Garlasco, nove prove contro Sempio: il Riesame svela contatti, denaro e consulenze nascoste
- Postato il 29 ottobre 2025
- Di Panorama
- 3 Visualizzazioni

Ogni volta che si tenta di archiviare definitivamente la vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi, qualcosa riemerge dalle carte, dagli interrogatori, dai tabulati. Un nuovo dettaglio, un nuovo nome, una connessione che non combacia. Dal Riesame emergono contraddizioni e rapporti negati che rimettono in discussione equilibri e certezze costruite in quasi vent’anni di indagini.
In questa nuova fase dell’inchiesta, gli inquirenti hanno individuato una serie di riscontri che rafforzano la pista contro Andrea Sempio: tabulati telefonici, flussi di denaro, atti riservati finiti nelle mani sbagliate e un profilo genetico compatibile che, se confermato, potrebbe cambiare tutto.
Andrea Sempio, amico d’infanzia di Alberto Stasi e oggi indagato per l’omicidio di Chiara, torna al centro della scena insieme a una rete di figure che sembravano lontane dai riflettori. A partire da Federico Soldani, uno dei legali che lo assistettero, che secondo gli atti avrebbe intrattenuto contatti con Silvio Sapone, all’epoca comandante dell’aliquota dei Carabinieri presso la Procura di Pavia. Un legame che Sapone nega, ma che i tabulati telefonici sembrano smentire in modo netto. Proprio i tabulati — quattro chiamate tra Sapone e Sempio in poco più di due ore — sono oggi considerati dagli investigatori la prima prova oggettiva di un rapporto diretto tra i due, mai dichiarato in precedenza.
Il denaro, le carte e i legami nascosti
È la madre di Sempio, Daniela Ferrari, a far riemergere un dettaglio scomodo. Nella sua testimonianza racconta che, a fine dicembre 2016, l’avvocato Soldani avrebbe chiesto duemila euro in contanti al marito, specificando che con lui avrebbe collaborato anche il collega Simone Grassi. Soldani, sostiene la donna, motivò la richiesta dicendo che i soldi servivano “per avere le carte”. Quella frase, “per avere le carte”, diventa centrale: per i carabinieri indica una compravendita di atti riservati, materiale che la difesa non avrebbe potuto ottenere legalmente. È il punto d’origine di un presunto scambio tra denaro e documenti coperti da segreto d’indagine.
Carte che, secondo gli investigatori, non avrebbero dovuto essere nelle mani della famiglia Sempio: si tratterebbe infatti di atti riservati, documenti coperti dal segreto d’indagine. Durante la perquisizione del 26 settembre 2025, i carabinieri hanno trovato proprio quei fascicoli: atti ufficiali della Procura di Pavia, relazioni tecniche, consulenze di parte e documenti interni alla difesa di Stasi. Nessuno di questi avrebbe dovuto trovarsi nella disponibilità dei Sempio.
I carabinieri hanno ricostruito una sequenza precisa: il 21 gennaio 2017, l’utenza telefonica intestata a Sapone contatta quattro volte quella di Sempio, in un arco di due ore. Telefonate intervallate da chiamate con l’avvocato Soldani. Il tutto smentendo la versione del luogotenente, che a verbale aveva dichiarato di non conoscere né Sempio né i suoi familiari. È una concatenazione che, secondo chi indaga, non può essere casuale: l’ex comandante chiama l’indagato più volte, e Sempio, quasi in contemporanea, chiama il suo avvocato. È come se tra i tre scorresse un flusso continuo di informazioni.
C’è poi un ulteriore elemento che rende la ricostruzione ancora più torbida: quelle stesse chiamate non risultano nell’annotazione del 30 gennaio 2017 redatta dal maresciallo Giuseppe Spoto, che avrebbe dovuto esaminare i tabulati. Un’assenza inspiegabile, che secondo gli inquirenti potrebbe celare un’omissione o un errore tutt’altro che casuale. Gli investigatori parlano apertamente di “anomalie” e “mancate registrazioni”, suggerendo che qualcuno, nel passaggio tecnico dei tabulati, possa aver escluso deliberatamente quelle chiamate, cancellando un anello cruciale della catena probatoria.
