielo. Ha chiamato sua mamma, il Capra e il Freddi, ma nessuno se la sentiva di chiamare il Marco, non sapevano se fosse stato avvertito».
Chiara Poggi, Giuseppe lo dice chiaramente, non l’avevano mai vista. Ma di Marco conserva un ricordo affettuoso: «È un bambolotto, dolce, uno di quei ragazzi che in paese te li ricordi perché sono buoni. Si sentono ancora con l’Andrea».
Andrea e Marco si conoscevano dalle elementari. Non si erano mai frequentati all’oratorio. «Mio figlio ad andare in chiesa non ci pensa neanche, somiglia a suo papà», aggiunge sorridendo. L’oratorio, poi, era un posto un po’ chiuso. Al santuario della Bozzola ci andavano solo a Pasqua e Pasquetta, per le bancarelle.
Sulle accuse di partecipazione a festini o messe nere, Giuseppe è netto: «Ma per favore… Tutte favole». Anche sulle intercettazioni, dove Andrea sembra parlare da solo, non ha dubbi: «Sempre, da quando era piccolino, soprattutto sotto la doccia. Lui entra in bagno, apre l’acqua e parla, ha quest’abitudine».
Poi c’è lo scontrino del parcheggio. Un dettaglio che la famiglia ricorda bene. «Quell’agosto lì, Andrea aveva la patente da poco e prendeva spesso la macchina, solo che non la puliva mai. Mentre toglievo un mare di cartacce e scontrini di libri, caramelle e soldini, ho trovato questo bigliettino del parcheggio. Mia moglie ha voluto metterlo via con cura, perché magari poteva servire visto che stavano interrogando tutti per il delitto».
Durante il secondo interrogatorio, nel 2008, Andrea aveva raccontato della visita alla Feltrinelli. Gli chiesero se avesse delle prove, e lui parlò dello scontrino. Lo chiamarono per tornare in caserma, recuperarlo e consegnarlo. Ma nei verbali non fu mai riportata la sequenza esatta degli eventi, e per questo sembra che lo avesse portato con sé spontaneamente, senza richiesta.
Ora, Andrea è indagato per la terza volta. Non è chiaro se ci sarà un processo o se anche questa volta il caso verrà archiviato. La madre ha paura. «Mi fa paura l’archiviazione, forse preferirei una sentenza, un punto fermo. Se no magari tra sette o otto anni si sveglia un altro testimone che dice di aver visto qualcosa. Ho paura che non finisca mai, che possano tornare a tormentare mio figlio…».