Garlasco, la nuova intercettazione sulle gemelle Cappa: “Se Chiara è morta tra le 9.30 e le 10, ci siete dentro voi”
- Postato il 25 giugno 2025
- Di Panorama
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Nuove intercettazioni, vecchi alibi che vacillano, una famiglia sotto pressione e un capello misterioso ritrovato nella spazzatura: ogni dettaglio riemerge come un colpo di scena in un giallo che sembra non voler finire. Le voci delle zie, le paure delle cugine Cappa, i dubbi della procura — tutto ruota attorno a un’unica domanda ancora senza risposta: chi ha davvero ucciso Chiara Poggi la mattina del 13 agosto 2007?
L’audio choc delle zie di Chiara
«Perché se Chiara è morta alle 9.30-10, ci siete dentro voi altri!». È questa la frase che scuote ancora oggi il caso Garlasco, pronunciata in una telefonata intercettata nel febbraio 2008 tra le zie di Chiara Poggi. Parole che riaccendono l’attenzione sull’orario della morte della ragazza, uccisa il 13 agosto 2007 nella villetta di famiglia, e sulla posizione dei familiari mai formalmente indagati.
Il contenuto della telefonata è stato reso noto da Il Tempo: era il 12 febbraio 2008 e Maria Rosa – madre delle gemelle Stefania e Paola Cappa, cugine della vittima – si confidava con la sorella Carla dopo un lungo colloquio con la PM Rosa Muscio, titolare dell’inchiesta. La procura stava in quel momento rivalutando gli alibi di madre e figlie, pur non avendo mai formalizzato accuse nei loro confronti. A finire condannato per l’omicidio, anni dopo, sarà invece Alberto Stasi.
«Carla! Dodici ore sono stata là… dalle 11.30 della mattina, siamo andate tutte e tre… ognuna quattro ore», racconta Maria Rosa, esasperata per le domande dell’inquirente. Le due sorelle discutono degli interrogatori e degli elementi che supporterebbero i loro alibi. Carla chiede: «Ma tu non avevi tutti gli scontrini di tutto quello che avevi fatto?». Maria Rosa risponde: «Ma sì, ma Carla cosa vuol dire?… Lei doveva essere sicura al cento per cento… mi ha chiesto come ero vestita la mattina, la sera, a che ora sono uscita la mattina… io non ho niente da nascondere…».
Carla incalza: «E le figlie? Anche loro per cosa?». La sorella spiega: «Eh, sempre per la storia della mattina, il tutore… anche a me hanno chiesto del tutore, dove arrivava? E se poteva toglierselo».
Poi arriva la domanda più esplicita: «Comunque non è che hai fatto delle cose che ti debba rinviare a giudizio per qualcosa?», chiede Carla. Maria Rosa replica: «Ma non credo proprio! Perché altrimenti lo avrebbe fatto subito dall’inizio eh… mi ha detto: chi è questo numero di telefono? Chi è quest’altro?… Poi mi è venuto in mente tutto… mi credi che mi sento la spada di Damocle sul collo… per questi qua… (la difesa di Stasi, ndr)… ma poi sai anche a distanza di mesi io non mi ricordavo neanche più che ero andata in posta per esempio… poi sono andata anche dal dottore! Gliel’ho detto, ho le fotocopie delle ricette… e sono arrivata a casa che erano le undici e mezza passate».
Carla tira le somme: «Ma a loro fa tanto comodo spostare l’orario di quando è morta Chiara! Perché se Chiara è morta alle 9.30-10, ci siete dentro voi altri, ammesso! Che poi la Paola… la Stefania era al telefono e tu… a fare le commissioni. E invece se metti l’orario più tardi, lui è dentro in pieno!».
L’ora della morte di Chiara era stata peraltro già evocata in modo sorprendentemente preciso proprio da Stefania Cappa, in una conversazione intercettata in caserma con Alberto Stasi. Quando lui ipotizza che «secondo me qualcuno è entrato lì dentro e lei si è spaventata», lei risponde: «Ma alle 9 e mezza?!».
Pochi giorni dopo, il 9 febbraio 2008, Stefania piange al telefono con un’amica: «Per me è uno schifo… ma va guarda Ceci sto proprio di merda… cioè io comunque in questi mesi ho tentato un po’ di rifarmi la mia vita… un po’ di tutto. L’altro giorno ancora mi sono venuti a prendere, mi hanno interrogata ancora… io sono stanca».