Nelle perquisizioni successive, gli investigatori hanno ritrovato nella disponibilità dei Sempio documenti alla base dell’esposto presentato da Elisabetta Ligabò, madre di Alberto Stasi. Fascicoli che la famiglia non avrebbe potuto avere legalmente e che sarebbero serviti a costruire la consulenza del generale Luciano Garofano, mai depositata e datata gennaio 2017. Quei documenti riservati, secondo i carabinieri, non solo confermano l’esistenza di una rete di scambi illeciti, ma provano anche che la consulenza Garofano — poi ritrovata nel 2025 — era stata elaborata su materiale proveniente da fonti non autorizzate.
Il ruolo del generale Garofano
Per chiarire questo passaggio, il 2 ottobre scorso il generale Garofano, ex comandante del Ris di Parma e consulente della famiglia Sempio, è stato convocato negli uffici del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Milano. Davanti a lui, i vertici del Reparto operativo, della Guardia di Finanza di Brescia e del gruppo di Pavia. Garofano viene ascoltato per circa un’ora, e le sue parole finiscono in un verbale che cambia la prospettiva dell’intera vicenda. Il generale conferma di essere stato contattato dagli avvocati di Sempio — Soldani, Lovati e Grassi — e di aver avuto rapporti diretti solo con il primo. Riferisce di aver ricevuto via mail, l’11 gennaio 2017, una prima parte della documentazione necessaria, che includeva elaborazioni sui reperti genetici estratti dai margini ungueali di Chiara Poggi, appartenenti alla perizia De Stefano del processo d’appello bis ad Alberto Stasi. Questa corrispondenza mail, spiegano gli investigatori, costituisce la quarta prova a carico di Sempio: documenta lo scambio di atti coperti da segreto tra il suo legale e un consulente tecnico esterno.
Il 13 gennaio, sempre via mail, Soldani gli avrebbe inviato l’esposto firmato dagli avvocati di Stasi, Fabio Giarda e Giada Bocellari, corredato dalle consulenze Linarello-Fabbri e dalla relazione della società SKP Investigazioni. Tutti documenti coperti da segreto istruttorio. Garofano, nel suo verbale, riconosce di aver ricevuto materiale che forse non avrebbe dovuto ottenere. E arriva a dirlo apertamente: «Mi sono domandato se la documentazione che avevo avuto modo di ottenere dagli avvocati fosse detenuta legalmente». Nessuno, né allora né oggi, gli ha risposto.
La consulenza mai depositata e il DNA di Sempio
Garofano spiega che il 30 dicembre 2016 aveva effettuato personalmente un prelievo salivare su Andrea Sempio in un hotel, e che il campione fu poi inviato a un laboratorio di Orbassano il 9 gennaio. Nel suo lavoro di consulenza aveva comparato quel DNA con quello acquisito dalla società investigativa, scoprendo che coincidevano perfettamente. Il riscontro genetico, evidenziato dai carabinieri, rappresenta una delle prove più forti emerse finora: la corrispondenza del profilo Y tra il campione di Sempio e quello recuperato sui reperti di Chiara Poggi viene definita “esatta e inequivocabile”.
Una scoperta che avrebbe potuto cambiare il corso delle indagini, ma che non venne inserita nella relazione finale. Secondo la relazione di sintesi del Nucleo investigativo, l’omissione di quel dato ha alterato per anni la percezione del quadro probatorio, lasciando in ombra un risultato che avrebbe potuto riaprire il caso già nel 2017.