A interrogarla, racconta, non sono stati i carabinieri: «Mi ha interrogata la Rosa Muscio… il pm, e quando sono entrata mi ha fatto la sua bella ramanzina… che se dichiaravo il falso, il falso sarà usato contro di me al processo e tutte ste cose qua…». Non era più una semplice acquisizione di elementi, ma un vero e proprio interrogatorio formale con un uditore giudiziario e due testimoni.
Due giorni dopo, la rabbia esplode in un’altra telefonata: «Lei addirittura (la pm Muscio, ndr)… a dover dire la verità perché se dichiara il falso sarà usato contro di lei al processo, ma va a fanculo va! Le volevo dire ma mettiti un dito nel culo! che ora che fai qui… che fai il processo io sono già espatriata in America e non mi vedi neanche, deficiente!», dice Stefania. E quando un amico cerca di rassicurarla – «ma tanto è provato che tu non c’entri un cazzo di niente» – lei risponde: «No, ma al di là di quello, magari mi faceva delle domande e io non mi ricordavo… e allora andavo un po’ a logica, eh ma non vada a logica».
Il capello nei rifiuti: ecco perché non è di Chiara Poggi
Intanto prosegue l’incidente probatorio con nuove analisi sui reperti trovati nella villetta. Durante l’ultima ispezione nei laboratori della scientifica di Milano è stato aperto un plico contenente la spazzatura raccolta il giorno dell’omicidio. Tra gli scarti, un capello lungo tre centimetri, su cui ora verranno effettuati esami genetici.
Il consulente della famiglia Poggi, Dario Redaelli, spiega: «Solitamente nel bulbo di un capello troviamo dna nucleare, mentre nelle parti restanti c’è dna mitocondriale. Se c’è quindi è molto meglio perché è più accessibile eseguire le analisi. Nel nostro caso, questo capello trovato sembrerebbe avere il nucleo, seppur invecchiato rispetto alla sua condizione originale. Però sembrerebbe esserci un bulbo».
Ma è davvero di Chiara? Redaelli risponde: «Il capello – se di capello si tratta perché al momento parliamo di formazione epilifera – aveva una lunghezza di tre centimetri e non risultava spezzato. Per cui non dovrebbe essere attribuibile a Chiara».
Il capello era nella parte esterna del sacchetto dei cereali, nella saletta dove Chiara faceva colazione. Come ribadisce Redaelli: «La valenza investigativa di questa formazione epilifera ancora non la sappiamo: è da valutare considerando il luogo di rinvenimento, in considerazione delle modalità con cui è stato repertato».
Nei rifiuti c’erano anche un contenitore di Fruttolo, un Estathé, un sacchetto di biscotti e la buccia di una banana. Redaelli aggiunge: «Sono state fatte della campionature per tutti questi oggetti, andranno poi analizzate in seguito durante l’incidente probatorio. L’esito di eventuali tracce ematiche e di saliva è stato negativo, ma ce lo aspettavamo un po’ tutti considerando il fatto che questo materiale è stato conservato in un armadio per 18 anni».
Il mistero del “gradino 0”
Nel frattempo la procura, guidata ora da Fabio Napoleone, ha ordinato una nuova mappatura 3D degli ambienti della villetta, focalizzando l’attenzione sul cosiddetto “gradino 0”, alla base della scala dove fu ritrovato il corpo di Chiara.
È lì che – secondo le ricostruzioni – il corpo sarebbe stato fatto scivolare, ma senza che l’assassino abbia mai poggiato i piedi sui gradini. Nessuna traccia di sangue è infatti presente sul “gradino 0”. Su quello stesso punto fu individuata l’impronta 33, attribuita ad Andrea Sempio, ma la sua rilevanza è limitata: non vi erano tracce ematiche, e l’intonaco su cui era impressa è stato distrutto dopo la condanna definitiva di Stasi, come da protocollo.
Eppure, su quel gradino si concentrano oggi le speranze residue di fare luce su un delitto che, a distanza di 18 anni, continua a generare dubbi… non solo per l’impronta 33, ma anche per la presenza di ulteriori tracce che potrebbero rivelarsi determinanti. L’obiettivo è fare chiarezza su uno degli aspetti più oscuri del caso Garlasco: quante persone erano effettivamente presenti nella villetta al momento dell’omicidio di Chiara Poggi, il 13 agosto 2007. Una risposta che potrebbe emergere proprio da queste nuove analisi tecniche.