Due mesi più tardi, a indagine archiviata, Garofano inviò la fattura, che Sempio saldò con bonifico. Ma la parte più significativa arriva dopo. Garofano racconta che, nel 2025, l’avvocato Massimo Lovati — oggi principale difensore di Sempio — gli avrebbe chiesto di depositare la vecchia consulenza del 2017. Il generale si è opposto, spiegando che quella relazione «era da aggiornare anche alla luce delle nuove ricerche condotte da Ugo Ricci e dal professor Carlo Previderè». A quel punto, l’ex comandante del Ris si è dimesso dal ruolo di consulente. Un gesto che, secondo ambienti giudiziari, rappresenta un segnale di distanza e forse di disagio verso una difesa che rischiava di diventare troppo opaca. La mancata consegna della consulenza e le successive dimissioni di Garofano costituiscono l’ottava e nona prova evidenziata dagli inquirenti: un atto di dissociazione che lascia intendere la consapevolezza di aver lavorato su materiale non lecito.
Le carte di Brescia e la delicatezza del fascicolo Venditti
A Brescia, intanto, la pm Claudia Moregola ha chiesto la coassegnazione del fascicolo al procuratore capo Francesco Prete, evidenziando «la particolare delicatezza della vicenda investigata» e il collegamento con l’indagine che coinvolge l’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, oggi indagato per corruzione in atti giudiziari. L’inchiesta bresciana rappresenta oggi il crocevia di due filoni: da una parte la presunta corruzione, dall’altra il circuito di scambio di informazioni che ha favorito Sempio e i suoi legali.
Gli atti mostrano però anche un elemento a favore dello stesso Venditti. Nel luglio 2022, l’avvocato di Alberto Stasi, Antonio De Rensis, aveva chiesto alla Procura di Pavia copia delle intercettazioni effettuate nei confronti di Sempio e dei suoi familiari nel 2017. Fu proprio Venditti ad autorizzare, in poche ore, la consegna dei file, scrivendo di suo pugno: «Si proceda a ricercare in archivio i supporti informatici delle intercettazioni in questione». Un comportamento che difficilmente si concilia con l’immagine di un magistrato corrotto o intenzionato a nascondere prove.
Nordio, Renzi e lo scontro politico sulla giustizia
Il caso Garlasco è tornato anche al centro del dibattito politico. Al Salone della Giustizia, il ministro Carlo Nordio ha parlato del “paradosso delle inchieste parallele” che, dopo anni, continuano a riaprire ferite mai rimarginate: «I cittadini assistono a un paradosso, con indagini che vanno in direzioni opposte. A un certo punto bisogna avere il coraggio di arrendersi». Un’affermazione che, letta alla luce delle nuove prove, appare ancora più controversa: perché proprio mentre il ministro invita alla resa, le indagini mostrano elementi concreti mai considerati nei processi precedenti.
Parole che hanno suscitato la reazione immediata di Matteo Renzi: «Eccola la giustizia di questo governo: arrendersi. Come se le indagini sbagliate, i dubbi sulla colpevolezza o le inchieste incomplete non contassero. Garlasco è una vergogna nazionale, e Nordio è l’imbarazzo senza fine».
La vicenda giudiziaria diventa così terreno di scontro politico, simbolo di un sistema che continua a interrogarsi su se stesso. Una giustizia che non si arrende mai davvero, e una politica che cerca di piegare i casi simbolo alle proprie narrative.
Una verità ancora sospesa
A distanza di quasi vent’anni, il caso Garlasco resta un labirinto di contraddizioni. Ci sono verità parziali, consulenze mai depositate, tabulati che spariscono e memorie che si contraddicono. Ma soprattutto, c’è un senso di irrisolto che attraversa ogni pagina di questa storia. Gli inquirenti contano oggi nove prove concrete che ruotano tutte intorno a Sempio: il denaro in contanti, le carte riservate, le chiamate con Sapone, le omissioni nei tabulati, la consulenza Garofano, il DNA compatibile, il silenzio dei legali e le dimissioni del consulente. Tutti tasselli di un quadro che si sta finalmente ricomponendo.
Chi conosce bene le indagini parla di un mosaico di verità spezzate, dove ogni nuovo tassello non chiude il cerchio ma lo allarga. È forse il destino delle inchieste che toccano nervi scoperti: più si indaga, più la realtà si complica.
E mentre le aule di giustizia attendono nuovi sviluppi, la domanda resta sospesa: quanto coraggio serve davvero per non arrendersi?